Croce scrisse nel 1931 il saggio importante Le due scienze mondane: l’ Estetica e l’ Economica, poi raccolto negli Ultimi saggi, (1) articolato per 1. “Spirito e senso” e 2. “Spirto e natura”, ed argomentando storicamente la nascita della consapevolezza di “autonomia” di tali scienze a partire dal Settecento, con Baumgarten e Vico per la prima, e Adam Smith e la sua Ricchezza delle nazioni, per la seconda. In effetti, all’inizio della storia dell’estetica e dell’economica, ci sarebbe stato “disinteresse verso quelle forme dello spirito che più fortemente si attenevano al mondo, al sensibile, al passionale: ossia, nella sfera pratica, verso la teoria della vita politica ed economica, e, nella sfera teoretica, appunto verso la teoria della conoscenza sensibile o estetica”.
Il luogo teoretico della rivalutazione era così esplicitato da Croce: “Che cosa, in ultima analisi, fanno queste due scienze ? Per dirla in breve, esse intendono a giustificare teoricamente, ossia a definire e sistemare dandogli dignità di forma positiva e creativa dello spirito, quel che si chiama il ‘senso’, e che, oggetto di diffidenza o addirittura di negazione e di esorcismo nel Medioevo, l’età moderna, nella sua opera effettuale, veniva rivendicando”. Non deve sorprendere, in Croce, il riferimento al Baumgarten per la scientia cognitionis sensitivae; dal momento che tale fondazione era già acclarata nella Parte storica della Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale del 1902; (2) mentre era in allestimento la preziosa edizione predisposta dai suoi amici, in primis il pugliese e meridionalista Tommaso Fiore, in occasione del di lui settantesimo compleanno, della Aesthetica. Certo, va fatto salvo il nomen di “Giambattista Vico, primo scopritore della scienza estetica”, quanto a congruità e rilevanza effettiva di pensiero ( v. la Memoria dell’ Accademia Pontaniana, del 1901 ).
Onde: “Le due scienze filosofiche, che abbiamo detto precipuamente moderne e che si riferiscono l’una alla praxis nella sua vita dinamica e passionale, e l’altra alle figurazioni della fantasia, apprestano i dati necessari alla soluzione del problema, svelandoci l’oggetto per nient’altro che quella vita passionale, quegli stimoli, quegli impulsi, quel piacere e dolore, quella varia e molteplice commozione, che è ciò che si fa materia della intuizione e della fantasia e, attraverso di essa, della riflessione e del pensiero”.
A ritroso, negli anni Novanta del secolo diciannovesimo, il poeta fondatore dell’ermetismo, sfortunato a cagione della perdita del padre e dell’adorato figlioletto Anatole ( 1878 ) nonché di tanti comuni maestri e amici ( il pittore Regnault, Théophile Gautier, Verlaine, Wagner o Edouard Manet), che fu Stéphane Mallarmé ( 18 Paris 1842 – Valvins 8 settembre 1898 ), e di cui Croce si occuperà ad altro proposito in Letture di poeti, aveva scritto con la densità di sapienti allusioni e riferimenti, che mi propongo dipanare, a proposito delle due “scienze mondane”, in un estratto di Magia ( 1893 ), come stralcio estrapolato dal filosofo francese Jacques Derrida ( Algeri 15 luglio 1930 – Parigi 9 ottobre 2004 ), e riportato in premessa all’edizione mondadoriana con traduzione delle Poesie di Patrizia Valduga ( Milano 2003, pp. VII-VIII in: VII-XXI ). Sì che quanto scrive Paolo D’Angelo a proposito della cosiddetta “paleonimia” di Croce nell’adozione dei termini “Estetica” ed “Economica” ( piuttosto che “Economia” ), recuperando un giudizio di Gianfranco Contini per il sentore ‘arcaico’ della prosa crociana; potrebbe – almeno in questo caso esemplare – essere tranquillamente ascritto a momento e linguaggio della “modernità”. (3)
La “rivalutazione dell’utile”, del “povero utile”, rimane cardine della sistemazione crociana della “Filosofia dello spirito”, risalente a Machiavelli e allo studio dei moralisti francesi e italiani del Seicento come alla ricezione ampliata e slargata del concetto vichiano di “Provvidenza”; e tale da contrassegnarsi nella formula del 1899: “Un’economia nella quale si prescinda dal valore, è come una logica nella quale si prescinda dal concetto, un’etica in cui si prescinda dall’ obbligazione, un’estetica in cui si prescinda dall’ espressione”. (4)
Ma come e perché Mallarmé sembra, per certi tratti del 1893, precedere il Croce 1931, a proposito della chiara enucleazione delle “Due scienze mondane” ? Vediamo, prima, il passo nella traduzione Valduga, come presentato in sintesi da Jacques Derrida: “Mallarmé non ha intermesso di braccare il significato là dove si produca perdita di senso, specie in quelle due alchinie che sono l’estetica e l’economia politica”. In realtà, Mallarmé parla di “una” alchimia donde sarebbero nate le “scienze mondane”, e segnatamente la scienza “Economica” o “Economia politica”. Come spesso, Derrida è ‘fuorviante-interpretante’ ( il che è legittimo in ermeneutica ‘adulta’ ); ma qui lo è anche per la selezione dell’intenso passaggio, di cui ci occupiamo: – “Tutto si riassume nell’Estetica e nell’Economia politica. Come non esistono, aperte alla ricerca mentale, che due vie, dove si biforca il nostro bisogno, ossia l’estetica da una parte, e pure l’economia politica: è di quest’ultima mira, principalmente, che l’ alchimia fu il glorioso, affrettato e inquieto precursore. Tutto ciò che è del pari, puro, come in mancanza di un senso, prima dell’apparizione, ora della folla, deve essere restituito al dominio sociale. La pietra nulla, che sogna l’oro, detta filosofale: ma annuncia, nella finanza, il credito futuro, precedendo il capitale o riducendolo all’umiltà della moneta !” ( trad. di Patrizia Valduga, op. cit., pp. XIX-XX; mie le sottolineature nel testo ).
