Da alcuni decenni mi occupo di reti, sistemi e web; ciò nonostante riesco ancora a sorprendermi di quanta poca consapevolezza abbiano molte persone in merito all’uso quotidiano dei dispositivi telematici e dell’ormai imprescindibile protesi, lo smartphone, che ognuno si porta appresso in ogni istante della giornata. La maggior parte degli utenti ne subisce passivamente le strabilianti funzioni, le mirabolanti app e gli innovativi strumenti di utilità per ogni esigenza: dalla ricerca del ristorante preferito, al miglior percorso da scegliere per raggiungere la destinazione voluta, alla statistica dei passi fatti nella giornata, con tanto di cartografia su mappa, corredata di latitudine e longitudine di ogni punto del globo terracqueo attraversato. Reti sempre più veloci, immagini e video sempre più definiti, comodi ed efficaci servizi a supporto della vita quotidiana, oggettivamente utili ed estremamente intuitivi, semplicissimi da utilizzare e quasi sempre, a volte inspiegabilmente, gratuiti.
Aggiornare costantemente server e sistemi operativi complessi, progettare e sviluppare app e piattaforme web interattive, visualizzare mappe cartografiche in 3D o video ad altissima definizione, non è mestiere banale. Richiede alte competenze, organigrammi efficienti, centinaia di programmatori che per tutta la loro carriera dovranno costantemente apprendere, crescere, adeguarsi a nuovi linguaggi e nuove tecnologie. Parliamo di investimenti enormi, sia in termini di risorse hardware/software, che di risorse umane. Già da tempo si è capito che gli introiti pubblicitari, da soli, non possono sostenere tali costi, generare utili e rappresentare l’unico obiettivo di questa enorme industria telematica. C’è sicuramente altro.
E questo “altro” siamo noi. I nostri dati, quello che cerchiamo su internet, quali sono le pagine dei quotidiani che apriamo ogni giorno sul browser, quali luoghi abbiamo visitato nell’ultimo mese o anno, quali immagini o video guardiamo, da chi e perché sono pubblicati e quale orientamento ideologico, politico o culturale sostengono, sono considerati “l’oro nero” di questa epoca. I colossi internazionali del Big Data fanno a gara a suon di app e servizi gratuiti perché hanno bisogno di accaparrarsi il maggior numero possibile di generatori seriali di “swipe&click”, vale a dire un esercito di utenti su scala planetaria, che passino il maggior tempo possibile con gli occhi puntati sul display del proprio personal computer, tablet o smartphone e non possano fare a meno di “scorrere & selezionare“.
Dito indice su un mouse e pollice opponibile su uno smartphone sono gli strumenti attraverso i quali partecipiamo inconsapevoli ad un sondaggio di opinione globale, attivo ventiquattro ore su ventiquattro, in tutto il mondo, in tutte le lingue, su qualsivoglia tema della vita di ognuno di noi: orientamento religioso, ideologico, sessuale, politico, interessi personali in merito a sport, tempo libero, enogastronomia, turismo, arte, spettacolo, shopping. Potremmo chiamarlo Il Grande Sondaggio.
Ha avuto inizio con l’avvento dei primi motori di ricerca su Internet e durerà per sempre, senza bisogno di costose infrastrutture sociali tradizionali per conquistarsi partecipanti e relative adesioni, farraginosi sistemi di calcolo delle preferenze, tempi di attesa per i risultati. Il Grande Sondaggio si cela nelle APP che usiamo. Gli exit poll, per i famigerati Istituti di Rilevamento, sono un processo automatico, continuo, semplice. Ogni utente cessa di esprimere preferenze ogni sera prima di andare a dormire, per riprenderle la mattina seguente con le prime azioni che tutti svolgiamo appena svegli: Whatsapp, Facebook, le prime pagine dei quotidiani on line…. Privacy? Il primo collegamento Internet in Italia risale al 1986. Amazon è stata fondata nel 1994, Google nel 1998, Facebook nel 2004. Il regolamento generale per la protezione dei dati, risposta europea al dilagare del fenomeno della raccolta dei dati e relativo monopolio USA (Apple, Google, Microsoft) è entrato in vigore nel maggio del 2016, con attuazione solo due anni più tardi, il 24 maggio del 2018. Lascio a chi legge le considerazioni del caso. Il pubblico, ormai, aveva già aderito entusiasta al Grande Sondaggio su larga scala, a suon di App, Google Maps, IPhone, Itunes, ICloud e chi più ne ha più ne metta. Quarto trimestre del 2022: 1,2 miliardi di automobili circolanti nel mondo a fronte di 4 miliardi di persone in possesso di uno smartphone. Informativa sui cookies? Abbiamo a cuore la tua privacy? 4 miliardi di click su “ACCETTA E CONTINUA”. Fine del problema. Mai e poi mai rinuncerò a Instagram o a scegliere un paio di scarpe su Zalando. Al diavolo i cookies che tracciano tutto ciò che faccio sul web. Nonostante il conclamato e cronico ritardo temporale degli organi di vigilanza, nazionali o internazionali, rapportate alla velocità di acquisizione dei dati dei grandi colossi privati e alle capacità di questi ultimi di restituirceli come “consigli per gli acquisti”, offrendo in tempo reale servizi efficienti per rispondere alle nuove esigenze di ogni utente, qualcuno ha deciso di metterci un freno. Quel qualcuno si chiama autorità garante della privacy irlandese, che ha appena comminato una multa da 390 milioni decisa a Meta, azione che impatta sul modello di business dei social e delle piattaforme sino ad ora conosciuto. Cosa potrebbe accadere?
