Premessa

La Storia è fatta dai comportamenti collettivi e personali e, per giudicarla, abbiamo un grande aiuto, c’è una cartina di tornasole molto efficace: esaminare come viene concepito l’uomo e il mondo. Da come si ritiene che l’uomo e il mondo siano discende ciò che l’uomo può e deve (o non deve) fare e quindi discendono i valori e i comportamenti che si riscontrano nella collettività e nei singoli individui. La vera storia, dunque, è sempre una storia di valori e il filo conduttore che deve guidarci nel raccontarla è la concezione, o le concezioni, sull’uomo e sul mondo che vi si riscontrano.

Da questo punto di vista la storia d’Europa è complessa. Nel nostro bagaglio culturale esistono diversi concetti sull’uomo e sul mondo che rendono la nostra società molto conflittuale e diversa, in questo, dalle altre società del pianeta che sono, in generale, più omogenee.

Se i valori dipendono dalle concezioni sull’uomo e sul mondo e sono forniti dalle risposte, più o meno plausibili, alle nostre ineludibili domande di senso, è chiaro che ogni storia non può prescindere dalle religioni, presenti o passate, perché solo le religioni sono state capaci, almeno finora, di dare descrizioni complete ed esaurienti del mondo e dell’uomo e di dare, di conseguenza, descrizioni complete ed esaurienti su ciò che l’uomo deve o non deve fare.

L’Europa è anche il luogo dove è nata la Scienza che ha eroso non poco l’ambito delle religioni. Attualmente la Scienza è molto avanti, perfino nel capire come è fatto l’uomo, ma non ha ancora scalfito il mistero della coscienza (se mai avverrà) ed è perciò ancora ben lungi dal poter sostituire le religioni in toto. In ambito personale si può vivere senza religione, come dimostra la presenza di tanti “atei virtuosi” ma in ambito storico le religioni non possono essere trascurate. In ogni caso la Storia si occupa, per definizione, del passato e nel passato, anche recente, la Scienza e la Tecnica non avevano l’importanza attuale.

Da questo punto di vista la storia d’Europa inizia da molto lontano; affonda le radici nel Mondo Antico, perché con l’Umanesimo Rinascimentale l’antica visione greco-romana dell’uomo e del mondo, così ben propagandata dall’Educazione Umanistica, è tornata di nuovo a far parte del nostro bagaglio culturale. Iniziamo quindi dal Mondo Antico.

Il Mondo Antico

La religione antica aveva una visione molto positiva della natura umana. Possiamo affermare che nessuna società ha valorizzato l’uomo e le sue capacità come la società greco-romana. Tante sono le cose stupefacenti della natura, ma nessuna è stupefacente quanto l’uomo recita il  coro dell’Antigone di Sofocle. Nihil humanum mihi alienum esse puto ci dice Terenzio: niente di ciò che è umano mi deve essere estraneo.  In sostanza le capacità umane sono stupefacenti e l’uomo le deve esercitare tutte; nessuna di esse deve esserci “aliena”.

Aggiungiamo che nel Mondo Antico l’unico peccato era la hibris, la tracotanza, la pretesa del singolo di pretendere più di ciò che gli spetta. Da questo humus culturale sono sorti la Democrazia, la Filosofia, lo Stato di Diritto, il Rispetto per la persona e le basi per la successiva nascita della Scienza ed è nato il Rispetto Reciproco come valore fondante della convivenza umana.

Il  legame insito tra religione e società del Mondo Antico è stato messo molto bene in luce da Platone nel suo dialogo intitolato a Protagora. In questo dialogo Platone narra di un incontro avvenuto ad Atene tra Socrate e il sofista Protagora; incontro in cui i due filosofi discutono su cosa si debba insegnare ai giovani per renderli buoni cittadini. E’ evidente che si parla dei valori fondanti di quella società

Sicuramente Platone scrive questo dialogo per mostrare la superiorità di Socrate sui sofisti,ma è dal contributo di Protagora, non da quello di Socrate, che emerge in modo molto chiaro una descrizione della natura e della genesi dei valori della società ateniese di allora. Protagora, discostandosi anche in questo da Socrate,preferisce esprimere il suo pensiero con un mito piuttosto che con un ragionamento logico e così, per fornirci la sua spiegazione,rielabora il mito di Prometeo.

Quando gli dei decisero di far venire alla luce le stirpi mortali mandarono i due fratelli Prometeo (il previdente) ed Epimeteo (l’imprevidente) col compito di distribuire a tutti in modo equo le facoltà necessarie alla sopravvivenza. Epimeteo volle fare tutto da solo e, imprevidente com’era, esaurì tutte le facoltà per gli animali, dimenticandosi la razza umana. Quando Prometeo se ne accorse cercò di rimediare e, non potendo chiedere altro a Zeus, rubò il fuoco a Efesto e le arti meccaniche ad Atena e queste furono le uniche risorse degli uomini. Risorse insufficienti, perché gli umani, sebbene ora fossero ingrado di difendersi dalle fiere, perivano per le lotte intestine. Ma conviene lasciare la parola direttamente a Protagora (1) Pag 43.