Ma il passo originale è ben più ampio, e ad esso bisogna ricorrere per la piena intelligenza sia del contesto che delle implicazioni ermeneutiche successive.
“Magia” – Magie
“Huismans se plut, dans une oeuvre de portée infiniment autreque fournir des documents memeextraordinaires ( compairason entre la magnificence en le mal, d’ames, au XV^ siècle, et nous ) à dénoncer le bizarre attardement, au Paris actuel, de la démonialité. Le moyen age, incubatoire: tout depuis, alliage, avec l’antique, pour composer cette vaine, perplexe, nous échappant, modernité – outre la législation pétrifiée romaine stagne une religion, celle des cathédrales, parallèlement. Fermer les yeux, ne peut ne voir, régentant la cité comme au temps défunt, l’accroupie en le dégagement mystérieux des ses ailes, ombre de Notre-Dame.
Le sabbat, dessous, conduit par la bande restaurée des gargouilles et des figures infames, refuse de choir.
Un public, soustrait au recensement, éprouve du gout pour des pratiques, ici, que le maintien, à la cour papale, d’une charge en vue de le confondre, désigne comme vivaces. Hébétude fouettée de blasphème, cette messenoire mondaine se propage, certes, à la littérature, un objet d’ étude ou critique.
Quelque déférence, mieux, envers le laboratoire éteint du grand oeuvre, consisterait à reprendre, sans fourneau, les manipolations, poisons, refroidis autrement qu’en pierreries, pour continuer par la simple intelligence. Comme il n’existe d’ouvert à la recherche mentale que deux voies, en tout, où bifurque notre besoin, à savoir l’esthétique d’une part et aussi l’économie politique: c’est, de cette visée dernière, principalement, que l’alchimie fut le glorieux, hatif et trouble précurseur. Tout ce qui à meme, pur, comme faute d’un sens, avant l’apparition, maintenant de la foule, doit etre restitué au domaine social. La pierre nulle, qui reve l’or, dite philosophale: mais elle annonce, dans la finance, le futur crédit, précédant le capital ou le réduisant à l’humilité de monnaie ! Avec quel désordre se cherche cela, autour de nous et que peu compris ! Il me gene presque de proférer ces vérités impliquant de nets, prodigieux transferts de songe, ainsi, cursivement et à perte.
Neuve, presque involontaire une piété de la science ne néglige rien qui hanta son commencement grandiose et puéril: cet appareil de chimère signifiant pour le littérateur des titres solitaires innés, vaut, comme musée; mais ramener son ame à la virginité de la feuille de papier, n’y installe de blason. Je dis qu’existe entre les vieux procédés et le sortilège, que resterà la poésie, une parité secrète; je l’énonce ici et peut-etre personnellement me suis-je complu à le marquer, par des essais, dans une mesure qui a outrepassé l’aptitude à en jouir consentie par mes contemporains. Evoquer, dans une ombre exprès, l’objet tu, par des mots allusifs, jamais directs, se réduisant à du silence égal, comporte tentative proche de créer: vraisemblable dans la limite de l’idée uniquement mise en jeu par l’enchanteur de lettres jusqu’à ce que, certes, scintille, quelque illusion égale au regard. Le vers, trait incantatoire ! et, on ne déniera au cercle que perpétuellement ferme, ouvre la rime une similitude avec les ronds, parmi l’herbe, de la fée ou du magicien. Notre occupation le dosage subtil d’essences, délétères ou bonnes, les sentiments. Rien autrefois sorti, pour les illettrés, de l’artifice humain, seul, résumé, en le livre ou qui flotterait imprudemment dehors au risque d’y volatiliser un semblant, aujourd’hui ne veut disparaitre, du tout: mais regagnera les feuillets, par excellence suggestifs et dispensateurs du charme.
