Sento l’esigenza, dopo la pantagruelica indigestione di notizie, vere, false, parziali, sensazionalistiche di queste settimane, di fare chiarezza e dare informazioni fondate su basi scientifiche, con semplicità e competenza, senza voler accusare o colpevolizzare nessuno, per fare una lucida e pacata analisi del fenomeno Covid, dalle sue origini e nei suoi possibili sviluppi. Purtroppo non sono riuscita a scrivere meno di così, chiedo pazienza e tempo per arrivare al fondo dell’articolo.
C’ERA UNA VOLTA UN VIRUS: LE ORIGINI
Sulle origini del Covid si è letto e sentito dire di tutto: nato in Italia, costruito nei laboratori segreti cinesi, no russi, no americani, arrivato da una galassia su una cometa, insomma mille versioni, realistiche, complottiste, strumentali, spesso ridondate non solo da leoni da tastiera e social, ma da esimi luminari, quasi tutti rispettabilissimi professionisti, sedotti dalla teoria del: è-solo-un-virus-influenzale-solo-un-po’-più-cattivo (tra questi, a gennaio, c’ero anch’io…).
Il Coronavirus arriva dai pipistrelli, che ne rappresentano il serbatoio naturale (con quasi 500 specie censite) e dagli uccelli, come fu per la SARS del 2002 e non sappiamo ancora bene come sia avvenuto il salto inter-specie (detto split); quel che sappiamo è che ha subito delle mutazioni “cattive” nei siti genici che ritenevamo pericolosi e che erano sotto controllo da 4 o 5 anni. Per gli amanti della Biologia, è stato in particolare il sito proteico S, cioè “Spike”, quello che aggancia le vie respiratorie umane e che è colpevole dell’esito infausto dell’infezione, che ha subito 6 mutazioni; altre 2 le ha subite un sito che facilita l’ingresso nelle cellule dell’apparato respiratorio. Tutte queste mutazioni sono avvenute nell’autunno del 2019.
Che cosa sappiamo delle origini di questa famiglia di virus? La loro conoscenza in epoca recente l’abbiamo fatta nel 1997, quando ad Hong Kong morì un bambino con una strana polmonite, che destò interesse nella comunità scientifica per la sua peculiarità; dai campioni di materiale organico fu sequenziato ed isolato il virus, che subito apparve come una grande novità.
Era un virus che solitamente viveva negli uccelli, fu chiamato H5 N1 e da questi era passato al bimbo, uccidendolo; si trattava di un virus influenzale ma aveva subito delle mutazioni tali, per cui era stato capace di saltare da un’altra specie animale all’uomo, grazie ad una mutazione insolita e brutta. Gli specialisti pensarono subito ad un altro salto inter-specie, che nel recente passato aveva mietuto quasi 100 milioni di morti nel mondo: la febbre spagnola, che ebbe una letalità tra il 5 e il 20% e che durò 2 anni. Dopo quella esperienza terribile, nei decenni a venire e proporzionatamente alle scoperte scientifiche del periodo, gli scienziati iniziarono a studiare i virus influenzali e J. Taubenberger, negli anni ’90, ricostruì la loro storia; l’Asiatica del 1957 – H1 N1, l’Hong Kong del 1968 – H3 N2, la Russa del 1977 – H1 N1, praticamente identica a quella del ’57, si dice sfuggita ad un laboratorio russo che stava lavorando ad un vaccino o forse alla guerra batteriologica, per finire all’Aviaria degli anni 2000. Tutti questi virus hanno saltato la barriera di specie e provocato milioni di morti, essendo diventati capaci di passare da uomo a uomo. Quattro o cinque anni fa arrivò la mutazione SARS, capace di provocare la polmonite interstiziale bilaterale, ma ancora instabile e difettiva, che fortunatamente non fece molti danni. Ed eccoci arrivati ai nostri tempi, nell’autunno 2019, in cui si è selezionato il SARS Covid 2, detto Covid 19 per l’anno della sua apparizione, diventato capace di stabilizzare la mutazione e provocare i danni polmonari che conosciamo. Gli scienziati sapevano che sarebbe arrivato e lo aspettavano…