 Allorché gli uomini si raccoglievano insieme si facevano ingiustizie l’un l’altro, perché non possedevano l’arte politica, sicché, disperdendosi, nuovamente perivano. Allora Zeus, nel timore che la nostra stirpe potesse perire interamente, mandò Ermes a portare agli uomini il rispettoe la giustizia (aidos e dike). Allora Ermes domandò: Devo distribuire questi come sono state distribuite le arti? Le arti furono distribuite in questo modo: Uno solo che possiede l’arte medica basta per molti che non la posseggono e così è anche per altri che posseggono un’arte. Ebbene anche la giustizia e il rispetto devo distribuirli agli uomini in questo modo oppure li devo distribuire a tutti quanti? E Zeus rispose: A tutti quanti! Che tutti nepartecipino, perché non potrebbe sorgere Città se solamente pochi ne partecipassero come avviene per le altre arti. Anzi poni come legge in mio nome che chi non sa partecipare del rispetto e della giustizia venga ucciso come un male della Città”.

Resto sempre ammirato dalla concisione e dall’efficacia di questo breve racconto che in poche parole racchiude tutto quello che c’è da dire sulle società umane in generale e sulla democrazia in particolare. Ma vediamo subito di passare dal mitos al logosper capirne appienolaricchezza e la bellezza.

 Anzituttosi constata che gli uomini, da soli, non sono in grado di salvarsi. Per sopravvivere dobbiamo raccoglierci insieme, perché dispersi si perisce, ma per stare insieme occorre non farsi ingiustizie, cioè occorrono degli obblighi imparzialida rispettare, obblighi che la sapienza tecnica (in senso lato la ragione calcolante, la ratio) non è in grado di creare perché la ragione, contrariamente alle opinioni diSocrate, permette di capire come funziona il mondo e permette di usarlo per il nostro tornaconto, ma nonci dice nulla sul perché l’uomo e il mondo esistono.

Se la giustizia, inoltre, che crea l’arte di stare insieme,dipendesse veramente dalla ragione, che è eguale per tutti, si dovrebbe riscontrare una maggiore uniformità tra le varie società umane, cosa che non avviene. Senza contare che se dike fosse figlia della ragione sarebbe un pleonasmo, una ripetizione inutile di una cosa già posseduta.

Alle domande esistenziali si può rispondere solo con ipotesi metafisiche, ed è per questo che risposte concrete, finora, le hanno fornite solo le religioni e per questo è necessario l’intervento di Giove in persona ed è necessario che il dono sia esteso a tutti quanti, perché possa esserci concordia. Così, con aidos e dike, oltre alla sapienza tecnica, abbiamo anche la sapienza politica, cioè l’arte di stare insieme, che è anche l’arte indispensabile per sopravvivere.

E’ molto interessante capire perché Protagora separa dike da aidos, la giustizia dal suo argomento.Giove avrebbe potuto donarci solo aidos, il rispetto per gli altri.Il risultato, a prima vista, sembrerebbe lo stesso. Invece una differenza c’è ed è importantissima:si evidenzia la responsabilità individuale. Se occorre partecipare personalmente, con la propria volontà, al senso di giustizia si sottolinea che non è sufficiente rispettare la lettera dell’obbligo, ma occorre anche l’adesione interiore. Si evidenzia che la vera disciplina deve essere sulle intenzioni, prima che sulle azioni, perché le intenzioni precedono e causano le azioni.

L’uomo non deve essere un mero esecutore passivo, ma deveaderire anche con la volontà; da qui deriva la sua dignità. Questo è ciò che vuole Giove (in senso lato la religione antica). In definitiva il significato ultimoè che per stare in concordia insieme agli altri senza farsi ingiustizie,ogni individuo deve disciplinare la propria volontà col rispetto reciproco.

Questa enfasi sulla volontà e sull’intenzionalità era comune a tutto il mondo antico. Basti pensare alla frase con cui i Romani completavano ogni loro contratto: Coactus tamen volui, costretto tuttavia volli, perché un contratto senza adesione interiore era nullo per loro.Questo concetto è ribadito anche alla fine quando Gioveafferma che “chi non sa partecipare del rispetto e della giustizia venga ucciso come un male della Città. Se aidos e dike fossero semplici doni di natura, non dipendenti dalla nostra accettazione volontaria, non ci sarebbe più responsabilità individuale, perché in caso di ingiustizie è la natura che sbaglia, non l’individuo, e lo sbaglio sarebbe di Giove che ci ha dato una natura imperfetta. Giove si premunisce; perchénessuno possa pensare a questa spiegazione, ribadisce che, per chi sbaglia, c’è il massimo della pena. La colpa è individuale e va cercata nella volontà del singolo, non nella sua natura. E’ questa la base fondante dell’etica antica e di ogni etica della responsabilità.