Coupable qui, sur cet art, avec cécité opérera un dédoublement: ou en sépare, pour les réaliser dans une magie à coté, les délicieuses, pudiques – pourtant exprimables, métaphores”.
Dalla “Cronologia” di Mallarmé sappiamo che nel settembre 1866 “Villiers de l’Isle-Adam gli scriveva di Hegel e dell’alchimia” ( pp. XXXI-XXXII di Poesie, ed. Valduga ). E dopo i colloqui con Villiers de l’Isle-Adam, in una lettera a Jules Michelet del 1890 Mallarmé stesso discorreva de L’Esotérisme dans l’art: “L’occultismo è il commentario dei segni puri, cui obbedisce ogni letteratura, scaturigine immediata dallo spirito. Vostro persuasissimo Stéphane Mallarmé”.
Prima della densa prosa sulla “Magia” del 1893, poi accolta nelle Divagations di quattro anni dopo ( Charpetier, Fasquelle, Paris 1897 ), Mallarmé aveva confidato tutto il proprio amore-dolore e la tendenza depressiva nella Autobiografia, indirizzata da “Parigi, lunedì 16 settembre 1885” al “Mio caro Verlaine”. (5) Compagni della sua anima, restavano il “sortilegio della poesia”, il ripristino della conjunctio alchemica e il rifluire della “magia”, in mille nuovi rivoli esistenziali e vitali; per i quali si è fatto ricorso all’importante edizione originale di Oeuvres Complètes, nella Collezione della “Pléiade” del 1945. (6)
Su Magie: “Mallarmé spécifice dans sa Bibliographie de Divagationsque ces pages parurent d’abord dans The National Observer en effet dans le numero du 28 janvier 1893”. E piace onorare l’altra, ben diversa, traduzione che ne rese Francesco Piselli, nella raccolta delle Opere. Poemi in prosa e opera critica, con Prefazione di Mario Luzi, del 1963. (7)
“Piacque ad Huysmans, traverso un’opera di portata infinitamente superiore a una documentazine, per quanto straordinaria ( paragone fra la magnificenza del male, d’anime, nel secolo XV, e noi ) denunciare il bizzarro attardarsi, nella Parigi attuale, della demonialità. Il Medioevo fu incubatorio: tutto quel che è venuto poi, si amalgama all’antico, per comporre questa vana, perplessa, sfuggente, modernità. Oltre la legislazione pietrificata romana, stagna parallelamente una religione, quella delle cattedrali, e chiudere gli occhi, non può non vedere, dominante la città come al tempo defunto, l’accovacciata nel dispiegamento misterioso delle sue ali, ombra di Notre-Dame.
Il sabba, sotto, menato dalla banda restaurata dei mostri di gronda e delle figure infami, rifiuta di placarsi.
Un pubblico, sottratto al censimento, qui ha gusto a certe pratiche, che il mantenimento alla corte papale di una carica intesa a confonderle, designa come vivaci. Ebetudine striata di bestemmia, questa messa nera mondana si propaga, certamente, alla letteratura, come oggetto di studio o di critica.
Sarebbe miglior deferenza verso il laboratorio estinto della grande opera, riprendere, ma senza fornello, le manipolazioni, i veleni, raffreddati in ben altro che gemmerie, per continuare con la semplice intelligenza. Alla ricerca mentale non esistono aperte che due vie, e basta, in cui si biforca il nostro bisogno, vale a dire l’estetica da una parte, e l’economia politica dall’altra: principalmente di quest’ambizione l’alchimia fu gloriosa, frettolosa e torbida precorritrice.Tutto quel che fu puro, concluso in sé, come privo di senso, prima che comparisse, come oggi, la folla, deve essere restituito al dominio sociale. La pietra nulla, sognatrice dell’oro, detta filosofale: ma essa annuncia, nella finanza, il futuro credito, che precede il capitale o lo riduce all’umiltà di moneta ! Con quale disordine si cerca tutto ciò, attorno a noi, e con che poca comprensione ! Quasi mi imbarazza proferire verità come queste, che implicano nette, prodigiose trasposizioni di meditazione, così, corsivamente e in perdita.
