Non sempre ci si può sottrarre alla richiesta di dichiarare da che parte si stia, rispetto ad argomenti che appassionano e turbano l’opinione pubblica. La cosa migliore sarebbe sempre quella di privilegiare il silenzio e la riflessione, posto che lo scenario è già troppo rumoroso, occupato dal fastidioso frastuono delle opposte tifoserie e dominato dai faziosi, dell’uno, o dell’altro, orientamento.
Senza stare a girarci intorno, affermo dunque che, se fossi un membro del Senato della Repubblica, voterei contro il disegno di legge n. 2005/Atti Senato, che viene riferito al deputato Alessandro Zan, iscritto al Gruppo del Partito Democratico. La finalità della normativa è quella di introdurre nel nostro ordinamento giuridico “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”. Bisogna sapere, però, che il nostro ordinamento, attualmente, non è sprovvisto di norme che possano servire a realizzare le medesime finalità.
Il fatto è che il disegno di legge è diventato una sorta di bandiera ideologica. Minoranze che si sentono, e sono effettivamente, discriminate vogliono, per questa via, avere una sorta di “riscatto” al cospetto della Nazione. Vogliono che, d’ora in poi, sia affermata “per legge” la loro rispettabilità. E che nessuno si permetta più, non dico di commettere atti di violenza nei loro confronti (perché gli atti di violenza, o gravemente discriminatori, potevano già essere sanzionati applicando la normativa vigente), ma nemmeno di criticarli pubblicamente, di disapprovarne i costumi.
Invito tutti a leggere il testo dell’articolo 7, la cui rubrica è titolata: “Istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la biofobia e la transfobia”. Io sono un povero ignorante; quindi non sono nemmeno capace di comprendere il senso di alcuni di questi termini. Pensavo che il termine “omofobia” bastasse, potesse riferirsi a tutte le fattispecie. No, anche le lesbiche, in quanto tali, devono avere la loro soddisfazione e recuperare la propria onorabilità sociale. Lo stesso discorso vale per i transessuali.
Nella giornata “nazionale” predetta anche tutte le scuole, di ogni ordine e grado, a partire dalle elementari, sarebbero chiamate ad organizzare cerimonie, incontri ed ogni altra iniziativa utile «al fine di promuovere la cultura del rispetto e dell’inclusione nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione» (si veda il combinato disposti dei commi 3 e 1 dell’articolo 7).
Com’è noto, i nostri governanti e la nostra classe politica, da tempo, in nome della modernità e del progresso, hanno deciso che nelle nostre scuole i nostri ragazzi non debbano continuare a studiare materie “inutili”, come la geografia. Altre materie, di “dubbia utilità”, come la storia, la filosofia, il latino, sono sempre più “tollerate”: se ne depotenziano i programmi e le modalità di studio, in attesa, forse, di eliminarle del tutto. Ed ecco, invece, sempre in nome della modernità e del progresso, una nuova missione per l’educazione scolastica: insegnare ai bambini delle scuole elementari in che cosa il sesso biologico si distingua dal “genere” e dall’orientamento sessuale.
Manco a dirlo, gli estensori del disegno di legge hanno largheggiato: tutte le scuole, anche quelle private, che poi, in Italia, sono prevalentemente di orientamento cattolico, devono essere al servizio di questo compito di progresso.
Monsignor Paul Richard Gallagher, membro della Segreteria di Stato del Vaticano, con l’incarico di Segretario per i rapporti con gli Stati, ha inviato una nota al Governo italiano, per il tramite del nostro Ambasciatore presso la Santa Sede, facendo presente che alcune disposizioni contenute nel disegno di legge Zan potrebbero violare norme del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede. La sola parola “Concordato” fa venire l’orticaria ai liberali più consapevoli; figuriamoci quali possano essere le reazioni degli anticlericali militanti e degli atei. Ovviamente, si sta parlando del Concordato rivisto nel 1984, quando presidente del Consiglio dei Ministri era Bettino Craxi, non del Concordato del 1929.
Per quanto mi riguarda, pur presumendo di essere un liberale e un laico, ho guardato con immediata simpatia all’iniziativa di Monsignor Gallagher. Questa attesta che la Chiesa, come Istituzione, è ancora sufficientemente solida e seria, nonostante tutti i problemi che la travagliano. Serietà e solidità che le dà la forza di sfidare le mode, di sfidare il sempre più insopportabile “politicamente corretto” e di praticare un sano e salutare anticonformismo.