C’è una circostanza che può aiutarci a capire l’importanza delle intenzioni nel Mondo Antico ed è data dalle parole buonafede e malafede che hanno conservato, malgrado il tanto tempo trascorso, il loro significato originario di buone o cattive intenzioni. Ora per fede si intende l’accettazione di una verità rivelata per cui la fede può esserci o non esserci e non essere buona o cattiva. Nel Mondo Antico invece la fede era l’adesione consapevole all’ordine voluto dagli dei per cui un’accettazione solo esteriore era considerata malafides.

Protagora inoltre si era accorto che la disciplina deve essere estesa a tutti quanti, ovvero che deve essere condivisa per avere effettiva concordia. Avere abitudini mentali comuni, praticare gli stessi valori, significa infatti avere stesse motivazioni per le azioni, fornire le stesse risposte ai problemi e sentirsi portatori di un destino comune e questo permette al singolo di identificarsi con facilità col gruppo. Viceversa, fa sentire diversi, con un altro destino, quelli con altri valori che, con diverse regole di condotta, hanno un diverso modo di vivere.

Il vero problema di ogni società è, infatti, l’adeguamento della volontà individuale con quella collettiva e questo adeguamento risulta spontaneo e senza fatica quando tutti vogliono le stesse cose perché condividono gli stessi valori. L’accordo è spontaneo, per definizione, con chi la pensa come noi. Un idem sentire, dunque, è capace di armonizzare il volere di ciascuno col volere di tutti e fornire gratis alla società la disciplina condivisa di cui ha bisogno. Un idem sentire è la migliore garanzia per l’esistenza di una società, per la sua capacità intrinseca di aggregare gli uomini.

Nel Mondo Antico ne erano consapevoli; non solo Protagora si era accorto che non potrebbe sorgere Città se solamente pochi ne partecipassero, ma anche Cicerone con la sua definizione di società: Societas sive mos communis, conferma che non esiste società senza un “costume comune”, una condivisione di valori.

Questi sono gli insegnamenti importantissimi di quell’antica religione e nessuno può dubitare che la società antica, con questa enfasi sulla disciplina della volontà, sulla necessità di una adesione interiore, non solo formale, alle leggi, ha valorizzato al massimo l’uomo e la sue capacità ed ha posto le basi per i tanti successi che ha ottenuto.

Il Rispetto Reciproco non ha fatto nascere solo la democrazia ateniese. Se il Diritto romano è basato sui tre famosi capisaldi di Ulpiano: Honeste vivere, alterum non ledere, suum cuique tribuere, ovverovivere senza inganni, non ledere il prossimo, dare a ciascuno il suo, siamo di nuovo in presenza del Rispetto Reciproco. Gli Ateniesi l’hanno espresso poeticamente con un mito, i Romani più concretamente col loro Diritto.

Penso che non ci possa essere, per i valori della Democrazia e del Mondo Antico una spiegazione migliore di questa suggerita da Protagora.

Dal Mondo Antico al Cristianesimo

Col Cristianesimo il discorso si complica. Nel Vangelo l’uomo è concepito ad immagine e somiglianza di Dio, con una concezione, quindi, che più ottimista non potrebbe essere, ma i fatti storici hanno poi portato la Chiesa ad accettare una visione diametralmente opposta. Questi fatti, anche se oramai remoti, devono invece essere conosciuti per l’importanza cruciale che hanno avuto e che hanno tuttora.

Nel 380 d.c. l’imperatore Teodosio, con l’editto di Tessalonica, dichiarò il Cattolicesimo religione ufficiale dello stato ed undici anni dopo, nel 391 d.c., proibì, con un nuovo editto, i culti pagani. Quel giorno la Chiesa ricevette “tutta la terra in proprio possesso” e per il mondo antico fu l’inizio della fine. Per gli storici la fine è nel 476 d.c., quando le insegne dell’imperium furono trasferite da Roma a Costantinopoli; ma in quella data il mondo antico era già irriconoscibile anche agli occhi dei contemporanei, non tanto per l’avvenuto ingresso dei barbari entro i confini, quanto perché nel frattempo la Chiesa, con l’aiuto del potere imperiale, aveva largamente diffuso la sua nuova visione del mondo che considerava effimere tutte le conquiste del passato.

La Chiesa ricevette “tutta la terra in proprio possesso” dall’imperatore Teodosio senza che la sua dottrina fosse ancora ben definita. Solo con l’Editto di Costantino del313 d.c. il Cristianesimo era stato permesso e la storia ci diceche la dottrina ufficiale fu completata in pratica da un uomo solo: Sant’Agostino (2). Il suo De Doctrina Christiana vide la luce nel 396 d.c. ma fu terminato nel 426 d.c. In quegli anni pubblicò anche il De Civitate Dei. Con queste due opere principali e con l’enorme lavoro di esegesi che condusse durante tutta la sua vita, colmò le lacune dottrinarie e costituì il “Vangelo politico” che la Chiesa istintivamente adottò ed utilizzò nell’assumersi il compito di riempire il vuoto causato dalla caduta dell’Impero.