Nuova, quasi involontaria una pietà della scienza nulla trascura che abbia animato il suo compiacimento grandioso e puerile: questo apparato di chimera ( che per il letterato significa titoli solitari innati ) ha valore di museo; ma non basta, per blasonare l’anima, riportarla alla verginità del foglio di carta. Io dico che esiste fra i vecchi procedimenti e il sortilegio, che resterà la poesia, una parità segreta; io lo enuncio qui e forse personalmente mi sono compiaciuto di sottolinearlo, con qualche saggio, in una misura che ha oltrepassato l’attitudine a fruirne consentita dai miei contemporanei. Evocare, in un’ombra apposita, l’oggetto taciuto, mediante parole allusive, mai dirette, che si riducono a silenzio uguale, comporta un tentativo prossimo al creare: verosimile nel limite dell’idea unicamente messa in giuoco dall’incantatore letterario, sino a che, certamente, scintilli qualche illusione eguale allo sguardo. Il verso, tratto incantatorio ! E, non si negherà al cerchio perpetuamente aperto, chiuso dalla rima, una similitudine con gli anelli, fra l’erba, della fata o del mago. Nostra occupazione è il dosaggio sottile d’essenze, deleterie o buone, i sentimenti. Neppure un briciolo di quanto un tempo uscì, per gli illetterati, dall’artifizio umano, solo, riassunto nel libro o che fluttuerebbe imprudentemente al di fuori, a rischio di volatilizzarvi una parvenza, oggi vuole del tutto scomparire: ma riconquisterà i fogli, per eccellenza suggestivi e dispensatori dell’incanto.
Colpevole chi, su quest’arte, con cecità opererà uno sdoppiamento: o ne separi, per realizzarle in una magia a lato, le deliziose, pudiche – tuttavia esprimibili, metafore” ( Mie le sottolineature del contesto sulle “due scienze mondane”, la “parità” tra sortilegio e poesia e la anticipazione in forza “ermeneutica” del metodo distinzionistico, come “sdoppiamento” di “poesia e non poesia” ). Il mito della Grande Opera, che trapassa dalle procedure della scienza alchemica, attraverso la pietra filosofale, nelle creazioni della Grande Poesia moderna ( ed anche se la “modernità” – si badi – “è vana, perplessa, sfuggente” ); ovvero il Libro dei libri, il “libro assoluto”, costituiscono i fulcri centrali della poetica mallarmeana. Ed è un passaggio che contribuisce a spiegare il contesto definitorio delle “due scienze mondane”: contesto, certo, profondamente diverso dal quadro categoriale crociano, ove le stesse scienze formano il primo grado, rispettivamente, dello spirito teoretico e dello spirito pratico, anche se pur sempre all’interno di una ricca e sfumata articolazione armonica e tetradica delle “forme”. Anche il futuro metodo distinzionistico di Poesia e non poesia, rampognato avanti lettera dal Mallarmé come “Colpevole sdoppiamento”, attribuibile a “cecità” dell’interprete così prefigurato, riserva non poche sorprese; dal momento che Croce stesso in Tornando sul Manzoni degli ultimi anni, a colloquio con Mario Fubini, e in Le deformazioni di una mia teoria estetica, a proposito dei “momenti poetici” ( Terze pagine sparse, Bari 1955, I, p. 126), scioglieva notevolmente il nodo, addolcendo nei passaggi “temporali” dell’ “ampliarsi dell’anima” la didascalica demarcazione valoriale di bello e utile. Senza dire che già negli inizi della sua prima Estetica del ’02 aveva avvertito: “Tutta la differenza è quantitativa, e, come tale, indifferente alla filosofia, scientia qualitatum. A esprimere pienamente certi complessi stati d’animo vi è chi ha maggiore attitudine e più frequente disposizione, che non altri; e costoro si chiamano, nel linguaggio corrente, artisti: alcune espressioni, assai complicate e difficili, sono raggiunte più di rado, e queste si chiamano opere d’arte. I limiti delle espressioni – intuizioni che si dicono arte, verso quelle che volgarmente si dicono non-arte, sono empirici: è impossibile definirli. Un epigramma appartiene all’arte: perché non una semplice parola ? Una novella appartiene all’arte: perché no una cronaca giornalistica ? Un paesaggio appartiene all’arte: perché no uno schizzo topografico ?” Ancora, in Filosofia e storiografia ( del 1948; ma riedita da Bibliopolis nel 2005, alla p. 51 ), Croce citerà proprio l’amico poeta e interlocutore di Mallarmé, Villiers de l’Isle-Adam, a proposito del passo “C’est qu’il n’y a pas de Purgatoire”, dalle Oeuvres Complètes ( III. Nouveaux Contes cruels, Paris 1922, p. 274, “Le secret de l’Eglise ?” ). E tra ironia e impegno di umana comprensione, Croce si occuperà direttamente de Il ‘segreto’ di Mallarmé in Letture di poeti ( Bari 1950, pp. 156-167 )
Si vede bene che la sensibilità per la parola, anche della poesia “ermetica” o “pura” ( pur con tutte le precisazioni e le distinzioni categoriali opportune, sempre richiamate ), non sfugge alla critica crociana. La prefigurazione mallarmeana di un “colpevole sdoppiamento” analitico ( come di una vivisezione di un corpo poetico reale e concreto ) assume, allora, l’aspetto di sorprendente “colpo d’audacia” gadameriano, potenza intelligente e previsionale di una “virtualità” o “potenza d’essere” di tipo schellinghiano, che si sarebbe potuta palesare ed esercitare nelle generazioni e nei tempi avvenire, giusta la previsione del poeta. Ed è, ancor questa, un’ affermazione veritiera, in nuce. Come risulta veritiera, e straordinariamente calzante, anche la nota che il più acuto traduttore Francesco Piselli, in fondo al volume delle Opere, segnala a proposito del brano Magia, già più volte citato: “l’Estetica e l’Economica” – dice il Piselli -, “le due scienze mondane” . Dove, pur senza citare espressamente il Croce, il critico e interprete fa riferimento, per implicito acclaramento e presupposto filosofico, al saggio della maturità crociana, tanto lo stesso godeva, e gode tuttora, di vasta conoscenza e valorizzazione.
