Con il termine autolesionismo o “Repetitive Self- Harm Syndrome” si intende il tentativo di causare, intenzionalmente, un danno deliberato e diretto sul proprio corpo, lesionandosi in modo abbastanza grave da provocare danni ai tessuti e agli organi, senza, però, un intento specificamente suicidario (Pani & Di Paola, 2013).
La letteratura scientifica considera, per lo più, l’autolesionismo come un sintomo non autonomo, ma correlabile a differenti patologie, come, ad esempio, il Disturbo Borderline di Personalità.
Altri, invece, interpretano questo impulso come un disturbo autonomo (Favazza, 1998).
Studi condotti sulla prevalenza dell’autolesionismo in donne affette da patologie psichiatriche in asse I, hanno evidenziato che i Disturbi del Comportamento Alimentare erano notevolmente la diagnosi più diffusa (54%) nel campione partecipante alla ricerca (Herpertz, 1995).
È evidente quindi una stretta correlazione tra disturbi alimentari e comportamento autolesionistico; la coesistenza tra i due quadri sintomatologici non è spiegabile semplicemente come una sovrapposizione di sintomi, dal momento che alcuni comportamenti specifici dei DCA, come per esempio l’abuso di lassativi o il vomito autoindotto, possono essere considerati di per sé una forma di autolesionismo. Gli stessi disturbi alimentari, d’altronde, potrebbero essere interpretati come una forma di autolesionismo indiretto (Pani & Farrarese, 2007).
L’autolesionismo è correlabile in parte all’impulsività caratteristica di tale patologia (Stein, Lilenfeld, Wildmann & Mancus, 2004) e in parte all’intolleranza alle emozioni tipica di queste pazienti (Dalle Grave, 2009).
Altri studi hanno dimostrato che i pazienti bulimici, per esempio, hanno elevati livelli di impulsività e difficoltà nel controllarsi; gli atti impulsivi sono finalizzati ad allentare la propria tensione emotiva (Dalle Grave, 2005).
L’intolleranza alle emozioni, infatti, giocherebbe un ruolo centrale nell’instaurarsi di tali disturbi, sia nel senso di emozioni negative, quali rabbia, ansia e depressione, ma, in alcuni casi, anche nei confronti di emozioni positive, come l’euforia. Non è stato ancora chiarito se questi pazienti sperimentino stati emotivi particolarmente intensi o se si tratti di un’eccessiva sensibilità alle emozioni esperite, che soggettivamente vengono percepite come intense.
D’altro canto, durante i colloqui, molti nostri pazienti parlano di una sensazione di vuoto interiore, che chi è affetto da bulimia nervosa e da disturbo da alimentazione incontrollata, colma con il cibo. Altri parlano, invece, di una sorta di anestesia corporea, una sensazione di non avvertire il proprio corpo, in tutto od in parte, correlabile al costrutto dell’alessitimia, ossia alla incapacità di esprimere le proprie emozioni, anche essa presente nei disturbi del comportamento alimentare. L’anestesia corporea, in una sorta di autocura patologica, viene “colmata” tramite gesti autolesivi: cercando di farsi male, sperimentando il dolore, si sente di “esserci”. I pazienti con disturbi alimentari non accettano e gestiscono le modificazioni dell’umore, ma adottano comportamenti disfunzionali di modulazione dei sentimenti, con lo scopo di neutralizzare o ridurre la consapevolezza dello stato emotivo. Attraverso le attività di modulazione dei sentimenti, quali l’autolesionismo o l’assunzione di sostanze psicoattive, non si fa altro, però, che ridurre l’efficacia o vanificare un qualsiasi tipo di trattamento. Ecco perché appare quanto mai necessario applicare una cura parallela dell’un disturbo ed anche dell’altro.
L’intolleranza alle emozioni, infatti, può diventare un meccanismo aggiuntivo di mantenimento del disturbo che deve essere affrontato e curato in modo specifico (Dalle Grave, 2009). Vale la pena, a questo punto, spendere qualche parola sulla scarsa o nulla specificità di cura, almeno da un punto di vista farmacologico, per questi disturbi. Lo psichiatra interviene sul sintomo che in quel momento prevale: il discontrollo degli impulsi, l’instabilità dell’umore, il disturbo alimentare, ma è bene ribadire che non esiste, finora, un farmaco ad hoc per questi disturbi, se non farmaci che agiscano sullo specifico sintomo, man mano che si presenta e che, d’altronde, è soggetto nel tempo a mutamento.

Bibliografia

American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (pp.329-354). USA. APA.
Dalle Grave, R. (2005). Alle mie pazienti dico … Informazione e auto-aiuto per superare i disturbi dell’alimentazione (pp. 19-27). Verona. Positiv Press.
Dalle Grave, R. (2009). Il trattamento dei disturbi dell’alimentazione a Villa Garda (pp.15- 54). Verona. Positiv Press.
Favazza, A.R. (1998). The coming of age of self mutilation. Journal of Nervous and Mental Disease, 186(5), 259-268.
Hawton, K., Saunders, K.E. & O’Connor, R., (2012). Self-harm and suicide in adolescents. The Lancet, 379(23), 2373-238.
Herpertz, S. (1995). Self-injurious behavior: Psychopathological and nosological characteristics in subtypes of self-injurers. Acta Psychiatrica Scandinavica, 91, 57-68.
Pani, R. & Ferrarese, R. (2007). Il sé insipido negli adolescenti. Compulsioni autolesionistiche, suicidarie, sessuali, disturbi alimentari, abusi, piromania, spray murali (pp. 193). Bologna. Clueb.
Pani, R. & Di Paola, R. (2013). Senso di vuoto e bisogno di annullarsi. Adolescenti e giovani adulti a rischio di suicidio (pp. 43-47). Bologna. Cooperativa libraria universitaria editrice Bologna.
Stein, D., Lilenfeld, L. R., Wildmann, P. C. & Mancus, M. D. (2004). Attempted suicide and self-injury in patients diagnosed with eating desorders. Comprehensive Psychiatryc, 45, 447-451.