Il pensiero di Sant’Agostinoè basato su una visione del mondo e dell’uomo improntata al più radicale pessimismo. Il mondo è degradazione e dolore e l’uomo, massa lutei, massa di fango, è proprietà del diavolo. L’uomo è decaduto a causa del peccato originale e non è più in grado, da solo, di raggiungere il bene e di salvarsi. Per Agostino nemo bonus, nessuno è capace, perciò la grazia è necessaria, senza di essa all’uomo è negata la salvezza. Per predisporsi alla grazia occorre abbandonarsi alla volontà di Dio e per farlo occorre annullare la volontà propria. I concetti fino ad allora vigenti sulla natura dell’uomo e del mondofurono completamente ribaltati.

La Chiesa ottenne tutta la terra in proprio possesso non in virtù di un’opera di convincimento ma, da Teodosio in avanti, grazie alla forza dei decreti imperiali. Agostino considerò questo fatto una chiara manifestazione della volontà divina e concluse col ritenere la Chiesastrumento di Dio necessario per imporre obbedienza. Anche se nemo bonus gli uomini non vanno abbandonati, sono dei malati che vanno curati (anche contro la loro volontà). Per il nostro bene Agostino teorizzò la eruditio per molestias e così l’uso della forza, la verga caritatevole, ebbe modo di diventare, come di fatto avvenne, rispettabile fervore cristiano. I valori clericali che hanno procurato tanti oppositori alla Chiesa nascono tutti in quegli anni e per opera di un uomo solo.

Non si riconobbe il diritto alla libertà di coscienza ed alla libertà religiosa. Chiesa strumento di Dio per imporre obbedienza sulla Terra e Stato suo servitore è l’ideologia politica risultante ed è l’ideologia che egemonizzerà la società del Medioevo e che trova estimatori ancora ai nostri giorni. Quindici secoli dopo il conservatore De Maistre farà l’elogio del boia, che considera il vero pilastro della società. Senza la paura del boia la società, per De Maistre, non potrebbe sostenersi. E’ farina del sacco di Agostino.

Anche la storia non è più un racconto dell’uomo, un racconto delle sue gesta esemplari, ma è un disegno provvidenziale. Il fluire delle vicende umane è opera di Dio, non dell’uomo. Corollario è che ogni impegno civile è pura vanitas e il destino degli Stati appartiene a Dio.I potenti sono coloro per mezzo dei quali Dio agisce e di conseguenza ribellarsi ai potenti è sacrilegio. Si toglie dignità all’uomo che diventa un irresponsabile senza doveri civili; gli esiti politici non dipendono dalle sue scelte e il giudice non è la propria coscienza, ma solo Dio attraverso la Chiesa.

L’uomo è drasticamente separato dalla natura e dai suoi simili (non avrai più ne padre ne madre) e l’armonia con gli altri è un valore effimero perché non produce meriti e può essere perfino dannosa se distoglie dai veri fini. Bisogna rispettare il volere di Dio e non gli istinti naturali o i consigli della ragione. Il vero cristiano è nemico del mondo e deve rompere col mondo.Questo è il prezzo della nuova fede.

Nel mondo antico l’uomo era considerato capace e responsabile e valeva tanto quanto sapeva disciplinare la sua volontà. La dignità consisteva nel saper far fronte ai propri doveri. Ora l’uomo è irresponsabile e l’irresponsabile non ha doveri, deve solo accettare la volontà di Dio che si manifesta per mezzo della Chiesa. Tutto questo perché Agostino pensa che la libertà dell’uomo mal si concilia con la libertà di Dio e ritiene ovviamente libero Dio e non l’uomo.

Se non si muove foglia che Dio non voglia le azioni dell’uomo perdono valore; perfino quando l’uomo opera bene il merito va a Dio e non all’uomo. Il libero arbitrio diventa una finzione. Il pessimismo di Agostino riduce il campo delle possibili scelte ad una sola: annullare, con un supremo sforzo, la propria volontà ed abbandonarsi alla volontà di Dio. La volontà è un dono terribile, dato che l’uomo non ha la forza di dominarla. Il nuovo ideale umano, il santo, è colui che si adegua alla volontà divina sapendo rinunciare alla volontà propria ed a tutte le esigenze della natura umana.

Sant’Ambrogio disse che vale molto di più la santità di un povero ed ignorante prete di campagna di tutta la sapienza dei filosofi. Questa è la sapienza che alla fine la Chiesa riesce ad imporre e che costituisce indubbiamente un’antitesi radicale al mondo greco-romano. Nel mondo antico tutto era basato sull’esaltazione della natura umana(niente di ciò che è umano ci deve essere estraneo). Per Agostino,invece, solo la propensione al peccato è naturale nell’uomo e comune a tutti.

