Che la scuola sia importante per lo sviluppo e il futuro del Paese, è principio da tutti condiviso, o almeno da tutti affermato. Così pure il valore di una gran parte dell’organico docente, composto da professionisti preparati e appassionati del loro lavoro. Altrettanto incontestato che la scuola italiana registri tassi di dispersione più elevati di altri paesi, ma nello stesso tempo che molti nostri laureati sappiano affermarsi nel lavoro e negli istituti di ricerca esteri. Sono cose ripetute fin quasi alla noia, come pure l’eccessiva propensione della scuola italiana alla didattica teorica a fronte di una dimensione laboratoriale ancora sempre troppo trascurata, e ancora le lacune del sistema di reclutamento dei docenti e la loro scarsa remunerazione. Tutte cose risapute, in parte vere, in parte no. Comunque grandi tematiche, che richiederebbero analisi approfondite. Qui invece si vuole evidenziare un aspetto quasi caratteriale del/la docente medio/a italiano/a, una sorta di deformazione professionale: l’allergia, l’estraneità epidermica a qualsiasi attitudine organizzativa/amministrativa/giuridica/pratica/gestionale/economica. Coloro che per mestiere hanno la necessità di confrontarsi quotidianamente con queste cose, come i dirigenti scolastici, devono fare i conti con quotidiane dimostrazioni di analfabetismo organizzativo/gestionale da parte di una gran parte del corpo docente (non tutti, ma una gran parte), mancanza che nella scuola di oggi non può più essere accettata. Un po’ come l’analfabetismo digitale, che ancora qua e là resiste nonostante i mille corsi di formazione proposti e realizzati. Sono cose ormai incompatibili con una professionalità docente moderna e aggiornata. Eppure molti insegnanti, specie nelle scuole secondarie, vivono la loro disciplina di insegnamento come unico centro di interesse universale (tra l’altro soggetto alla loro personale lettura e divulgazione) e credono di poter fare a meno di intercettare il mondo, la società, l’economia, nelle loro svariate dimensioni organizzative, economiche, gestionali. Vivono in una sfera lavorativa favolistica, sorretta da una autoreferenzialità tutta loro. Un atteggiamento mentale improprio, misto di supponenza professionale e indisponibilità all’innovazione, li relega nella stanca riproposizione di una didattica d’aula più o meno ripetitiva, mentre le scuole di oggi – le loro scuole – su sollecitazione del Ministero e allo scopo di migliorare il servizio reso all’utenza, si aprono al territorio, diversificano l’offerta formativa, interagiscono con strutture e istituzioni esterne, affrontano complesse problematiche gestionali ed amministrative. In effetti fa specie osservare come persone, anche culturalmente preparate e non ancora anziane, abbiano un rifiuto preconcetto verso quelle che sono procedure e competenze di cittadinanza normali nella società contemporanea. …. .
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