Oggi voglio ricordare un personaggio poco conosciuto o misconosciuto. Si tratta di Ezio Garibaldi, discendente in linea diretta da Giuseppe e Anita. Era, infatti, l’ultimogenito di Ricciotti Garibaldi, figlio dell’Eroe dei Due Mondi, e di Costanza Hopcroft, inglese.
Nacque il 2 gennaio 1894 (il giorno precedente, secondo alcune memorie familiari) a Riofreddo, pittoresco borgo ad una sessantina di chilometri da Roma al confine con l’Abruzzo. Di Riofreddo diverrà, negli anni Venti, prima Sindaco e successivamente Podestà.
Nel 1911 lo troviamo iscritto all’Istituto Industriale di Fermo, ma l’anno dopo fugge per raggiungere la Legione Garibaldina in Grecia, comandata da suo padre.
Rientrato in Italia per conseguire il diploma, allo scoppio della prima guerra mondiale è tra gli interventisti più accesi, ma il suo interventismo non è fatto solo di chiacchiere: infatti 6 dei 7 fratelli Garibaldi si arruolano, quando l’Italia è ancora neutrale, in un reggimento speciale della Legione Straniera, tutto formato da volontari garibaldini e posto al comando del fratello maggiore Giuseppe, detto Peppino. Il reggimento viene inviato sul fronte delle Argonne e qui due dei fratelli Garibaldi, Bruno e Costante, muoiono in combattimento. Quando l’Italia entra in guerra ritroviamo i fratelli Garibaldi, tra cui Menotti jr. , che non aveva potuto partecipare all’impresa delle Argonne, nel 51° Reggimento di Fanteria “Cacciatori delle Alpi”, impegnato sul fronte dolomitico. Qui, sul Col di Lana, il 26 ottobre 1916, una pallottola gli trafigge la gola, ma riesce miracolosamente a salvarsi. Verrà ferito anche l’anno successivo.
Dopo la guerra, il padre Ricciotti aderirà al fascismo e lo stesso farà anche Ezio, legato da una certa familiarità con Mussolini sin da quando questi era socialista. Poi la comune lotta interventista cementerà questa familiarità.
Ezio Garibaldi vedeva nel fascismo la continuazione dell’esperienza volontaristica risorgimentale rappresentata, appunto, dal garibaldinismo. Lo stesso Mussolini giocò in maniera equivoca con questa idea: in un’epoca in cui il retaggio risorgimentale era ancora piuttosto vivo e sentito, tutti sapevano che il titolo di Giuseppe Garibaldi era quello di “Duce delle Camicie Rosse”, per cui titolo di Mussolini “Duce delle Camicie Nere” rimandava inevitabilmente al primo.
Ezio Garibaldi nel 1927 venne nominato Console Generale della Milizia, grado corrispondente a quello di Generale di Brigata dell’Esercito. Fondò nel 1925 il periodico “Camicia Rossa”, prima settimanale, poi mensile. Da organo della Federazione Nazionale Volontari Garibaldini, con la quale si voleva unificare tutte le associazioni dei reduci in Camicia Rossa (all’epoca erano ancora vivi alcuni dei Mille, senza parlare dei reduci delle campagne successive fino ai fanti dei Cacciatori delle Alpi della Grande Guerra) si trasformò in palestra di dibattito politico (all’interno del fascismo, ovviamente) e pubblicò numerosi saggi di grandi studiosi del Risorgimento. Le idee di Ezio Garibaldi sul fascismo e il suo contributo al dibattito ideologico allora in atto, sono condensate nel volume “Fascismo Garibaldino”, del 1928, mentre le sue posizioni in politica estera le ritroviamo nel “Memoriale alla Francia”, pubblicato da Vallecchi nel 1931. Secondo lui la sorella latina avrebbe dovuto condurre una politica più morbida nei confronti dell’Italia. Per le sue ascendenze familiari materne, il regime utilizzò Ezio Garibaldi (così come utilizzò altri personaggi come Guglielmo Marconi ed il grandissimo medico prof. Aldo Castellani) per una sorta di “diplomazia segreta parallela” tesa a smussare i punti di attrito tra Roma e Londra e a favorire una politica estera britannica più filoitaliana. Col senno di poi, è facile dire che una certa ottusità franco-britannica favorì e predispose l’Italia ad una alleanza con la Germania (quando Ezio Garibaldi scriveva queste cose il regime nazista a Berlino doveva ancora sorgere): quanto meno nefasto per l’Europa ed il mondo sarebbe stato l’asse tripartito Roma – Parigi – Londra… Ma la storia non si fa con i se…
Deputato al Parlamento per tre legislature, Ezio Garibaldi fece sentire la propria voce e mise la propria penna a disposizione della lotta contro il razzismo e l’antisemitismo (i due termini non sono sinonimi e cosa diversa sono anche l’antisemitismo ed il semplice pregiudizio antisemita). Il nazionalismo italiano, nemmeno nelle sue forme più estremiste, fu mai razzista o antisemita. Ciò per tutta una serie di motivi storici e sociali che per essere spiegati richiederebbero un altro articolo (magari in futuro lo farò, forse proprio qui) ma, soprattutto, perché il nazionalismo italiano, dal Risorgimento in poi, si è basato essenzialmente su fattori spirituali, culturali e morali, non meramente etnici o biologici.