Se la posizione espressa dall’organo di controllo anglosassone, che sostiene che Meta non può basare la profilazione dei propri utenti per scopi pubblicitari in forza del contratto da questi sottoscritto, in cui in maniera poco chiara si chiede l’accettazione dei termini d’uso del servizio, quello che è accaduto sin ora non accadrà più. Conseguenze?
Quello che Meta e soci, una nutrita schiera di altri grandi fornitori di servizi digitali, hanno fatto, cioè trattare i dati personali degli utenti anche per offrire pubblicità “targettizzata”, perché lo hanno ritenuto parte integrante del proprio servizio richiesto dagli utenti (per come sono formulate le frasi di accettazione dei servizi si evincerebbe questo), verrà completamente ribaltato dalla sentenza.
Se i legali di Meta sostengono che trattare i dati degli utenti serve anche ad offrire loro pubblicità capace di soddisfare i loro interessi sia un’attività necessaria per dare seguito al contratto stipulato con l’accettazione dei termini, è perché ritengono che l’offerta di pubblicità personalizzata sia un obbligo contrattuale.
A chi scrive pare che lasciarsi profilare per ricevere pubblicità ad hoc sia un impegno assunto inconsapevolmente dagli utenti con il mettere il mouse su “accetta e continua” …
La posizione di Meta sostiene che gli utenti sarebbero creditori di una prestazione rappresentata dal poter ricevere pubblicità personalizzata; vero è che pochi utenti che chiedono di essere presenti sui social e usano motori di ricerca sono totalmente consapevole che riceveranno pubblicità profilata e accettano quotidianamente di farsi passare ai raggi X, per finire nella rete degli algoritmi di profilazione sempre più efficienti con il solo scopo di fruire dei servizi di Internet senza dover pagare un corrispettivo per usare i social network.
Quale sarà la conseguenza di questa multa?
Le big tech usciranno allo scoperto e diranno agli utenti che se vogliono usare i loro servizi dovranno accettare un contratto in cui si spiega chiaramente che il pagamento avverrà attraverso i dati personali, che permetteranno alle società di conoscerli, profilarli e classificarli? I grandi editori europei hanno iniziato a dare la loro risposta in tal senso, chiedendo ai lettori di scegliere se pagare l’abbonamento in denaro o in profilazione: questo trattamento di dati personali è da considerare lecito?
Credo che il modo più giusto, in termini legali ed etici, sia chiedere agli utenti con trasparenza se rilasciano il consenso alla profilazione, e in caso contrario permettergli di continuare a usare lo stesso il servizio. La ricaduta economica per le big tech ci sarà comunque. In tutta onestà intellettuale però, da tecnico del settore, mi chiedo se l’Internet che conosciamo sarebbe economicamente sostenibile, se dovesse passare questa linea di comportamento: reggerebbe se miliardi di utenti negassero il consenso al trattamento dei dati, per garantire ai fornitori di servizi di continuare a generare?
Vedremo che cosa decideranno i garanti e come reagirà Meta, quel che è certo è che qualcuno ha messo un freno ai ricavi sicuri ed enormi sin qui raccolti dalle aziende egemoni del settore e che probabilmente, da qui a tre mesi, Internet come siamo abituati a vederlo, potrebbe non esistere più.