COSA NON E’ STATO FATTO
Come appena scritto, la comunità scientifica sapeva che le mutazioni del Covid avrebbero trovato quella vincente, che gli permettesse di passare da uomo a uomo, come accaduto; difficile pensare che le Intelligence dei Paesi e i tecnici non sapessero tutto ciò, visto che i primi non si occupano solo di spionaggio industriale e guerra fredda e che i secondi lo stavano monitorando e studiando da anni. Sta di fatto che i vari laboratori italiani, dallo Spallanzani al Sacco e quelli europei come il Pasteur e il Koch non ne abbiano parlato, mancando di allertare i Capi di Governo dei vari Stati. Già a dicembre 2019 avremmo potuto sapere da dove arrivava e immaginare dove sarebbe andato; grazie alla sequenzazione del genoma virale, si sarebbero scoperti i cluster lombardo e veneto e si sarebbero adottate le misure idonee. Invece i maggiori esperti hanno minimizzato il problema, dando ai politici indicazioni non idonee a prendere decisioni che avrebbero limitato i danni. Non voglio addossare la colpa ai politici, essi agiscono in base ai dati forniti dai tecnici, che troppo spesso, nei primi giorni, hanno minimizzato il problema, relegandolo ad una mera infezione influenzale, solo più cattiva; qualche scienziato ha avvertito la comunità scientifica e civile del grosso pericolo in arrivo, ma è stato considerato come Cassandra e tacciato di eccessivo allarmismo. Anche i professionisti direttamente coinvolti nella malattia da Covid, come Pneumologi e Infettivologi si sono limitati a pensare come curare i pazienti ormai con patologia grave, senza cercare metodi per non farli ammalare e bloccare in nuce l’evoluzione della malattia. Finalmente nel gennaio 2020 dei ricercatori americani hanno sequenziato il virus circolante, trovando la mutazione responsabile del salto e della trasmissione interumana, ma sia i governi che l’OMS non hanno preso provvedimenti immediati, sia a livello locale, che globale. Andava avvertita la classe dirigente, preparati gli ospedali, ampliate le terapie intensive, studiati i casi di polmoniti gravi ed atipiche, con la ricerca del virus, individuati i cluster, isolate subito e totalmente le Regioni coinvolte dai focolai, creati percorsi speciali per i contagiati (corridoi sanitari che tengano fuori i pronto soccorso e i reparti degli ospedali, luoghi chiusi in cui il virus si attesta facilmente e crea grossi danni a malati e operatori, indirizzando i malati lievi e i presunti tali in luoghi isolati ad hoc), fatti tamponi ai sintomatici o ai sospetti (impossibile pensare di fare i tamponi a tappeto, come qualcuno ha detto, sia per i costi che per i tempi) e, nel caso di positività, iniziare subito a curarli, così da non aver bisogno dell’ospedale. La fase embrionale della patologia è importantissima e la stiamo sottovalutando: è gravissimo che non si agisca laddove possiamo ridurre il danno, con l’isolamento dei positivi e la ricerca degli eventuali contagiati durante la fase asintomatica. L’ospedalizzazione deve avvenire per i soli casi gravi, facilitando la convalescenza casalinga in isolamento dei contagiati con sintomi lievi, assistiti dal Sistema Sanitario Territoriale, o creando stalli intermedi, in cui i positivi non gravi passino il periodo di remissione, per cercare di preservare il più possibile gli ambienti sanitari e gli operatori dal contagio, che ha fatto molte più vittime del dovuto. Ora siamo noi a rincorrere il virus, non avendo saputo prevenirlo e bloccarlo in tempo, limitando i malati e i morti.
