Anniversari. 70 anni fa, il 27 luglio 1953, l’armistizio di Panmunjom metteva fine alla guerra fra le due Coree.
Qualche anno fa ho avuto la ventura di visitare la Repubblica popolare democratica di Corea. Ti fanno vedere ciò che vogliono loro (la prima Nord Corea) ma non possono impedirti (con tutti i loro sforzi) di vedere anche la seconda; e ve ne è poi un’altra ancora, questa davvero inaccessibile.
Le due Coree: un test come in laboratorio, le persone hanno fatto da cavie, un popolo in tutto omogeneo per lingua, storia e cultura, ebbe il territorio tagliato col coltello lungo il 38° parallelo. Il Nord, più fortunato, aveva la maggior parte delle miniere, delle dighe e delle industrie (eredità del dominio giapponese). Lì si fece il socialismo.
Il Sud, povero e rurale, dovette subire per alcuni decenni la gestione di governi autoritari di destra. La dittatura (“fantoccio degli Usa” si diceva) non impedì il sorgere di un’economia di mercato, pur fortemente dirigistica (col suo seguito di corruzione). Ecco però la grande differenza: il regime autoritario “di destra” non è inconciliabile con l’economia di mercato ed è reversibile. I regimi di “socialismo reale” fanno tabula rasa, implementano un sistema che porta presto alla catastrofe economica e non danno la possibilità di tornare indietro[1]. Oggi la “Repubblica di Corea”, il Sud, è al 5° posto nel mondo in termini di produzione industriale dove i primi quattro sono dei giganti come Usa, Cina, Giappone e Germania (!). Altro che borse, valigie e radioline, come negli anni ’70! Primo risultato del test: il popolo coreano, preso in sé, son gente sveglia!
Come sia andato l’esperimento nell’altra metà lo cogli subito dalle guide turistiche cinesi al gate dell’imbarco: “Ma volete proprio andare a vedere come eravamo noi cinquant’anni fa?”.In effetti oggi andare in Nord Corea è fare un fiabesco viaggio nel tempo, è andare nella Cina di Mao Tze Tung.
Dunque, il viaggio.
1.La vetrina ve la risparmio: come l’Urss, sconfinate piazze, monumenti bronzei a Kim Il Sung e a Kim Jong Il, rispettivamente il nonno e il padre dell’attuale despota; quel Kim Jong Un che vediamo obeso, perché laggiù essere ciccioni è un privilegio inarrivabile. Il presidente dello Stato è tutt’ora, udite, Kim Il Sung, quindi un morto. Un culto religioso: davanti alle statue dovevamo fare un ampio inchino, le mani composte, non additare con l’indice perché irrispettoso verso la statua; vietati i pantaloni corti o i sandali, bisognava acquistare e deporre un mazzo di fiori, le fotografie solo quando te lo dicono loro e debbono riprendere l’intera figura, non il mezzobusto, etc. Proibiti approcci con persone del posto: c’è sempre lì pronto un soldato che in malo modo le allontana. Nella capitale Pyongyang, solo vi possono risiedere i ceti privilegiati: bisogna avere un certo status, una certa condotta e garanzia di fedeltà.
Ma persino la capitale è in ginocchio, quanto a fabbisogno energetico. La sera di Pyongyang è buia, i lampioni radi. Quantunque l’elettrificazione sia l’ossessione del governo: lo stemma ufficiale dello Stato raffigura centrale idroelettrica e traliccio dell’alta tensione e la Rivoluzione Tecnica è un capitolo della Costituzione. Penoso è stato quando, per far partire una videoproiezione che avrebbe illustrato i traguardi raggiunti nella elettrificazione, hanno dovuto accendere un generatore a gasolio.
L’acqua corrente è pressoché inesistente. Fatta eccezione per pochi alberghi per funzionari e personale estero, in tutto il Paese l’acqua non esce dal rubinetto: accanto ai sanitari c’è un fusto (talvolta anche decoroso, segno di non provvisorietà) su cui galleggia un grosso mestolo, da usarsi per mani e wc …
2. La seconda Corea del Nord, e non è ancora la peggiore: è quella che vorrebbero nasconderti ma non possono (perché vogliono condurti ai luoghi della “guerra antimperialista”). Allora appena usciti in pullman vietano le fotografie.
