In Borgo Po, quella sera, la luna era sorta tre volte. Una prima volta tutta spostata a levante, bassa sulla nebbia sottile del fiume che passava silenzioso sotto il ponte della Gran Madre di Dio… Era una bella sera di primo ottobre e l’aria ancora tiepida si stendeva dolcemente materna sugli ippocastani dei viali cittadini e sui vecchi tetti di tegole annerite dal tempo”. Così inizia “Il fantasma di Mozart”, romanzo scritto dalla germanista Laura Mancinelli e pubblicato qualche anno fa da Einaudi. Un racconto breve che traeva origine da un fatto realmente accaduto alla scrittrice friulana di nascita e torinese d’adozione, scomparsa nel 2016. Una storia dove le parole assumono la leggerezza lieve e delicata della musica del grande compositore austriaco, sullo sfondo di una Torino magica e vagamente inquietante. Ed è proprio la “città dei quattro fiumi”, la capitale sabauda collocata ai vertici dei due triangoli magici esoterici, la vera protagonista del racconto, persa fra le nebbie e le vie coperte di foglie morte in un autunno che pare un tramonto infinito. I protagonisti, dei quali non si fa mai cenno al nome ( solo del cane, il volpino di Lei, si conosce il nome proprio: Pulce!), lasciandone l’identità avvolta in un alone di mistero, sono immersi in situazioni che a volte sfumano nel surreale, e il romanzo sviluppa un intreccio avventuroso senza che venga mai meno il divertimento. Del resto, che fareste voi se un anonimo vi telefonasse a casa e, senza mai dire una parola, vi facesse ascoltare un’aria, una sonata, una sinfonia del repertorio mozartiano?  Non un fatto isolato ma quasi un appuntamento quotidiano, dove dalla cornetta del telefono escono i pezzi più famosi del genio salisburghese, iniziando dalla Serenata Haffner per proseguire con il Don GiovanniLe nozze di Figaro, il Flauto magico, il K 334 e, in ultimo, la Messa da requiem. E’ ciò che accade alla protagonista femminile del romanzo della Mancinelli che s’ingegna ad attuare una serie di contromosse per smascherare il “fantasma”. Da questo strano avvenimento prende il via la narrazione e, abbandonati i castelli medioevali, l’autrice dei Dodici abati di Challant  imbastisce la sua storia  con Lui , Lei e il cane all’inseguimento degli eventuali sospettati delle telefonate, anonimamente convocati nell’atrio spettrale dell’Antonelli, fino al punto in cui nel racconto avviene una svolta. E’ un altro Lui, sempre anonimo e amante dei papiri greci, che li fa incontrare con la leggenda del testo dell’ultimo dialogo di Platone, conservato dai monaci dell’abbazia benedettina di Novalesa, nel quale il filosofo sconfessa tutte le sue teorie. Una vicenda di intrecci e intrighi con due punti fermi che si fondono insieme, compensandosi a vicenda: Mozart e Torino. E qui vale la pena riannodare la storia vera di questo rapporto. Durante il primo, e più lungo, dei tre viaggi che i Mozart padre e figlio intrapresero in Italia, la visita a Torino durò diciotto giorni, dal  14 al 31 gennaio 1771. Leopold Mozart e il figlio Wolfgang presero alloggio alla Locanda della Dogana Nova (oggi Hotel Antica Dogana, uno degli storici alberghi della città, al numero 4 di via Corte D’Appello) situata nella “Contrada dell’Albero Fiorito”. Accompagnato dal genitore, il giovane Mozart assistette al Teatro Regio (“uno dei più grandi e belli d’Europa”) alla rappresentazione dell’opera “Annibale in Torino” di Paisiello. Nonostante la riservatezza della nobiltà e della cultura sabauda, i Mozart riuscirono a frequentare alcuni salotti buoni tra cui quello dei marchesi Saluzzo di Paesana che li accolsero a Palazzo in via della Consolata. Non è certo se Mozart si sia esibito in quelle stanze ma è sicuro che a Torino, il 27 gennaio di quell’anno, il giovane Wolfgang Amadeus festeggiò il suo quindicesimo compleanno, probabilmente alla locanda dove alloggiava. E’ quindi comprensibile che nella città magica per eccellenza il suo fantasma abbia trovato il modo di far avvertire la sua presenza e, considerato l’innato talento del personaggio, accennare a qualcuna delle sue arie da concerto più famose. Va ricordato inoltre che la Mancinelli dedicò un secondo libro al giovanissimo Wolfgang Amadeus (Amadé. Mozart a Torino) pubblicato dalla novarese Interlinea dove “in una Torino del 1771 incantata dalla neve” capitano incontri che si riveleranno decisivi per la sua educazione sentimentale e per la maturazione della sua vocazione d’artista. In un gioco raffinato d’invenzione letteraria e di ricostruzione storica, l’autrice svelava quanto la magia delle atmosfere torinesi possa avere influito sulla musica di Mozart.