In scritti e in discorsi parlamentari, Ezio Garibaldi si scagliò contro l’antisemitismo nazionalsocialista, mettendone in evidenza le menzogne vere e proprie e sottolineando come italiani ebrei (preferisco questa definizione a quella di ebrei italiani) avessero sempre combattuto a fianco di italiani di altra religione per l’unità nazionale, dal Risorgimento in poi. Siccome in Italia uno dei primi banditori del razzismo fu il professore senese Giulio Cogni, egli definì le teorie razziste delle “cognonerie”, termine un po’ goliardico ma appropriato. Ezio Garibaldi si espresse anche contro le leggi razziali guadagnandosi l’odio e il disprezzo di certi “intransigenti” (ma lui in verità si sentiva più intransigente di loro…). Solo la protezione personale di Mussolini, che gli rimase sempre amico sin da quando, ancora molto giovane, lo prese a fare praticantato giornalistico all’“Avanti!”, il quotidiano da lui diretto, lo salvò da grosse rogne. All’epoca delle persecuzioni vere e proprie, il Castello Garibaldi di Riofreddo servì spesso come punto di transito e smistamento di ebrei in fuga: il cognome Garibaldi non poteva essere troppo facilmente messo nel mirino dei persecutori…
Si devono all’attività di Ezio Garibaldi la promozione dell’ Edizione Nazionale degli scritti di suo nonno, l’organizzazione dei pellegrinaggi nazionali a Caprera ogni anno, il monumento ad Anita Garibaldi dello scultore Mario Rutelli sul Gianicolo nel 1932, il mausoleo – sacrario dei Caduti per Roma, sempre sul Gianicolo, nel 1941.
Una delle sue battaglie fu anche quella a sostegno dell’irredentismo nizzardo, con la costituzione dei Gruppi di Azione Nizzarda e la fondazione del quindicinale “Il Nizzardo”, molto battagliero, che riprendeva la testata di un quotidiano di Nizza, distintosi per la contrarietà dell’annessione della città alla Francia e per questo soppresso nel 1860.
Dopo l’8 settembre 1943 si ritirò dalla vita politica, anche se ebbe un lungo e franco colloquio con Mussolini alla Rocca delle Caminate e le autorità della Repubblica Sociale Italiana tollerarono la sua attività culturale e l’uscita di qualche numero di “Camicia Rossa”.
Nel 1944 venne catturato dagli Alleati e internato nel campo di concentramento di Padula (suo fratello Peppino venne arrestato dai tedeschi e portato nelle famigerate carceri di Via Tasso mentre un altro fratello, Sante, con cui aveva chiuso i rapporti e che viveva in Francia, veniva dai tedeschi internato a Dachau).
Sottoposto al giudizio della commissione di epurazione, venne prosciolto da ogni addebito e la stessa commissione sottolineò che non aveva commesso “atti contrari a norma di rettitudine e di probità politica”.
A Padula conobbe una giovane internata tedesca, Erika Knopp, che sposerà in seconde nozze e da cui avrà due figli: Vittoria, storica dell’arte e Giuseppe, che oggi presiede la Società di Mutuo Soccorso tra i reduci garibaldini e l’ importante Istituto Internazionale di Studi “Giuseppe Garibaldi”, ente di diritto pubblico che ha sede a Roma in Piazza della Repubblica. In prime nozze aveva sposato l’americana Hope Mac Michael, che italianizzò il proprio nome in Speranza. Dalla loro unione nacque la figlia Anita, autrice di alcuni libri di storia garibaldina.
Morì a Roma il 16 settembre 1969 e nel cinquantenario della morte si è svolta una significativa cerimonia commemorativa presso il Mausoleo del Gianicolo cui ho partecipato invitato dal figlio Giuseppe e dal nipote Costante, che mi onorano della loro amicizia. Sono contento di aver contribuito a ricordare un valoroso combattente, un grande patriota degno dei suoi antenati, una persona che è riuscita a tener fede ai grandi valori dell’umanità anche in tempi che definire cupi sembrerebbe quasi eufemistico.
Ci sono stati alcuni personaggi che, seppure convintamente fascisti, si adoperarono, per quanto loro possibile, onde rendere meno pesanti gli orrori creati dalle nefaste leggi razziali. Oltre ad Ezio Garibaldi mi vengono in mente Franz Turchi e Giovanni Palatucci, rispettivamente prefetto della Spezia e questore di Fiume durante la Repubblica Sociale Italiana, che riuscirono a salvare la vita a molti ebrei perseguitati (e con il fiato dei nazisti sul collo, non c’era molto da scherzare, all’epoca!). Qualcuno potrebbe obiettare sul fatto che rimasero fascisti anche dopo le leggi razziali. Su quel gran guazzabuglio che è l’animo umano – riprendo un’espressione manzoniana – non posso esprimermi, forse ci vorrebbe lo psicoterapeuta. Da storico dico che se i posti occupati da quei personaggi fossero stati occupati da fanatici o da malvagi, la storia sarebbe potuta andare molto peggio…
Achille Ragazzoni