Il Cristianesimo introduce un nuovo logos, una nuova spiegazione del mondo che valorizza il soggetto, ma appena questo nuovo logos riesce ad “ottenere tutta la terra in proprio possesso” Agostino lo fa abortire dichiarando il soggetto incapace di gestire la propria libertà. Il colpo, per i valori del passato, fu terribile. Tanto terribile che ancora oggi, dopo più di sedici secoli, dobbiamo lottare per neutralizzarlo.

E’ noto come la Chiesa sia riuscita a mantenere quel che aveva ottenuto da Teodosio anche alla caduta dell’Impero legittimando i capi barbari col dichiararli al servizio di Dio e lasciando loro, in contropartita, un potere politico assoluto. Ad ogni conversione di Re segue la conversione del popolo. Così i barbari furono assimilati dalla Chiesa e non da Roma, e fu questa assimilazione che fece morire la romanità, non le distruzioni che i barbari avevano operato. I barbari presero il potere politico, ma Roma capta non caepit ferum vincitorem, come fecero i greci con i romani, perché questa operazione fu realizzata dalla Chiesa.

La Chiesa distrusse il prestigio della cultura antica mentre l’aristocrazia barbarica, che alla fine mantenne la sua visione del mondo, distrusse i vantaggi dell’organizzazione politica romana. I barbari, da soli, non avrebbero potuto affossare la cultura antica, data la loro visione politica tanto più esigua e non avrebbe potuto la Chiesa, da sola, senza l’alleanza materiale fornitale dai nuovi venuti. Alla fine, da tanto disastro, emersero la Chiesa e l’Impero (i due Astri) e una società fondata sul privilegio (che durerà fino alla Rivoluzione francese) ed in cui i criteri di diritto e di autorità sono dovuti alla potenza materiale e che giustifica i fatti compiuti col volere divino. Ora la hybris, per chi se la può permettere, non è più il supremo peccato, ma il segno della preferenza divina. Un cambiamento più radicale di questo è difficile da immaginare.

Da Cristianità ad Occidente

Per fortuna i due Astri cominciarono quasi subito a litigare tra loro e questo facilitò l’affermarsi di nuove forze. Nacquero i Comuni, le Università e, con le Crociate e le aperture commerciali e mentali che ne seguirono, maturarono cambiamenti significativi. Accanto al clero e ai nobili compaiono ora anche mercanti, banchieri, artigiani, magistrati, che, col rinato uso del latino, esteso a tutt’Europa, infrangono il monopolio della cultura fino ad allora tenuto saldamente dalla Chiesa.

In quegli anni Dante descriverà da par suo il nuovo spirito dei tempi: “considerate la vostra semenza, fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir vertute e conoscenza”. Dante dimostra che accanto al penitente di Sant’Agostino che aveva monopolizzato completamente l’Alto Medioevo, l’uomo nuovo è già presente, è oramai autosufficiente, ha fiducia in se stesso ed inizia ad occupare la scena del mondo. L’uso del latino, che in certi ambiti è di nuovo una lingua parlata, permise una sempre migliore conoscenza del mondo antico e dei suoi valori e la continua conferma dei tanti pregi della natura umana che il mondo antico dava, è il motivo dell’ansia di riscoprire gli antichi ed il motivo per cui i “nuovi” si definirono “umanisti”.

 “Restaureremo la lingua di Roma e, con essa, tutte le antiche discipline” (Lorenzo Valla) divenne una parola d’ordine e con questa parola d’ordine gli homini novi si accinsero a chiudere col Medioevo ed a cambiare il mondo. Gli umanisti si accorsero subito che non tutti usano al meglio le possibilità che la natura umana offre perché la natura umana è un campo di possibilità e come tutti i campi deve essere coltivato. Un campo incolto non dà frutti e per coltivare la natura umana nacque l’educazione umanistica che da allora è stata egemone fin quasi ai giorni nostri.

Coerentemente con quanto detto finora non troviamo la nuova cultura nel chiostro e neanche nelle università. I primi umanisti sono mercanti, magistrati, banchieri e sono quasi tutti italiani. Da questo momento la storia d’Europa cambia. Nella società è stato infranto il monopolio dei valori creati da Sant’Agostino. Il modo antico di concepire l’uomo e il mondo torna a far parte del bagaglio culturale prima italiano e poi europeo.

I nuovi uomini non rinnegano (per qualche secolo ancora) l’idea cristiana in una vita futura, ma non si sentono più pellegrini in attesa dell’aldilà e vogliono vivere e fruire al meglio anche il Mondo che non è affatto una valle di lacrime, ma un posto dove l’uomo, vero artefice di se stesso, può e deve realizzarsi. Gli “homini novi” non solo rifiutano un destino che non sia un proprio progetto, ma includono nel loro progetto anche la fruizione del Mondo.

Se la Natura è stata fatta per noi e non è da fuggire, ma da fruire, dobbiamo conoscerla per dominarla e non essere da essa dominati. Non potendo permetterci pregiudizi, la spiegazione dei fatti naturali, come metterà bene in evidenza Bacone, non può avvenire sui libri, ma solo interrogando la Natura stessa. Nasce il metodo sperimentale e si imbocca la via che porterà alla scienza.

