Oggi voglio rievocare un episodio del 2016 totalmente dimenticato e a suo tempo ridotto alle cronache locali dei giornali, che merita invece di essere riproposto in questo clima di conformismo sempre più asfittico, a dimostrazione di una deriva demagogica che sembra inarrestabile. E’ quello che capitò non immeritatamente ad un ex partigiano di 93 anni precipitato all’improvviso dalle stelle alle stalle. Pur avendo partecipato all’eccidio compiuto da una brigata garibaldina nel carcere di Schio a guerra già conclusa, gli fu, su proposta dell’ANPI, conferita la medaglia della Liberazione e solo a fatica e tra le incredibili proteste dell’ANPI, il Ministero della Difesa gliela revocò. Lo stesso Ministero che sulla base delle candidature avanzate lo aveva premiato, fu costretto a privare il vecchio partigiano, dal nome di battaglia “Teppa”, del riconoscimento perché “Teppa” si macchiò dell’eccidio di Schio tra il 6 e 7 luglio 1945 a molti mesi dal 25 aprile, quando con la sua brigata si presentò al carcere con i mitra spianati e contribuì a giustiziare 54 persone. In seguito a quel tragico e imperdonabile episodio, uno dei più gravi successivi alla guerra civile, fu processato e condannato a morte, anche se scontò appena 10 anni di carcere. Contro il riconoscimento a “Teppa” avevano protestato i famigliari delle vittime dell’eccidio e il Comune di Schio, che aveva chiesto la revoca della Medaglia. L’ANPI invece protestò per la revoca, considerandola un affronto alla Resistenza. Quell’episodio va ricordato perché mette con le spalle al muro chi nell’ANPI arrivò a proporre il 93 enne per la Medaglia conferita dal Presidente della Repubblica ed è una clamorosa smentita di una celebrazione acritica della Resistenza, che ebbe anche le sue colpe e i suoi eccessi, come disse il presidente Napolitano. Per non parlare poi di certo antifascismo dei nostri ultimi tempi sul tipo di quello della professoressa Michela Marzano, che non volle figli a causa di un nonno fascista che avrebbe potuto trasmettere il suo DNA malefico ai nipoti. Una storia paradossale che ci indica che i “trinariciuti” di cui parlava Guareschi sono ancora tra noi. C’è anche da domandarsi come mai il Ministero della Difesa che rifiutò per anni, ad esempio , alla Città di Albenga riconoscimenti che andassero oltre la Croce di Guerra ,abbia allora potuto ignorare la fedina penale di “Teppa”. Gente come lui ha distrutto e infangato il mito della Liberazione, in nome di una crudeltà e faziosità politica che dominò indisturbata nel Nord Italia e che neppure l’amnistia voluta da Palmiro Togliatti nel 1946 poté cancellare . Veri e propri atti di terrorismo collegabili idealmente a quelli delle Brigate Rosse degli Anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. Ho voluto ricordare l’episodio ignorato dai più a causa del conformismo giornalistico, per capire come mai la FIVL non si dissocio ‘ dall’ ANPI . Lelio Speranza, allora vicepresidente nazionale dei partigiani autonomi, avrebbe voluto parole di condanna che non vennero. Dopo la sua morte iniziò il declino della FIVL e il suo appiattimento sull’ ANPI. La “Osoppo “ di recente ha ribadito la sua indisponibilità a confluire con gli eredi dei suoi carnefici ma la mancanza di identità storica dell’attuale FIVL la dice lunga e ci fa capire come l’egemonia dell’ANPI abbia preso il sopravvento.
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