Nel periodo della cosiddetta “Prima Repubblica”, della quale è obbligatorio dire sempre e solo male, ci furono uomini e dirigenti politici aventi spessore e capacità politiche di fronte ai quali la maggioranza di quelli odierni non è minimamente paragonabile. Basti pensare per esempio, li cito in ordine alfabetico, ad Almirante, Berlinguer, Covelli, Fanfani, Ugo La Malfa, Malagodi, Nenni, Saragat e tanti, tanti altri. Pensando a quella generazione di politici vengo preso da un forte senso di rimpianto e di sconforto, soprattutto se li paragono a quelli attuali che vorrebbero riempire gli imbuti…

Ma con i rimpianti si fa poca strada, è giusto che, piano piano, quei personaggi vengano studiati in maniera pacata ed obiettiva dagli storici. Un personaggio senz’altro minore se paragonato ai grossi nomi che ho citato prima, pur venendo annoverato tra i “Padri Costituenti” e deputato ininterrottamente dal 1946 al 1968, è stato il repubblicano Ludovico Camangi, cui dedica un grosso studio biografico Stefano Mangullo, La Repubblica dei territori (pp. 322, Unicopli, Milano 2018, E. 20,00).

Stefano Mangullo riesce ad essere obiettivo proprio perché non esce dagli ambienti del PRI, come il sottoscritto. Io, lo ammetto molto sinceramente, pur sforzandomi, non riuscirei ad essere del tutto obiettivo scrivendo di cose riguardanti il partito in cui ho militato per tanti anni, lo riconosco. E’ bene, quindi, che di certi fatti ed argomenti si occupino storici seri che mai sono stati parte in causa, nel bene o nel male, di quei fatti. I protagonisti possono, tuttalpiù, scrivere libri di memorie (che vanno sempre letti in controluce, anche  quando si sforzano di essere sinceri…).

Ludovico Camangi nacque nel 1903 a Sora. Sin da giovane milita nel PRI: il suo maestro fu Giovanni Conti e si può dire che proprio grazie a tale maestro la formazione ideologica gli venne dal pensiero mazziniano sul quale si innestò parte del pensiero di Cattaneo.

Con l’instaurazione del regime fascista è costretto ad abbandonare la politica attiva e, trasferitosi da Velletri a Terracina sarà impegnato, con un’azienda da lui diretta (era ingegnere edile), nei lavori di bonifica dell’Agro Pontino.

Riprenderà l’attività politica alla fine del 1944, nel risorto Partito Repubblicano Italiano, mostrando interesse, in articoli giornalistici, per i gravissimi problemi connessi alla ricostruzione: una delle caratteristiche di Ludovico Camangi è stata quella della concretezza, proveniente soprattutto dalla sua qualità di tecnico, ma non di tecnocrate, questo non lo sarà mai, ma anche in politica, invece di parlare e sparlare su tutto, come certuni hanno sempre fatto e fanno, preferiva occuparsi delle cose che conosceva, lasciando perdere ogni fumisteria ideologica e rifiutando ogni posizione preconcetta “per partito preso”.

Nella provincia di Littoria, in seguito Latina, è tra gli organizzatori del PRI e in quella provincia Camangi si distingue per essere vicino ai problemi della gente comune, sta con il popolo senza essere populista. L’elettorato repubblicano è eterogeneo: piccoli imprenditori, agricoltori, artigiani, operai e lui ha una parola d’interessamento per tutti. La sua onestà e la sua probità gli fanno guadagnare la simpatia anche di chi, in altre condizioni, avrebbe probabilmente votato un altro partito. E’ interessante notare come nel collegio elettorale di Ludovico Camangi (Lazio Meridionale) il PRI non perderà mai voti, anzi ne guadagnerà anche quando a livello nazionale il suo partito subirà veri e propri tracolli. Al momento di rientrare in politica attiva, Camangi liquidò la propria ditta di costruzioni, onde evitare di venir toccato, anche alla lontana, dall’accusa di conflitto di interessi.

