È da poco trascorso il giorno di Natale che, per antonomasia, sia per i credenti sia per chi non ha fede, rimane sempre una festività legata, non soltanto nel mondo Occidentale, ad echi e risonanze di luci e di sogni capaci di creare nelle persone uno stacco dalla quotidianità. In questo secondo Natale dell’epoca del Covid, ancor più che in quello precedente, avverto la sensazione che questo giorno di festività, e non solo questo, sia stato vissuto “in penombra”. La luce che dovrebbe simbolicamente accompagnare, come ha fatto la Stella Cometa dei Re Magi, questo periodo dell’anno, e rappresentata dal messaggio di speranza legato alla nascita del Salvatore, nell’epoca che stiamo pare offuscarsi. Difficile appare, in effetti, pensare a momenti di festa e spensieratezza familiare, di raccoglimento tra le mura domestiche, quando all’esterno è presente un nemico invisibile che, dopo un’estate e un autunno di cauta speranza, si sta ripresentando in modo prepotente. La definizione che mi pare più appropriata per questo Natale e queste festività, che apriranno le porte al 2022, è quella di un “Natale in penombra”. Anche se apparentemente potrebbe sembrare pessimistica, questa espressione lascia, però, intravedere un barlume di speranza. Se il termine “penombra” deriva da una parola latina composta da “paene” (quasi) è umbra” (ombra), indica allora la leggera ombreggiatura presente tra la luce e il buio, il momento di sospensione tra l’una e l’altro. Nella penombra la fonte di luce non è totalmente nascosta, come lo è nelle tenebre, anzi possiamo individuare le sagome degli individui e il tracciato, anche se non nitidamente, da percorrere. Per alcuni individui può venire in soccorso la fede religiosa, in questi tempi di Covid in cui tutte le certezze del nostro passato paiono sospese e il futuro non ha confini ancora quasi minimamente tracciati. In questo caso anche il mistero della nascita del Signore e il valore della Sacra famiglia possono rappresentare dei cardini cui fare riferimento in un’epoca straordinariamente difficile come questa di emergenza sanitaria. Ritengo, però, che anche chi non abbia fede, possa trovare nella poesia, la stessa che percorre le pagine dei Vangeli, uno strumento assolutamente arricchente per lo spirito e per continuare a credere, magari non in un Dio, ma nella possibilità di una rinascita da un’epoca di penombra come quella che stiamo vivendo. In fondo la poesia ha, da sempre, accomunato, grazie al suo sguardo sulla bellezza e sugli aspetti miracolosi del creato, tanto il mondo pagano, quanto quello cristiano o di altre religioni, fino a quello laico. Il “fuoco” della poesia travalica ogni epoca e ogni credo religioso e politico e, per questo motivo, riesce a accomunare, come la musica, popoli di nazionalità e culture diverse tra loro. In un’epoca di Covid in cui tutti ci sentiamo un po’ naufraghi, spaesati e privati di quelle che consideravamo le nostre certezze del passato, emerge il potere della poesia come ancora di salvataggio, in un mondo in cui si potrà uscire dalla penombra attuale solo attraverso un impegno comune e di solidarietà.
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