CARATTERISTICHE DELLA MALATTIA, INFETTIVITA’ E DATI EPIDEMIOLOGICI
Il Covid 19 si trasmette per contagio inter umano, attraverso le vie respiratorie, emesso da colpi di tosse, starnuti, scambi di saliva e inalazione, se siamo vicini, del vapore che emettiamo col fiato, tutti contenenti particelle virali attive. Queste resistono nell’aria sino a 3 ore, se le condizioni di umidità e temperatura lo consentono; sulle superfici, dalle poche ore dei materiali assorbenti, come carta o stoffa, ad alcuni giorni su metalli, vetro e plastiche. Entra nel corpo attraverso le mucose del naso, della bocca, della gola; da qui passa attraverso le cellule e arriva nei tessuti, dove avviene l’incubazione. Questa può durare dai 3/5 giorni della forma veloce, ai 15/20 giorni della forma lenta, la media riscontrata è di 7/14 giorni; si è infettivi di solito gli ultimi 3 giorni dell’incubazione. Dopo questa fase c’è l’invasione dei tessuti (grazie alla mutazione del genoma che aggancia i recettori ACE2 presenti sulla membrana cellulare dell’ospite) e una volta violata la cellula, il virus si inserisce nel patrimonio genetico della stessa. Questa è la proliferazione del microorganismo, che essendo la più semplice forma di vita, composta da un filamento di RNA (acido Ribonucleico, contenente i codici genetici) e una capsula di proteine, necessita per forza degli strumenti riproduttivi della cellula ospite, per generare altri virus simili, quindi usa gli organelli citoplasmatici come una stampante. Durante questo periodo possono avvenire due cose: se l’esposizione al virus è stata veloce e la carica assorbita è bassa, nella quasi totalità dei casi la risposta immunitaria del corpo è lenta, progressiva e proporzionata alla quantità di virus presente, per cui la persona infettata guarisce o senza sintomi o con manifestazioni lievi come febbriciattola, tosse, mal di gola, raffreddore, raramente problemi intestinali; se la carica virale è alta e assorbita massicciamente e per esposizione prolungata (come accade a coloro che seguono gli infetti con varie mansioni), il virus si diffonde nell’organismo con le stese modalità appena descritte ma provocando una risposta anticorpale esagerata, improvvisa e violenta, perché per il sistema Immunitario si tratta di un nemico nuovo e sconosciuto, da combattere con tutte le forze. Così nel giro di pochi giorni, a volte poche ore, il virus che si è riprodotto soprattutto a livello polmonare, richiama in quel distretto enormi quantità di Linfociti, globuli bianchi del sangue che combattono gli intrusi, e scatena la produzione di grandi quantità di citochine, sostanze chimiche con cui le cellule comunicano, che a loro volta innescano la cascata chimica dell’infiammazione e provocano richiamo di sangue e liquidi nel tessuto polmonare, limitandone la funzionalità. Dopo qualche giorno il processo di infiammazione locale si “spegne”, favorendo la formazione di tessuto che potremmo definire “cicatriziale”, che rende fibrotico il polmone, impedendogli di compiere le sue funzioni di scambio gassoso e il paziente muore per insufficienza respiratoria grave.
Le percentuali parlano di un 80% di asintomatici o sintomatici lievi che guariscono, un 20% di infettati che contraggono la forma più seria della malattia e che hanno bisogno di essere assistiti nella respirazione, sia con maschere cip up, che attraverso intubazione e sedazione, dei quali una parte muore per gli esiti infausti (circa il 5%). Su questi dati ci sarebbe da discutere, perché in Italia non si sono fatti molti tamponi, per cui i positivi accertati sono ad oggi, 30 marzo, circa 100.000, i malati 74.000 circa, 13.000 ricoverati, 4.000 circa i malati in terapia intensiva, 11.000 circa i morti e 14.000 i guariti, che fanno pensare ad una incidenza di mortalità del 10 %; in realtà stime fatte dagli epidemiologi parlano di oltre mezzo milione di persone positive, che fortunatamente hanno incontrato il virus e si sono naturalmente immunizzate e questo dato importante porta la mortalità al 1,5%, dato assolutamente meno drammatico.
QUALI DEVONO ESSERE I COMPORTAMENTI PER FERMARE L’EPIDEMIA
Ho pocanzi scritto che la maggior parte della popolazione mondiale “deve” venire a contatto con il virus a basse dosi, per potersi immunizzare senza danni, sviluppando al massimo una forma lieve e divenire così immune alla malattia grave, acquisire insomma la tanto citata, spesso a vanvera, “immunità di gregge”, quella che preserverà da future pandemie da Covid. Le basse dosi si prendono vivendo all’aperto, scambiando normali convenevoli con chi si incontra per strada, stringendosi le mani, che poi vanno lavate e serbando su queste piccole dosi del virus, che attraverso la bocca o il naso, entrerà nel corpo. Pericoloso invece, per le dosi massicce rilasciate, il contatto interumano costante in famiglia, nei locali chiusi (discoteche, ristoranti, cinema, teatri, pub etc.), nei luoghi di lavoro in cui gli operatori siano a meno di 2 metri tra loro e tutti i luoghi in cui non ci sia luce e areazione continua ed efficace per diluire negli ambienti il virus, che resta sospeso nell’aria per qualche ora. In questi luoghi occorre usare mascherine (quelle di stoffa o usa e getta senza filtro permettono a chi le indossa di non contagiare altri, non impediscono il proprio contagio; per ottenere un effetto protettivo totale, per se e per gli altri, sono necessarie le mascherine FFP2 e FFP3, che hanno i filtri e non lasciano entrare ed uscire nulla), usare i guanti per non raccogliere virus dalle superfici con le mani nude e non rilasciarne, le mani vanno lavate spesso (come si dovrebbe fare “sempre”) ed igienizzate con alcool, disinfettanti, amuchina gel.