Purtroppo il primato culturale ed economico dell’Italia finì presto. Le città-stato italiane subirono, di fronte ai nascenti stati-nazione europei, la stessa sorte delle poleis grechedi fronte a Roma; in più la conquista turca dell’Egitto e la concomitante scoperta dell’America, permise di sostituire le rotte mediterranee per l’Oriente con quelle atlantiche e così l’Italia da baricentro dei traffici e della cultura si ritrovò a vivere in una periferia sempre più marginale e povera.

Il Rinascimento lasciò la sua culla natale e si spostò verso Occidente mutando il suo carattere prevalentemente artistico e letterario che aveva avuto in Italia per affrontare anche problemi politici e sociali. Complice anche la Riforma protestante e le seguenti guerre di religione si capì che il nuovo modo di concepire l’uomo e il mondo non poteva più essere conciliato con la Chiesa e col Cristianesimo, anche se riformato.

Nascono, con Machiavelli in politica e con Spinoza in filosofia, le prime manifestazioni di un pensiero libero da ogni influenza del Cristianesimo e nascono i primi atei, come dimostra la diffusione di un libro anonimo, il “Trattato dei Tre Impostori” in cui Gesù, Mosè e Maometto sono definiti impostori e imposture le loro religioni.

Venuta meno l’antica giustificazione religiosa ai valori fondanti la convivenza umana, gli umanisti adottarono in primis una giustificazione fornita bella e pronta da Cicerone che nel De republica afferma che esiste una legge “vera, conforme a ragione, immutabile ed eterna”, che non cambia col tempo e con il luogo, perché è conforme alla natura umana che è invariante”. L’uomo porta questa legge “vera e giusta” dentro di se, e non la può violare, a meno di rinnegare la natura umana.

Per Ugo Grozio (Huig Van Groot), che è considerato il fondatore del giusnaturalismo moderno, quelle leggi “vere e giuste, conformi a ragione, immutabili ed eterne”, sono da considerare valide anche se Dio non ci fosse, etsi Deus non daretur, e si possono e si debbono perciò accettare anche prive di una giustificazione religiosa.

Nel frattempo la nascita della scienza e il grande impatto sulla cultura causato dal lavoro di Newton che aveva mostrato le enormi potenzialità della ragione, portarono a ritenere la ragione il vero mezzo donatoci dalla natura per illuminare il nostro cammino.

Nacque l’Illuminismo che alla fine fu capace di innescare i cambiamenti politici e sociali che presero forma in modi molto diversi a seconda del contesto in cui si verificarono. In Francia, dove esisteva una forte monarchia, con un passato lungo e glorioso, la tradizione era molto forte e lo scontro, covato a lungo, alla fine esplose, con la Rivoluzione Francese, in modo devastante.

La Rivoluzione Francese

Con la Rivoluzione Francese cadono le giustificazioni che fino ad allora avevano tenuto in piedi la società, ma fu come scoperchiare il vaso di Pandora che, aperto, permise alla società di esprimersi liberamente e vennero alla luce tutte le istanze fino ad allora latenti. In Francia, dove la Chiesa era molto compromessa col vecchio regime, ci fu un completo sovvertimento dell’ordine sociale e religioso precedente. Stato e società si organizzarono secondo i valori dell’Illuminismo rinnegando ogni eredità del Cristianesimo.

Nel mondo calvinista, invece, la frammentazione religiosa, ancor prima della Rivoluzione Francese, aveva portato la società a sentire necessaria una certa tolleranza tra le varie sette e necessario un governo laico super partes (senza alcuna connotazione religiosa) per essere equidistante tra le varie confessioni e in quel mondo le nuove idee prosperarono convivendo con l’ordine sociale e religioso preesistente.

Molto diversa la situazione nel mondo luterano. Lutero, monaco agostiniano, rifiutò la finzione di Sant’Agostino riguardo al libero arbitrio e riportò in auge la predestinazione, mettendosi così in rotta di collisione con l’Umanesimo e con l’idea dell’uomo responsabile e capace di forgiare il proprio destino. Con la predestinazione ogni impegno umano è ovviamente inutile e risibile se i giochi son fatti e non si possono cambiare. Lutero, inoltre, negò ogni valore alla ragione definendola una “puttana”, perché, date le sue capacità critiche, si mostra spesso “acerrima ed accanita” nemica di Dio e capace, con ciò, di confondere e sviare gli uomini.

Svalutata la ragione, all’uomo rimangono solo sentimenti e passioni che nel mondo luterano divennero egemoni e generarono il Romanticismo che considera l’uomo “un dio quando sogna e un mendicante quando ragiona” (Hoelderlin) e considera realizzato solo chi riesce a vivere pienamente le proprie passioni.

