Oggi, 2 maggio, Marco Pannella avrebbe compiuto novant’anni.
Dieci anni fa promossi il festeggiamento nazionale per i suoi ottant’anni a Torino al circolo della Stampa.
Fu uno straordinario pomeriggio bipartisan in cui politici di colori politici diversi resero omaggio a Marco che concluse l’incontro con un grande discorso.
Ci conoscemmo nel 1969, quando stava per andare in porto la battaglia per il divorzio, quando entrai giovanissimo nella LID. Sostenemmo insieme la battaglia per il referendum nel 1974 quando facemmo tanti comizi insieme.
La battaglia di Marco era una battaglia laica, rispettosa dei credenti, che affermava la laicità dello Stato come garanzia per la libertà di coscienza di tutti i cittadini. Fu difficile farlo comprendere ad una parte di italiani bacchettoni e familisti. La Legge Fortuna -Baslini non era una legge libertina,ma una legge seria,rigorosa e liberale che non intendeva intaccare i valori della famiglia, ma trovare soluzioni ai naufragi matrimoniali e alle nuove coppie dopo i naufragi .
Pannella era un uomo libero che spese il suo patrimonio famigliare a sostegno delle battaglia in cui credeva: una rara avis in assoluto. Una caratteristica che andrebbe ricordata come titolo di straordinaria benemerenza civile.
La politica per lui era una scelta nobile da affrontare a viso aperto, pagando sempre di persona.
Era un vero liberale, da giovane era stato monarchico come ero lo ero stato anch’io. Una volta parlammo del Re Umberto II che anche Pannella aveva conosciuto e che considerava un grande re che seppe nel 1946, partendo, evitare una guerra civile tra Italiani.
Da vero liberale vedeva nella Monarchia una garanzia di laicità per l’Italia.
Era un laico rispettoso dei credenti: è lui che inventò la formula dei laici credenti e non credenti,riprendendo una visione che fu di uomini straordinari come Arturo Carlo Jemolo.
Rifondò nel 1963 il partito radicale di Pannunzio che si era dissolto e riuscì a portare in Parlamento un partito minoritario che con Pannella riuscì ad imporsi. Fu il Felice Cavallotti del Novecento.
Molte conquiste civili si devono alle battaglia di Pannella. Pannunzio preparò il terreno sul piano culturale con “Il Mondo”, Pannella tradusse in politica alcune idee laiche, andando oltre l’élitismo pannunziano, andando oltre il laicismo.
Sicuramente Marco ha anche commesso degli errori,ma nessuno potrà mai mettere in dubbio la sua buona fede. Era un cavaliere che seppe battersi senza armi né armatura, con l’esempio della non violenza e della tolleranza.
E’ stato il nostro Gandhi.
A Roma ci incontravamo a prendere un cappuccino insieme in piazza del Pantheon. Riuscimmo a cenare una sola volta perché spesso stava praticando il digiuno.
Parlavamo di tutto.
E Pannella fu l’unico politico capace di parlare con tutti,senza mai sottrarsi al confronto delle idee anche per strada.
Una volta parlammo di Renzo De Felice e del Fascismo. Pannella era favorevole alla storiografia defeliciana attaccata violentemente dalla sinistra.
Arrivò a dirmi una verità scomoda che nessuno allora avrebbe avuto il coraggio di affermare. Mi ricordò un’idea di De Felice, secondo cui tra i tanti danni del Fascismo c’era anche da considerare l’intolleranza e la delegittimazione dell’avversario che il Fascismo trasmise come eredità anche ai non fascisti e agli antifascisti. Un’idea che Flaiano aveva sintetizzato in una battuta: i fascisti si dividono in due tipologie: i fascisti e gli antifascisti. Marco aggiunse che non erano stati solo i fascisti a trasmettere la loro intolleranza agli antifascisti,ma che quel demone nasceva anche dal marxismo-leninismo intriso di violenza,di odio e volontà di distruggere i nemici di classe. I professionisti della rivoluzione di stampo leninista erano, se possibile, anche più violenti dei fascisti.
Erano anni in cui questi discorsi erano impraticabili.
Ricordo Marco per tanti motivi di cui ho scritto in passato, dedicandogli un capitolo nel mio libro “Figure dell’Italia civile”, ma questo ricordo che ho citato ha una particolare intensità perché rivela che Marco era un cavallo di razza che non accettava il morso e sapeva galoppare nelle praterie della libertà incurante del conformismo settario.
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