Ora, perfezionando per cerchi concentrici progressivi, e attraverso le letture di Croce e Derrida, Patrizia Valduga e Mario Luzi e Francesco Piselli la interpretazione del complesso testo mallarmeano, propongo una ulteriore traduzione, nel tentativo di focalizzare il senso della “valorizzazione economica”, di cui il visionario poeta – in definitiva – stava enunciando gli aspetti salienti ( se non ‘sistematicamente’ trattati ). In tal guisa, il punto centrale del brano significa ora ( con la variante Valduga in parentesi ): “La pietra di nessun valore ( ‘nulla’ ), che sogna di trasformarsi in oro ( ‘che sogna l’oro’ ), detta filosofale: ma essa ben preannuncia, nella impresa finanziaria ( ‘ma annuncia, nella finanza’ ), il credito avvenire ( ‘il futuro credito’ ), tale da precedere o anticipare il capitalismo ( ‘precedendo il capitale’ ) o da ridurlo e confinarlo alla bassezza della semplice moneta di scambio ! ( ‘o riducendolo all’umiltà della moneta !’ )” – Siamo infatti negli anni susseguenti la Comune di Parigi e il dibattito per la revisione del marxismo, all’altezza della seconda Internazionale. I saggi di Croce e Labriola e Gentile su questi acccertamenti ed apporti ‘revisionistici’ erano via via usciti anche in Francia su “Le Devenir Social”, e giravano per la temperie etica e politica europea. E, così, il citato “capitale” ben vale per “capitalismo”, come sistema di produzione dei beni e proprietà privata dei profitti; mentre l’alternativa, cosiddetta “povera”, del sistema per la distribuzione della ricchezza, era individuata sul livello umile e semplice, e cioè nella “bassezza” della “moneta di scambio”. Dove ( sia detto qui di passata ) non sembra forse di antivedere l’alternativa, predicata o persino enfaticamente esaltata, tra l’uso del “valore” per intermediazione bancaria, e l’uso del “contante”, qualificabile come “l’humilité de la monnaie” ?
Certo, ogni analogia o accostamento ermeneutico va storicizzato e caratterizzato specificatamente. Ma mi sembra che il senso pieno del discusso passaggio mallarmeano sulla attualità della “Magia”, e dell’incastro del rilievo delle “due scienze mondane” al suo interno, riceva miglior luce nella attuale interpretazione. – “Anticipare il capitalismo, o confinarlo alla bassezza della semplice moneta di scambio” ( meglio che nelle versioni Valduga o Piselli, sopra riferite ). Riepilogando, così abbiamo: “Conoscenza dell’individuale” o Estetica; “volizione dell’individuale” o Economica ( le “due vie in cui si biforca il bisogno” ). Della seconda delle due, l’alchimia costituisce il precursore illustre e glorioso, sommario quanto affrettato nelle proprie illuminazioni e deduzioni, ma travagliato e sofferto per le proprie conquiste. E tutto ciò riposa, in fin dei conti, sul Potere economico, e perciò sulla scienza che il Mallarmé precisa essere la “Economia Politica” ( mentre Croce, non ‘arcaicamente’ ma ‘modernamente’, le conferisce il riconoscimento ed attributo di “Economica”, proprio in quanto Scienza, alla stregua di “Estetica”, “Logica” ed “Etica” ). Ma trattandosi di Potere economico, esso si specifica nelle forme della “valorizzazione” e del quotidiano “commercio”, dell’acquisto e vendita dei beni, che sopra si è marcato; l’ “alchimia” essendo sempre – si badi – il glorioso “preludio” alla acquisizione di “valore”, essendo stata in grado di portare una “pietra di nessun valore”, o “nulla”, alla sua “trasformazione in oro” ( che è, appunto, il sogno della “pietra filosofale” ). Ecco il come e il perché s’incastrano perfettamente tra di loro i vari passaggi dello scritto sulla “Magia”.