Non voglio entrare nelle decisioni prese dai politici, male e tardivamente informati dai tecnici che avevano sotto controllo il virus e che non si sono mossi in tempo, che hanno di conseguenza agito in ritardo, prendendo misure dolorose per i cittadini, le famiglie e l’Economia, ma in realtà la chiusura totale delle attività all’esterno è stata la mossa meno necessaria, perché stare all’aria aperta, giustamente distanziati, ossigenando i polmoni, assorbendo luce e attivando la forma funzionale della Vit. D, la cui carenza pare sia una dei colpevoli della cattiveria con cui il virus attacca i pazienti (un altro cofattore pare sia l’uso di farmaci ACE inibitori, che abbassano la pressione arteriosa, molto usati dalla popolazione anziana, spesso con altre patologie, perché aumentano la permeabilità delle cellule al virus, che viene più facilmente trasportato all’interno e ancora le micro-polveri, che pare fungano da veicolo, vista la loro capacità di restare sospese nell’aria a lungo). Però, da italiana, so bene che noi abitanti di questo straordinario paese siamo spesso allergici alle imposizioni e alle regole, per cui, come si è visto, la prima disposizione del Governo, che aveva limitato assembramenti e attività in cui troppe persone stavano assieme, era spesso disattesa, motivo per cui si è deciso di chiudere tutto. Riassumendo, in casa occorre sanificare gli ambienti, lavare le mani spesso, pulire maniglie e superfici con disinfettanti, non usare posate e bicchieri utilizzate da altri, dormire da soli (se possibile), arieggiare e illuminare le stanze, cambiare spesso abiti e biancheria, non entrare con le scarpe etc. (tutte norme comuni ad un sano stile di vita), mangiare bene e in modo vario, fornendo al corpo i nutrienti idonei a mantenere in buona salute le funzioni immunitarie, evitando cibo spazzatura e stress accessori. Tutto quanto detto è auspicabile, seppure a volte in via teorica, considerando che ognuno vive realtà e possibilità diverse. Un aiuto a ridurre le misure drastiche nei prossimi mesi, potrebbe arrivare dalla preparazione di un test, per individuare l’immunità acquisita dagli asintomatici e farli uscire per primi dall’isolamento, sperimentato da virologi ricercatori del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino, che permetterà di cercare le Immunoglobuline specifiche verso le proteine del virus Sars-CoV-2. Un test sierologico per identificare i soggetti che, avendo superato l’infezione asintomatica, hanno sconfitto il virus con il loro sistema immunitario e potrebbero essere immuni da successive infezioni e rappresentare quella fetta di popolazione dalla quale ripartire. La speranza, da verificare, è che siano resistenti a successive re-infezioni, almeno per qualche anno. Se Covid-19 non seguisse questa regola, sarebbe inutile parlare di vaccino, perché questo si basa sul fatto che il nostro sistema immunitario impara e ricorda. Coloro che hanno battuto il virus per via naturale e asintomatica è come se si fossero vaccinati e ottenuto una robusta risposta immunitaria. Se si cercano in loro gli anticorpi verso le proteine virali, si possono intercettare con rapidità tutti i sieropositivi e identificare chi potrebbe riprendere subito l’attività lavorativa, facendo leva sull’immunità di gregge. Con i tamponi infatti sappiamo che se il soggetto è negativo nell’immediato, non sappiamo se quella persona non si è ancora contagiata o se ha già superato l’infezione ed è tornata negativa. La presenza di anticorpi, invece, consentirebbe di classificare gli “immuni” e, con tutte le cautele del caso, consentire loro di tornare alla vita attiva. Seguirli consentirebbe di verificare se la guarigione fornisce una immunità protettiva, ottima notizia per dimenticare questo incubo. Si potrebbe addirittura pensare ad una specie di “lasciapassare” per i guariti, da esibire per dimostrare la raggiunta immunità e quindi l’idoneità alla vita fuori quarantena.