Il Concordato garantisce ai cattolici, alle loro associazioni e organizzazioni, la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Ci sarà ancora la libertà di insegnare, nelle scuole private cattoliche, che la Chiesa considera “naturale” soltanto l’unione fra un uomo e una donna, aperta alla procreazione? Potrà ancora un parroco, che celebra messa, argomentare, durante la liturgia della parola, che l’unico matrimonio concepibile per la Chiesa è quello fra un uomo e una donna? Oppure dobbiamo temere che consimili affermazioni offendano la sensibilità di un omosessuale, di una lesbica, di un transessuale e che questi possano rivolgersi ad un giudice affinché sanzioni siffatte prese di posizione aventi contenuto discriminatorio?
Il nocciolo di tutta la questione sta in questo: un liberale genuino, “autentico”, vuole piena ed assoluta libertà di manifestazione del pensiero e mal sopporta qualunque fattispecie di “reato di opinione”. Viceversa, i giacobini, gli “illuministi” radicali, puntano ad eliminare “per legge” tutte quelle opinioni che contrastano con la loro idea di ragione. Così, una volta ottenuto di vietare questo, e di vietare quello, in futuro non dovranno nemmeno più impegnarsi nella lotta politica. Basterà rivolgersi al giudice e sostenere che un’affermazione fatta da Tal dei tali integra il reato di cui all’articolo “x” del Codice penale, eccetera. Chiudere la bocca ai diversamente pensanti, con lo strumento della legge.
Nel caso del disegno di legge Zan, per far sembrare che il testo contenga sacrosante disposizioni antidiscriminatorie, si è fatta una macedonia impazzita: si sono mischiate le discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale, con l’apologia del fascismo, il razzismo, l’antisemitismo.
Non è giusto, forse, condannare i comportamenti degli ultimi epigoni del fascismo e del nazismo; non è giusto, forse, essere contro ogni forma di razzismo? E l’Olocausto degli Ebrei? Vogliamo forse dimenticare quell’orrore? Allora – ma qual è il nesso logico? – bisogna punire, allo stesso titolo, tutti i comportamenti violenti, o discriminatori, «fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità».
I sostenitori della normativa si trincerano dietro l’articolo 4, rubricato “Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”. Questo così recita: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti ed opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Qui casca l’asino. Chi è che deve valutare se i predetti convincimenti ed opinioni siano, o meno, idonei a «determinare il concreto pericolo», eccetera? Risposta: un giudice, attivato da organizzazioni a sostegno dei diritti degli omosessuali, delle lesbiche, dei transessuali. E se questo giudice si compiace di essere un “democratico progressista”? Se ci tiene ed essere e ad apparire “politicamente corretto”? Se ci tiene a passare agli onori della cronaca – passare alla Storia è più difficile – come affidabile interprete dello “Zeitgeist“, dello spirito del tempo?
I sostenitori del disegno di legge Zan ricordano che questo, alla Camera dei deputati, è già stato approvato a larga maggioranza. Infatti, non bisogna mai dimenticare che l’attuale composizione del Parlamento, purtroppo, è stata determinata dall’esito delle elezioni politiche del marzo 2018. Con lo straordinario successo del Movimento Cinque Stelle, eccetera. Tutte le elezioni tenutesi dal 2018 ad oggi, ai diversi livelli di rappresentanza, hanno sempre dimostrato, però, che il sentire medio del Paese è notevolmente cambiato, nel frattempo.
Di conseguenza, quanti continuano a detenere una maggioranza meramente numerica nell’attuale Parlamento, farebbero bene a riflettere seriamente circa il fatto se il loro punto di vista sia effettivamente in sintonia con la maggioranza dell’opinione pubblica del Paese. Io ritengo di no. Se ho ragione, l’approvazione definitiva di una normativa come quella di cui ora stiamo discutendo potrebbe ritorcersi contro chi la promuove. Una maggioranza politica diversa, espressa in occasione delle prossime elezioni, potrebbe immediatamente abrogare la legge. Peggio ancora, a qualcuno potrebbe venire in mente di raccogliere le firme per un referendum abrogativo della legge. In tale ipotesi, non soltanto è probabile che i sostenitori del disegno di legge Zan sarebbero nettamente sconfitti nel giudizio del Corpo elettorale, ma, soprattutto, non potrebbero nemmeno più ripresentare progetti di legge nel senso da loro auspicato, per un certo lasso di tempo.
Sforziamoci, poi, di essere seri. In occasione del 17 maggio, data prescelta a livello europeo per la campagna contro le violenze e le discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale, il Servizio pubblico della RAI ha attivato una campagna di “pubblicità-progresso” (così si sarebbe detto un tempo) per combattere la “omolesbobitransfobia”. Parola di venti lettere, della quale forse la lingua italiana non aveva necessità!