Tuttavia, resta da spiegare perchè Derrida amputi il passo intiero, per sceverarne la parte centrale a proposito delle “scienze mondane” : vale a dire, il campo metodico della interpretazione sua e della più tarda modernità. Viene in soccorso la premessa di Gianni Vattimo, Derrida e l’oltrepassamento della metafisica, al ricco volume La scrittura e la differenza del filosofo francese, ove Vattimo sancisce “l’affermarsi dell’ermeneutica come una vera e propria koiné di una larga parte della nostra cultura”. In particolare, “Derrida respinge l’idea pura e semplice di una fine della filosofia; ma solo perché sembra un sogno troppo semplicistico, che fa le cose troppo facili. Come in altri esponenti della tradizione heideggeriana, anche in Derrida la fine della filosofia è piuttosto un ‘lungo addio’ alla metafisica e al ruolo tradizionale del pensiero: la metafisica, dice la Grammatologia, è chiusa, ma non finita” ( Einaudi, Torino 1971 e 1990, pp. VII sgg. ).
Nella sua Préface, Derrida cita il verso di Mallarmé: “il tutto senza novità di una spaziatura della lettura” ( tratto dalla Prefazione a Un coup de dès jamais n’abolira le hasard ); mettendo le mani avanti in Avvertenza: “Al momento di rileggere questi testi per raccoglierli in volume, vorremmo rilevare che non possiamo sentirci a eguale distanza rispetto a ciascuno di essi. Ciò che qui resta lo spostamento di un’interrogazione forma, in fondo, un sistema. J. D.” – Pure non negando il momento “sistematico” che si appalesa nella “raccolta” organica dei propri scritti, Derrida procede a un “lungo addio alla metafisica”, come – appunto – l’ “oltrepassamento della metafisica”. Ecco il perché – dunque – della ‘amputazione’, che è una ‘interpretazione’, del testo mallarmeano Magia, operata dal Derrida, al solo fine di enuclearne l’interesse “centrale” della tematizzazione delle “Due scienze mondane: l’Estetica e l’Economica”, o “Economia Politica”, che dir si voglia. Ma l’oltrepassamento della “metafisica” giustifica proprio l’accento posto dal Croce sul “senso”, il “sensibile”, il “vitale” nella descrizione delle due scienze mondane, di matrice moderna e settecentesca. Traccio le provvisorie conclusioni.
Si sarebbe potuto ipotizzare che Croce 1931- 1935 avesse in qualche modo ripreso il Mallarmé 1893-1897; e scopriamo, invece, che il Derrida 1974 presuppone e recupera tacitamente, ma evidentemente, il “nient’altro che storia” e la radicale critica alla “metafisica”, ragionati dal Croce stesso della maturità ( anni Trenta ). Il valore dell’alchimia, pur riconosciuto storicamente, si realizza e traduce, oggi, nel maturo giudizio storico, conquista dell’ermeneutica, che, con la complessità delle proprie restituzioni e scoperte, svela sempre nuovi “tesori di significato”, in base alle diverse esigenze problematiche del soggetto “interpretante” ( “Nell’intimo della genesi storiografica”, dice Croce ). La “Grande Opera”, la miracolosa Conjunctio, è la coincidentia oppositorum, alle origini della”dialettica”, che da Cusano e Bruno porterà a Hegel e Schelling, con ulteriori moderne diramazioni e persino correzioni. La genialità “bloccata” nel simbolo del cigno è l’essere “gettati nel mondo” heideggeriano. “Alla nuvola schiacciante taciuto / basso di basalto e di lava” di Mallarmé si travasa, per Le vierge, le vivace, le bel d’aujourd’hui, nel profilo sospeso di Micòl Finzi Contini, con Bassani.