Eletto deputato all’Assemblea Costituente, come ho già scritto, si dedicherà in quella sede alle questioni relative alle autonomie locali e al regionalismo, alla cooperazione e alla riforma dell’assistenza e della previdenza sociale, riforma che doveva essere improntata ai criteri, tra loro strettamente connessi, di efficienza tecnico-amministrativa ed equità sociale.

Ludovico Camangi divenne sottosegretario ai Lavori Pubblici dal 1948 al 1953. Tra gli affari che gli vennero affidati ci fu anche, tra il resto, la cura della messa in opera e dell’inaugurazione, nel 1949, del monumento a Giuseppe Mazzini sull’Aventino. Si batté anche per la creazione di un albo nazionale degli appaltatori di opere pubbliche, che però verrà realizzato solo nel 1962.

Egli per certi aspetti presentiva il futuro e nella sua azione politica si mise contro l’urbanesimo e lo spopolamento delle campagne, per questo si impegnò affinché in periferia si potessero godere di tutte le comodità, di comunicazione ma non solo, di cui si poteva godere nelle grandi città. Questo interesse per i piccoli centri è, evidentemente, una diretta eredità del pensiero di Cattaneo.  E le opere pubbliche, secondo lui, non dovevano rovinare l’ambiente, ma contribuire a migliorarlo. Successivamente, quando diverrà sottosegretario all’Agricoltura (1962-1968), manifesterà ancora di più atteggiamenti ecologisti, contro lo sfruttamento dissennato della terra, l’uso di concimi dannosi alla salute, lo sviluppo dell’agriturismo per migliorare le condizioni economiche dei contadini, ecc. E tutta questa sensibilità in un periodo in cui la mentalità “verde” era ben di là da venire.

Le sue proposizioni erano talmente piene di buon senso che, sovente, incontravano un atteggiamento favorevole trasversale oppure costringevano gli avversari ad arrampicarsi sugli specchi o ad attaccarsi ad una virgola per contestarle (ciò si può vedere leggendo gli Atti Parlamentari).

Nelle polemiche, anche in quelle interne al suo partito, manifestò sempre una grande signorilità e non offese mai gli avversari (oggi siamo abituati a offese continue tra avversari e a scene da saloon in Parlamento, ma bisogna dire che va bene così, altrimenti sei tacciato di “qualunquismo”…). Le polemiche all’interno del PRI riguardavano a quel tempo, i “pacciardiani”, eredi del repubblicanesimo storico ma rappresentanti, lo dico per semplificare, la “destra mazziniana” (poi uscirono dal Partito come nel 1911 fecero i repubblicani storici seguaci dell’irredentista Barzilai e di Luigi Bertelli detto Vamba, il creatore di Gian Burrasca) e i “lamalfiani” che non provenivano dal repubblicanesimo storico, ma dall’azionismo. Da persona equilibrata come effettivamente era, Camangi, volle fare da paciere, ottenendo solo di apparire inviso a tutte e due le correnti. Lui rimase nel PRI tra gli ultimi dei repubblicani storici e proprio per questo, una volta non rieletto, per pochi voti nel 1968, il PRI non lo giubilò con un posto di prestigio alla Cassa del Mezzogiorno  dove avrebbe potuto fornire un valido contributo, data la sua competenza di tecnico. Continuò a rimanere nel PRI e scrisse articoli di carattere politico o tecnico-amministrativo sulla stampa di partito, ma non solo. Il modo in cui fu trattato indignò molti vecchi repubblicani.

Scomparso nel 1976 lasciò un ottimo ricordo tra amici e avversari e, affinché tale ricordo non si perdesse del tutto, ha fatto bene Stefano Mangullo a ricordare, con la sua documentata biografia, questa bella figura di politico-gentiluomo vecchio stampo, mentre ora siamo costretti a vivere l’epoca degli stampi vecchi…

ACHILLE RAGAZZONI