Per i romantici non è la ragione, ma la fede, la migliore via di accesso alla realtà, perché solo la fede permette di afferrare la realtà più profonda dell’uomo ed i suoi bisogni più genuini. Al mondo ci sono molte più verità di quelle accertate dalla fisica e dalla matematica. I romantici in sostanza, enfatizzano le esigenze dell’Io e contrappongono i valori della personalità ai valori dell’umanità e della ragione tipici dell’Illuminismo. L’enfasi sulle esigenze dell’Io rende i romantici chiaramente avversi a tutti i valori universali col risultato di far sentire gli “altri” estranei e senza importanza. E’ il miglior terreno di coltura per il razzismo e il nazismo.

Ovviamente le passioni, con la forza che hanno di orientare la nostra volontà, non vanno sottovalutate, ma anche loro devono essere disciplinate e gestite. Non si può dar libero sfogo a tutte le nostre passioni e considerare realizzato solo chi riesce a viverle completamente. Ho l’impressione che sia sottovalutato l’apporto del Romanticismo alle crisi e alle tragedie del secolo appena concluso.

Non si deve dimenticare, inoltre, che alla Rivoluzione Francese si unì la Rivoluzione Industriale che completò il lavoro di scardinare del tutto il vecchio mondo. Così l’Umanesimo rimase solo un attore fra tanti e la sua voce si disperse tra il chiasso di tante proposte che si concretizzarono nei fatti con una moltitudine di “ismi”, di ideologie, ognuna con la pretesa di possedere la verità, ma con il solo risultato di provocare le crisi e le tragedie che hanno funestato l’ultimo secolo, terminato infine senza un netto vincitore e con la conseguente tragica svalutazione di tutti i valori.

Anche in campo artistico si assiste allo stesso fenomeno: il proliferare di proposte ognuna più radicale delle altre. L’arte moderna ci mostra, forse in modo ancora più evidente e chiaro, la grande cesura col passato e la mancanza, anche in questo campo, di un indirizzo comune. Da allora brancoliamo nel buio alla ricerca di un futuro che non sappiamo scegliere.

Conclusione

La conclusione appare chiara: l’Umanesimo ha contribuito in maniera determinante alla trasformazione dell’Europa da Cristianità ad Occidente; è stato molto efficace nella pars destruens del cambiamento ma non lo è stato altrettanto nella pars costruens, che in effetti è mancata, perché non si è ricostituito un mos communis.

Gli esiti immediati della Rivoluzione Francese sono noti a tutti: sono nelle richieste di libertà, eguaglianza, fraternità. La fraternità è stata poi, in genere, la meno considerata, ma libertà ed eguaglianza hanno fatto scorrere fiumi di inchiostro e fatto nascere dispute interminabili ed è innegabile come queste dispute abbiano monopolizzato la politica di questi ultimi due secoli, dispute che hanno anche dimostrato come libertà ed eguaglianza siano poco compatibili tra loro,; possono solo competere e alternarsi alternandosi, in questo periodo, in perenne confronto.

Ma libertà ed eguaglianza sono falsi amici, perché la libertà va sempre e comunque disciplinata, a meno di non voler vivere da soli, e l’eguaglianza non si può imporre senza contrastare esigenze reali della natura umana.

La libertà, a mio parere, è la sensazione che tutti possediamo di essere liberi non solo di pensare e di volere, ma anche di trasgredire. Il pronome personale Io non potrebbe esistere se non avessimo questa sensazione interiore di libertà, presunta illimitata, che permette a ciascuno di noi di sentirsi un soggetto distinto dagli oggetti e da tutti gli altri soggetti.

La sensazione di essere liberi e unici, dunque, fondando la coscienza di se, è alla base della personalità di ciascuno di noi e non deve stupire che qualcuno possa ritenere sacra la libertà, ma questa libertà assoluta non è possibile se vogliamo vivere in società, perché una società dove ognuno può fare quel che gli pare è priva di senso.

I limiti al nostro Io non possono essere sottovalutati, nessuno è padrone del mondo. Possono esistere solo alcune libertà, più o meno numerose e dipendenti dal criterio di giustizia adottato. Non è la Libertà, infatti, ma è la Giustizia che, disciplinando la libertà, crea l’arte di stare insieme, come si era già accorto Protagora.

Per questo i liberali sono, in pratica, spariti, perché con la costante enfasi sulla libertà hanno propagandando di fatto il relativismo, che considera i valori tutti eguali, col risultato di sminuirli e di rendere più difficile “l’arte di stare insieme”.

La storia ci mostra che le società liberali possono vantare enormi successi: la fine della schiavitù,che era stata sempre presente in tutte le epoche e società precedenti, la nascita della tolleranza, l’emancipazione delle donne, la diffusione della scienza e della tecnica che ha portato un benessere mai conosciuto prima. Nelle società liberali, soprattutto, sono stati tolti tanti impedimenti che imprigionavano la personalità umana dando a ciascuno di noi la possibilità di esprimersi al meglio, ma tutti questi successi non sono dovuti alla libertà praticata senza se e senza ma, ma ad una libertà disciplinata dal Rispetto Reciproco, che è il vero criterio di comportamento, anche se sottinteso, promosso dall’Umanesimo. La propaganda liberale avrebbe avuto esiti molto diversi se si fosse riconosciuto come valore fondante il Rispetto Reciproco invece della Libertà.