Anzi, il “tempo”, la perenne “magia del tempo”, torna in Derrida, interpretante e trascorrente per nuove vie di fuga: “Una volta al mondo, perché a causa di un avvenimento che spiegherò, non c’è Presente, no, un presente non esiste..”. Da Mallarmé di Quant au livre a Il teatro della crudeltà e la chiusura della rappresentazione, in Derrida de La scrittura e la differenza, cit., p. 299; con il felice riepilogo di Forza e significazione: “Scrivere è solo pensare il libro leibniziano come possibilità impossibile. – Possibilità impossibile, limite propriamente designato da Mallarmé” ( La scrittura e la differenza, pp. 12-93; con il denso capitolo su Freud e la scena della scrittura, pp. 255-297 ). Rimane l’esito teoretico a me quanto mai caro, della “radice del tempo”, del significato del tempo nei tempi e nelle forme sue “ideali”. Vi accenna Vattimo, recuperando la nozione kantiana e moderna di “simultaneità”. “Ma dicendo ‘simultaneità’ invece di spazio, si tenta di concentrare il tempo invece di dimenticarlo. ‘La durata prende così la forma illusoria di un mezzo omogeneo, e il legame tra questi due termini, spazio e durata, è la simultaneità, che si potrebbe definire l’intersezione del tempo con lo spazio’”. Il riferimento a Bergson presuppone la Analitica trascendentale di Kant, la compagine successione- simultaneità – permanenza, con il suo farsi nel momento culminante della creazione ( poetica o economica, veritiera per la logica o santa in etica ); e quindi il carattere non statico ma dinamico della opposizione. (8) In generale: “E se il senso del senso ( nel senso generale di senso e non di segnalazione ) è l’implicazione infinita ? Il rinvio indefinito da significante a significante ? Se la sua forza è una certa equivocità pura e infinita, che non lascia tregua, riposo, al senso significante, impegnandolo , nella propria economia, a fare ancora segno e a differire ? Tranne che nel Libro irrealizzato di Mallarmé, non esiste identità a sé dello scritto. Irrealizzato: ciò non significa che Mallarmé non sia riuscito a realizzare un Libro che fosse uno con sé. Mallarmé semplicemente non lo ha voluto. (..) ‘Io semino per così dire qua e là, dieci volte questo doppio volume intero’”. (9)
Non è stato notato da alcuno il valore emblematico dello stemma dedicato da Goethe nel 1810 alla ‘Teoria dei colori’, in sede storiografica e di ‘implicazione infinita’, basata sulle estetiche e dottrine settecentesche ( Sensibilità, Fantasia, sensismo e classicità ), sì care al Croce delle “due scienze mondane”. Nel cerchio cromatico e valoriale del genio tedesco, il bello e l’utile sono i due valori ‘con-divisi’, rispettivamente, tra la Fantasia e la Ragione pensante, e tra Intelletto e Sensibilità. Le altre coppie sono: disutile-bello; bello-nobile; bene-utile; e utile-comune. “Il dis-utile, il nobile e il comune non ‘condividono’ alcuna sfera valoriale; ma pertengono solo alla ‘inutilità’ dell’ arte ( Fantasia ); alla “nobiltà” della Ragione pensante; ed alla “comune” base vitale della Sensibilità”. L’unica coppia di valori con-divisi, in riferimento agli “spicchi” disegnati dal Goerthe è proprio quella che definisce le “due scienze mondane”, il bello e l’utile ( come dire l’Estetica e l’Economica ), la cui fratellanza pre-romantica e sensibilistica era già consolidata, perché il Genio del “Libro universale” la raccogliese e sistemasse nel proprio mirabile schema. (10)
E le due scienze mondane sono soggette, una volta di più delle “dieci volte”, “moltiplicate” finché si vuole, alla “implicazione infinita”.
(1) Ultimi saggi, Bari 1935, pp. 43-58.
(2) Sandron, ma Trani, Vecchi, 1902; poi Laterza, Bari 1908, per la 3^ edizione.
(3) Estetica ed economica in Croce, in “Micromega”, 3 febbraio 2016; Il problema Croce, Quodlibet 2015. – Lo stralcio del brano di Mallarmé sulla Magia deriva dalla edizione di Jacques Derrida, Mallarmé, in Tableau de la littérature française, Gallimard, Paris 1974, nella traduzione di Maurizio Ferraris ( ad eccezione di quella dei versi di Mallarmé, dovuta a Patrizia Valduga ), Oscar, Milano 2003, pp. V-XVIII.
(4) Cfr. Recenti interpretazioni della teoria marxistica del valore e polemiche intorno ad esse (1899), in Materialismo storico ed economia marxistica, Bari 1961, p. 148 in: 133-150; Giuseppe Brescia, Guise del tempo e della libertà. “Marx possibile” e libertà “indivisibile”, in “Osservatorio Letterario Ferrara e l’Altrove”, nn. 125-126, maggio-agosto 2018 e in Generazioni del tempo, Matarrese, Andria 2018, pp. 121-135. – Fondamentale resta il contributo di Carlo Antoni (Senosecchia -Trieste 1896 – Roma 1959 ), a proposito delle origini della dialettica dalla storia dell’alchimia e dei maghi e teosofi svevi fino a Hegel, in Storicismo e antistoricismo ( Morano, Napoli 1964 ) e nel Commento a Croce ( Neri Pozza, Venezia 1964 ); mentre in chiusura della Parte prima, Il principio – L’etica moderna, della Restaurazione del diritto di natura (Neri Pozza, Venezia 1959, pp. 112-116 ) il filosofo originale prosecutore del Croce si travagliava sul problema della “genesi” del “male”, di fronte all’innalzarsi della “coscienza morale”, così sintetizzando: “Ciò che consegue dalla fondazione moderna delle due ‘scienze mondane‘ è pertanto l’ideale umanistico dell’armonia della sintesi produttiva. Le grandi opere, le grandi imprese, positive e feconde nella storia dell’umanità, si devono a uomini magnanimi, e la magnanimità comprende l’intera energia dello spirito. La sintesi non è mai la conclusione felice della tensione d’una singola categoria, ma della concentrazione di tutte le energie.Questa forza suprema, che le chiama a raccolta e le rapisce nel suo slancio, è l’individualità. L’individuo è la sintesi medesima, sempre originale e concreta. La sua genialità non sta nel far vigere una sola categoria, riducendo all’inerzia le altre, ma nella potenza che tutte le contiene e domina, volgendole in una determinata direzione secondo la vocazione”. Donde le mie riprese tematiche di Carlo Antoni e la sinergia tra giusnaturalismo e storicismo: ‘Deus est in nobis’ e Carlo Antoni e la contemporanea presenza attiva delle forme: ‘raccolta di forze’, in I conti con il male.Ontologia e gnoseologia del male, Laterza, Bari 2015, pp. 105-112.
