Uno dei vanti del nostro Paese è quello di avere un approccio ai problemi basato su un mix fatto di creatività, di capacità di adattarsi alle situazioni anche più complicate, di elasticità che spesso sconfina nell’ improvvisazione. Ma gli italiani sono convinti che, alla fine, se la cavano sempre, in qualche modo.

Questa convinzione è diventata un alibi di comodo per non impegnarsi su un fronte essenziale in qualsiasi tipo di organizzazione complessa: l’efficienza. Affidarsi sempre e soltanto alla propria inventiva e alla capacità di cavarsela trascurando la razionalità e la capacità organizzativa orientata al conseguimento di risultati, in tempi certi e con il minor costo possibile, rischia di indebolire nel tempo la tenuta del sistema.

Questo modo di pensare si basa sulla errata idea che esista una incompatibilità tra creatività ed efficienza: non solo non c’è incompatibilità ma l’una non può dare il meglio di sé senza l’altra.

Nel corso degli anni nel settore privato, chi è stato costretto a misurarsi con la competizione internazionale, si è molto impegnato per diventare sempre più efficiente. Lo stesso non è avvenuto per chi vive di rendite di posizione e opera in settori poco concorrenziali.

Dove, invece, nel corso degli anni l’efficienza non è cresciuta per niente è il settore pubblico, nell’amministrazione centrale e periferica dello Stato e in quella degli Enti locali. E’ ovvio che ci sono piccole eccezioni, aree di eccellenza, ma una rondine non fa primavera.

Lo spettacolo cui stiamo assistendo in queste settimane di emergenza sanitaria ed economica è tipico di un sistema inefficiente, dominato dalla disorganizzazione e dall’improvvisazione: si va a tentoni, non ci sono procedure snelle e ben studiate per ottenere i risultati. Erroneamente si pensa che sia solo un problema di risorse economiche disponibili. Non è così. Anche quando i finanziamenti sono cospicui manca l’efficienza nel loro utilizzo. Ne abbiamo avuto esempi in tante emergenze passate e ci scontriamo tutti i giorni con buone intenzioni che si arenano per mancanza di capacità di realizzarle.

L’Italia che si riprenderà dopo la grave crisi che stiamo vivendo dovrà porre al primo posto il valore dell’efficienza e cambiare radicalmente la propria organizzazione pubblica.

Oggi il principio che prevale nel settore pubblico è la conformità legale degli atti e delle procedure, un principio ovvio che, applicato come fine a se stesso,

per generare  una produzione normativa e regolamentare paralizzante e porta a la comportamenti privi  di razionalità strumentale: le amministrazioni agiscono attenendosi alle procedure, da cui si sentono protette, senza misurarsi col raggiungimento dei risultati. la legalità formale porta ad una irrazionalità sostanziale, con conseguente spreco di risorse e danni per il ritardo o la mancata soluzione dei problemi. E’ urgente cambiare mentalità e orientare regole e organizzazione al raggiungimento dei risultati.

Il fine delle norme, degli atti, delle procedure e dell’organizzazione deve essere il raggiungimento di obiettivi; la legalità non deve essere il fine ma il sostrato cui tutto deve uniformarsi per ottenere dei risultati.

Bisogna introdurre dei misuratori di efficienza nel settore pubblico che non siano basati sul raggiungimento di risultati astratti ma sulla effettiva soluzione dei problemi. Chi lavora nelle amministrazioni pubbliche a tutti i livelli dovrebbe essere selezionato non solo sulla base della conoscenza tecnico-legale ma anche della capacità manageriale. E questo dovrebbe valere soprattutto per chi esercita ruoli apicali.

Serve, insomma, una rivoluzione manageriale dell’amministrazione pubblica a tutti i livelli basata sulla competenza e finalizzata all’efficienza. Tutto questo non ci renderà meno creativi ed elastici, ma metterà la creatività e l’elasticità al servizio di un’efficienza sempre più alta.