Un’ulteriore conseguenza dell’enfasi sulla libertà è stata quella di lasciare agli altri il monopolio dell’etica e la Sinistra ne è stata largamente avvantaggiata. Malgrado questo enorme vantaggio, però, neanche la sinistra è stata in grado di creare un mos communis, perché anche l’eguaglianza, il valore con cui la sinistra ha pensato di giustificarsi, è un falso amico.

L’eguaglianza non rispecchia la nostra reale natura, perché ognuno di noi è un unicum irripetibile, ed è impossibile essere diversi da ciò che si è. Se osserviamo con occhi disincantati questo presunto valore dobbiamo subito affermare che l’eguaglianza non c’è; neanche due gemelli omozigotici sono perfettamente eguali tra loro. Noi differiamo l’un l’altro per il patrimonio genetico e per il vissuto e genesi ed epigenesi sono uniche per ognuno di noi e questo ci rende esseri unici e irripetibili e rende l’eguaglianza assoluta un disvalore. In ogni caso le differenze sono il sale del progresso e dell’evoluzione e questo sarebbe già di per se sufficiente a condannare l’eguaglianza assoluta.

Occorre essere consapevoli che ci sono differenze casuali, altre volute ingiustamente, ma molte sono lecite. Le prime vanno combattute, ma le differenze lecite vanno non solo mantenute, ma addirittura alimentate, perché sono il vero motore di ogni società. Mancando quelle la società è statica e si livella sul basso ed è perdente nelle competizioni. In sostanza la libertà assoluta distrugge la società e l’eguaglianza assoluta distrugge la persona. Non saprei scegliere tra le due quale sia la peggiore.

Ora sorge il problema: come si è potuto arrivare a tanto fraintendimento? Azzardo una risposta: le richieste di più libertà e più eguaglianza, sorte immediate ed impellenti con la Rivoluzione Francese, sono state fraintese e percepite come espressione di valori assoluti e indipendenti. Nell’ambiente illuminista dell’epoca, dove le spiegazioni venivano cercate nella Natura o nella Ragione, si dava credito solo a spiegazioni universali, cioè valide per ogni tempo e per ogni luogo, e aveva scarso appeal una spiegazione relativa ad un dato ambiente e ad una data epoca.

Invece le spiegazioni dei valori si trovano nella Storia, e sono sempre relative al modo di concepire l’Uomo e il Mondo, che può variare col luogo e col tempo. Nel nostro caso era avvenuto proprio questo: la riscoperta dell’antico modo di concepire l’Uomo e il Mondo ha fatto percepire inadeguato l’Ancien Regime, come si evince chiaramente dalla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino, e questa è la vera causa della Rivoluzione Francese, di cui le richieste di più libertà e più eguaglianza sono solo una conseguenza.

I danni di tanto abbaglio sono stati finora mascherati e compensati dal monopolio della scienza e della tecnica. Ora che quel vantaggio è finito è necessario correre ai ripari, dato che la competizione con le altre società del pianeta è sempre in azione, fa parte della vita e se una società non percepisce chiaramente quali sono i suoi veri valori fondanti non li può certo propagandare e difendere come si deve ed è destinata a decadere ed a perdere nella competizione con le altre società del pianeta.

  E’ paradossale constatare come l’Occidente possegga nel suo bagaglio culturale la migliore “arte di stare insieme”, ma non la abbia saputa utilizzare. Non basta, inoltre, riscoprire il Rispetto Reciproco come valore fondante, occorre anche che divenga mos communis, “esteso a tutti quanti” perché “non potrebbe esistere Città se solo pochi ne partecipassero”. In altre parole deve anche finire l’attuale “politeismo di valori” fonte delle tante contese politiche che ci hanno afflitto e occorre che si instauri, finalmente, un mos communis anche per la nostra società.

Bibliografia

 (1)  Platone, Protagora   A cura di Giovanni Reale Bompiani 2001

 (2) –  Peter Brown, Agostino Einaudi

 (3) –  Francisco Rico, Il Sogno dell’Umanesimo – Piccola biblioteca Einaudi 1998

 (4) –  Norberto Bobbio. Destra e sinistra – 

 (5) –  Eugenio Garin, La cultura filosofica del Rinascimento Italiano – Sansoni editore

 (6) –  S. Berti (a cura di), Il Trattato dei tre impostori – Nuova Universale Einaudi 1997

 (7) –  Ruediger Safranski, Il Romanticismo – Longanesi 2011

 (8)-  Isaiah Berlin, L’età romantica – RCS Libri 2009

 (9) –  Isaiah Berlin, Il Legno storto dell’Umanità – Adelphi 1994

 (10) –  Sismondi, Storia delle Repubbliche italiane – Bollati Boringhieri 1996