(5) Cfr. Stéphane Mallarmé, Divagations, Paris, Charpentier, Fasquelle 1897: tra le Variations sur un sujet, sono accolti i Grands Faits Divers ( Or, Accusation, Cloitres, Magie, Bucolique, Solitude, Confrontation, La Cour, Sauvegarde ); in italiano, Tutte le poesie e prose scelte, con testo a fronte a cura di Luigi De Nardis e riproduzione di Scultura di Paul Valery, ritraente il Mallarmé e custodita al Museo di Sète, Guanda 1961: dove l’ Autobiografia al “Mio caro Verlaine” è inserita alle pp. 325-329.
(6) Oeuvres Complètes di Stéphane Mallarmé, Texte établi et annoté par Henri Mondor et G. Jean-Aubry, La Pléiade, Paris 1945: la Magie è alle pp. 399-400, dopo Or ( pp. 398-399 ) e prima delle preziose Notes et Variantes, in fondo al volume, pp. 1577-1580. Di interesse per la psicocritica e la mitologia sono Les dieux antiques. A M. Charles Seignobos – Député de l’ Ardèche, pp. 1157-1275: di cui l’ Oedipe, Mythe Grec et Latin, pp. 1234-1238.
(7) Cfr. Opere. Poemi in prosa e opera critica. Prefazione di Mario Luzi. Traduzione, Note esegetiche, Cronologia e bibliografia a cura di Francesco Piselli, Lerici Editore, Milano 1963: con la “Cronologia” alle pp. XXX-XXXII e “Magia” in 311-313.
(8) Cfr. Jacques Derrida, La scrittura e la differenza, ed. it. citata nel testo, Einaudi, Torino 1990, pp. VII sgg. della Prefazione di Gianni Vattimo, pp. 12-13; 255-297; 299 sgg. e passim; Maurizio Ferraris, Derrida 1975-1985. Sviluppi teoretici e fortuna filosofica, in “Nuova Corrente”, n. 31, 1984, e Storia dell’ermeneutica, Bompiani, Milano 1988, al capitolo Gadamer e Derrida; Giuseppe Zuccarino, Il Libro, il mimo, il dono. Derrida e Mallarmé, in”Quaderni delle Officine”, XXVII, Luglio 2012.
(9) Cfr. Jacques Scherer, Le livre de Mallarmé: premières recherches sur de documents inédits, Préface de Henri Mondor, Gallimard, Paris 1957, p. 95; e Grammaire de Mallarmé, Nizet, Paris 1977.
(10) I bibliografi dimenticano spesso lo scritto crociano su Mallarmé di Letture di Poeti ( Bari 1950, pp. 156-167 ), come tutte le infinite diramazioni, approssimazioni inedite, revisioni critiche e autocritiche del filosofo italiano, insite sia nelle note e postille della “Critica” e dei “Quaderni della Critica” sia nel campo metodico e dotrinale slargato e sapientemente rivisitato. Mi riferisco segnatamente alle Terze pagine sparse ( Bari, 1955, I e II vol. ); e ai miei Questioni dello storicismo. I. Dalle origini della dialettica alla ricerca dei modi categoriali e II. Il tempo e le forme ( Salentina, Galatina 1980 – 1981 ); Tempo e Libertà. Teorie e sistema della costruttività umana ( Lacaita, Manduria 1984 ); Il vivente originario; con Tempo e Idee. ‘Sapienza dei secoli’ e reinterpretazioni e le Radici dell’Occidente ( Libertates, Milano 2013, 2015 e 2019 ). – Sullo stemma e la ‘Teoria dei colori’ di Wolfgang Goethe ( 1810 , ed. it. Troncon , Il Saggiatore, 2008), v.: Il circolo cromatico di Goethe e altre note di Estetica ( Laterza, Bari 2005 ); “La fucina del mondo”. Modi della complessità, “Filosofia e Nuovi Sentieri”, 24 febbraio 2019, e in Generazioni del Tempo, Matarrese, Andria 2018, pp. 197-201.