Non sono né un cultore né un competente di cinema, anche se apprezzo le opere di certi registi (e di certi Maestri) o le produzioni di determinati soggetti. Tra i registi che mi hanno sempre interessato, dovrei dire inevitabilmente interessato per evidenti ragioni culturali, c’è Pier Paolo Pasolini, figura talentuosa che si divise (o si sperperò) tra poesia, narrativa, drammaturgia, critica, saggistica, cinema, giornalismo socio-politico e di costume. Fino a pochi giorni fa i lungometraggi di Pasolini li avevo visti tutti meno due (Porcile, di cui conosco soltanto la versione teatrale, e Salò-Sade) stilando una personalissima (e certo opinabilissima, in quanto, ripeto, “tecnicamente” incompetente in materia) classifica che vede ai piani più alti Accattone, Il Vangelo, Edipo Re, Medea, seguiti da Mamma Roma, Uccellacci e uccellini (un po’ maltrattato, a parer mio, dalla critica ufficiale), I racconti di Canterbury, Il fiore delle Mille e una Notte, Il Decameron: al livello più basso il per me insopportabile (sia stilisticamente sia ideologicamente) Teorema (il mio giudizio può ovviamente non essere condiviso, ma non accetterei che mi si dicesse che “non ho capito” il film, perché invece credo di averlo capito perfettamente con i suoi paradossi e le sue “provocazioni”). Dicevo che me ne mancavano due, ma qualche giorno fa ho potuto colmare in parte la lacuna vedendo al Cinema Massimo di Torino il Salò-Sade. Sul piano artistico la mia incompetenza mi impedisce di pronunciarmi, sul piano ideologico-politico mi pare che il regista si crogioli e si contorca nella sua scontata identificazione di fascismo e società (e cultura) borghese tout court (anche se talvolta ha dichiarato che fascismo, cioè oppressione, è ogni forma di potere). Ma non è questo il punto. Mentre si svolgevano sotto i nostri occhi le aberranti turpitudini “infernali” espresse dal film (con evidente riferimento, secondo l’Autore, alla prima cantica della Commedia), il mio pensiero correva a un’altra celebre catabasi “infernale”, ma di forma letteraria, vale a dire Se questo è un uomo di Primo Levi, documento terrificante e orroroso stilato con un rigore, una lucidità, una obiettività che definire ammirevoli ed encomiabili non è sufficiente. Si potrà obiettare che non ha senso affiancare un film a una testimonianza scritta. Non posso però negare che il vasto repertorio di depravazioni, di perversioni, di mostruosità largamente offerto dalla pellicola mi induce a ipotizzare (forse maliziosamente) una certa complice e compiaciuta  condiscendenza di Pasolini nei confronti delle creazioni (invenzioni o trascrizioni letterarie?) del Divin Marchese, non a caso ispiratore tematico e immaginifico dell’intera storia.