Partiamo dalle parole per provare a descrivere questi giorni “zero” dove pare che le ore abbiano perso il tempo e che le settimane siano una costruzione del ticchettìo degli orologi appesi alle pareti.
Le espressioni al tempo del virus.
Una similitudine artistica nel sentimento di riconfigurazione dell’animo umano fa tornare alla mente il movimento artistico Espressionista che si sviluppò tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo.
Il movimento si interrogava sulla condizione emotiva dell’essere umano, piuttosto che prediligere l’armonia e la bellezza indagava sulla sofferenza umana, la miseria, la violenza, la solitudine e la passione.
Grandi artisti come Egon Schiele e Edvard Munch contrassero la febbre spagnola, Munch sopravvisse, Schiele ne morì nell’ottobre del 1918, tre giorni dopo aver perso dello stesso male la moglie Edith incinta di 6 mesi. Durante la malattia la ritrasse più volte mostrandola con il viso scarno e gli occhi spenti. Saranno i disegni più sofferti della sua carriera.
Erano anni dove la fine della prima guerra mondiale aveva già provato le popolazioni mentre una nuova guerra stava fondando le sue basi .
In un clima così difficile l’analogia con il nostro tempo sembra impossibile a farsi, eppure analizzando lo splendore degli “anni ruggenti” dall’utopia positivista e dal credo progressista (Art nouveau e poi Art déco) non sembra poi così improponibile il paragone con oggi.
D’altronde abbiamo avuto tutto. A partire dal secondo dopoguerra abbiamo sperimentato l’ onnipotenza in ogni settore umano. Ed ora è arrivato il nemico .
La presenza di un antagonista invisibile, l’attesa del cambiamento e della ripresa, la sensazione di solitudine, la fragilità del corpo, la visione intimistica e introspettiva alla quale ci stiamo abituando pare stia vanificando i lustri del nostro ultimo secolo, il poter viaggiare liberamente, lo sport, le attività all’aria aperta , la libertà inconsapevole che tutti davamo per scontata e che in un attimo ci è sfuggita.
Ne “Autoritratto dopo l’influenza spagnola “ del 1919 Munch ci riporta, traspone, scopre e fa apparire tangibile la vicinanza con la morte, tradendo però lo spettatore, auto affermando la sua stessa figura nei confronti della malattia. Munch riuscì infatti a guarire e trasformò la sua sventura in una grande energia espressiva che segnò la sua carriera d’artista.
Interiorizzando la sua esperienza è come se fossimo in attesa di uno slancio che ci porti dove tutti siamo un po’ più umani, un po’ Dei e un po’ carne da macello, viviamo in un oblio collettivo e abbiamo pensato essere immuni dalla storia ma la storia ci sta presentando il conto.
Il tempo sembra scivolarci dalle mani, il passato senza presente nell’immobilità dell’esistere e il presente senza futuro.
Ma come può fuggire la vita?
Il tempo trascorre ed è irreversibile e allo stesso modo sembra inutile e perso per sempre.
Ci obbligheremo a conoscere noi stessi? A cercare la verità negli altri?
Sapremo riappropriarci del nostro tempo di vita invece di rincorrerlo?
Nell’incertezza delle nostre domande sappiamo che l’unica sicurezza è che è arrivato il tempo di rivedere quello che è stato, e che la critica al modello sociale odierno sarà inevitabile.