COSA POTRA’ ACCADERE IN FUTURO
Questa è una domanda importante, perché si stima, con buona approssimazione, che l’Italia stia per raggiungere il picco dei contagi e che dopo una fase di plateau, il numero dei casi inizi a scendere, si dovrebbe arrivare a fine aprile con un calo quasi totale, momento in cui si potranno togliere i divieti più stretti e tornare a quelli intermedi. Tra maggio e giugno, complice anche il clima più caldo, dovremmo assistere alla remissione dell’epidemia, che in altri paesi è in ritardo e che si allineeranno entro agosto. A quel punto non possiamo e non dobbiamo “assolutamente” abbassare la guardia, perché il rischio è che ad ottobre-novembre, per il clima, le limitazioni di vita all’aperto e tutto quello che ne consegue, l’epidemia facilmente si riaccenda, come per ogni malattia stagionale. Le epidemie si combattono con le vaccinazioni preventive e, poiché per la preparazione di un vaccino bisogna che: in primis il virus si assesti e smetta di mutare, perché si rischia di lavorare mesi ad un preparato che, quando sarà pronto, non sarà più efficace sul patogeno mutato, in secundis, quantunque il virus si stabilizzi, occorre qualche mese per produrlo e testarlo sugli esseri umani, affinché dimostri efficacia e mancanza di effetti collaterali negativi. La patologia grave provocata da SARS-Covid2, cioè la polmonite interstiziale bilaterale, non ha ancora un farmaco dedicato, che dovrà essere trovato e testato; in queste settimane si stanno sperimentando farmaci di vario tipo, che già agiscono in altre malattie ma che stanno dando discreti risultati in alcuni pazienti, essi sono:
- Farmaci a base di clorochina, un anti malarico, che impedisce l’assemblaggio delle proteine che proteggono il filamento di RNA del virus, bloccandone la replicazione
- Antivirali usati per la cura dell’HIV, bloccano la riproduzione del virus, ma la loro efficacia è incerta
- Antireumatico tocilizumab, che riduce l’effetto delle citochine nella risposta infiammatoria delle malattie autoimmuni, bloccando il recettore IL-6
- Negli USA è in sperimentazione un farmaco creato proprio per il Covid 19, EIDD-2801, che migliora la funzionalità del polmone e riduce il virus
- Utilizzo degli anticorpi monoclonali prodotti dai pazienti guariti per bloccare il virus, una sorta di sieroprofilassi, come si fa per tetano ed altre infezioni
Quello che è certo, è che non dobbiamo abbassare la guardia, in autunno la pandemia può tornare e non colpire solo le fasce della popolazione più esposta: anziani, malati di patologie gravi, oncologici e immunodepressi, potrà colpire anche giovani e bambini e sia i Governi che gli Studiosi devono comportarsi come se questo accadrà di sicuro, per non trovarsi esposti. Le Terapie Intensive vanno garantite e ampliate, sul trend attuale, non smantellate perchè crediamo di avercela fatta, la prevenzione continuata, con comportamenti della popolazione idonei alla limitazione della diffusione, i presidi di protezione dovranno accompagnare i comuni cittadini e i tecnici ancora per mesi, con l’obbiettivo di gestire l’eventuale recidiva, quindi guanti e mascherine per tutti, al lavoro e per strada. Tutti noi speriamo che ciò non avvenga o che ci trovi con le armi affilate; se dovesse accadere, non deve coglierci alla sprovvista.
UN PO’ DI SPERANZA
Alla fine tutto andrà bene, lo abbiamo visto in tante occasioni, l’Uomo ha superato carestie, guerre e pandemie grazie alla sua capacità di reazione, altissima in questo momento della sua storia, e grazie alla sua grande forza di adattamento, che assieme a quella del virus, porterà alla convivenza e questa esperienza ad essere un fatto storico, da studiare per le generazioni future. Perché questo avvenga dobbiamo sfruttare da un lato, le capacità della Scienza, dall’altro la tendenza naturale dei virus, che cercano di adattarsi a noi per diffondersi e sopravvivere, perché nella logica anche del peggior parassita, vi è la necessità di mantenere in vita l’ospite il più a lungo possibile. Buona vita a tutti.