Il lavoro agricolo è tuttora compiuto interamente a mano: per centinaia di chilometri non si è visto un solo vero mezzo di lavorazione del terreno o di raccolta. I cereali si mietono con le falci e poi si fanno i covoni. Tutto è portato a braccia: con le gerle portano altissimi carichi; i sacchi con carretti a mano, chi può sospinge anche grossi volumi mettendoli sulla bicicletta; o, quando va bene, carri trainati da bovini. Sempre magro il bestiame. Tutta la popolazione è magra. Nei campi da mietere sventolano linee di bandiere rosse. Ogni gruppo di contadini è presenziato da un soldato: il controllo è indispensabile per contenere un po’ i furti (anche se tutti sanno che si mettono d’accordo, contadini con soldati, vigilati e vigilanti …). Per trasporti di lunghe distanze, sulle strade principali trovi qualche autocarro, spesso militare. Ma sono rarità: la Corea del Nord è pedoni e biciclette.
Le ferrovie sono cadenti, le fiancate dei carri merci rammendate con vegetali intrecciati; una pista da fare camminando fiancheggia i binari ed è la cosa più adoperata. Però non si fanno mancare niente in Nord Corea, hanno pure l’autostrada: quattro corsie con aiuola, come le nostre! Ma è vuota, percorsa da qualche bicicletta e da contadini a piedi. A un certo punto ci fermiamo presso un pretenzioso edificio a ponte, come gli Autogrill Pavesi: si mangia? No, è completamente disabitato, frequentato solo nelle toilette; per attraversare la carreggiata non occorre salirvi, cammini indisturbato sull’asfalto e fai prima.
Altoparlanti pubblici somministrano musica, alternata a slogan dei Cari Leader (anch’essi, come Mao, per il popolo hanno elaborato i “pensieri”); diffusione ad alto volume in tutto il Paese, nelle campagne ancor più pervasiva, a partire dalla sveglia, alle cinque (pure la domenica). Come facevano nella Cambogia di Pol Pot.
Tutto è pervaso dalla presenza dell’Esercito, l’intera vita sociale è militarizzata. Almeno un terzo della popolazione è sotto la ferma. La metà degli uomini (e delle donne poco meno) vestono in uniforme. Aggiungi gli scolari in divisa col fazzoletto rosso, poi coloro che usano la giubba perché c’è penuria di tutto vestiti compresi, insomma è un paese in uniforme. Ho visto un programma alla tv, l’orchestra era di soldatesse e la cantante solista, anch’essa in divisa, termina il pezzo con il saluto militare. Ci hanno fatto assistere a un saggio di danza: persino i bambini, canzoncine dalla cadenza marziale, saluto militare. Alberghi e negozi essendo statali, hanno spesso all’entrata la garitta col soldato. Ai soldati e soldatesse si fanno fare tutti i lavori, edilizi, agricoli, stradali, fino ai più dequalificati: vedi coppie di ragazzine con una barella che portano massi. È l’industria della manodopera gratuita, le stesse scene viste in Eritrea.
3. C’è poi una terza Nord Corea, questa sì, inesplorabile. Sono i kwan-li-so, “campi di rieducazione attraverso il lavoro”, che ci sono ancora tutti: Yodok, Kaechon, Hwasong, Bukchang, Hoeryong, Chonjin …; di più, è stata dimostrata, attraverso rilevamenti satellitari, una crescita di essi in quantità e in estensione.
Inaccessibili sono pure le regioni degli “ostili”, i discendenti di coloro che si opposero all’affermazione del comunismo. La fame uccide, in via diretta e in via madiata: sono gli stessi giornali del regime che riportano di avvenute esecuzioni capitali per antropofagia; costretti a riferire fatti che volentieri nasconderebbero ma lo fanno sperando in una deterrenza.
La fame, anche adesso, flagella la Repubblica popolare democratica: ancora lo abbiamo sentito, il 9 e 10 maggio scorsi dagli ambasciatori della Corea del Sud e del Giappone auditi dalla Commissione Esteri di Montecitorio. In un Paese che si aggira sui 25 milioni di abitanti, al netto delle “epurazioni”dentro il Partito stesso (centomila) e della Guerra 1950-53 (due milioni), fonti attendibili calcolano, per difetto, in cinque milioni i morti per cause alimentari, fossero essi reclusi dei campi o popolazione sul territorio.
La fame. Terribili carestie, che siano della Corea del Nord, dell’Urss, del “Grande balzo in avanti” cinese o dell’Etiopia di Menghistu (l’elenco non finisce), la causa è sempre la stessa: «uno Stato contro il proprio popolo» ci dice Nicholas Werth.
[1] Vedi anche Il 24 maggio 1993 sorgeva lo Stato dell’Eritrea, 24 maggio 2023.