Le gloriose giornate' di Genova del giugno 1960 non sono state ricordate dalla stampa come ci si sarebbe aspettato in questo clima di reviviscenza degli ideali resistenziali, alimentato dalle
minacce’ portate contro le istituzioni democratiche dapopulisti, nazionalisti e sovranisti. Poche
le eccezioni. Un articolo di Fabrizio Cicchitto sul Riformista ricorda «l’autentica provocazione di un monocolore democristiano con l’appoggio determinante del
MSI» e la non meno autentica «provocazione costituita dalla convocazione a Genova del Congresso del MSI» che scatenò «quel pezzo di resistenza partigiana, molto forte in Liguria, che si sentì tradita' dalle vicende successive al 1945, i camalli del porto, forti nuclei di classe operaia, un'inattesa ribellione giovanile, anche vaste aree di ceto medio intellettuale": insommal'"Italia vivente', come si diceva nell'Ottocento. Un Te Deum di Paolo Pombeni (Quel tornante della politica italiana II Sole 24 Ore 19luglio) vede nella sconfitta di Tambroni l'affermarsi di «una società molto lontana dall'archetipo di quella patriarcale- contadina che si credeva fosse il sostegno dell'equilibrio sociale ». Che questa sia la verità sostanziale dei fatti di Genova non ho nessuna intenzione di contestare. Indro Montanelli e Piero Ignazi videro nelle sommosse del giugno/luglio 1960 la longa manus del Pci. Altri storici confutano la tesi complottista e, personalmente, sono d'accordo con loro. Non si mobilita la gente su obiettivi che non siano fortemente sentiti e, nell'Italia del secondo dopoguerra, masse
alienate’, disilluse, malate di ribellismo endemico e facili al ricorso alla violenza non ne mancavano certo. Anche per colpa del fascismo che, con il suo criminale Asse Roma/Berlino, avevadistrutto quel poco o tanto di comunità nazionale' che era riuscito a tessere nei suoi primi dieci anni di governo. Ciò si cui vorrei richiamare l'attenzione, invece, è la
grande svolta’ segnata dal 1960.Tambroni davvero rappresentava un pericolo per
la Repubblica? Storici documentati e coscienziosi non sono d’accordo e ammettiamo pure che abbiano torto. Il punto, però, è un altro. A Genova–come a Reggio Emilia,
come a Roma,–si affermò una political culture esiziale ai valori della società aperta, quasi un preludio al lungo sessantotto: ovvero l’idea che la legittimità del sistema
politico si fondasse non sulla democrazia liberale -che comporta il rispetto di tutte le opinioni e il diritto a far parte della maggioranza di governo di ogni partito votato dal popolo sovrano – ma sull’antifascismo. La legalità democratica da allora in poi retrocesse dinanzi alla legittimità resistenziale. Nel fiammeggiante
discorso tenuto alla folla convenuta a Genova, a Piazza della Vittoria, Sandro Pertini tuonò: «Io nego – e tutti voi legittimamente negate – la validità della obiezione secondo la quale il neofascismo avrebbe diritto di svolgere a Genova il suo congresso. Infatti ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa, di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo, in ogni sua forma è considerato un
reato dalla Carta Costituzionale, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato». Si affermava, in tal modo, il principio che un partito votato da quasi il 6% degli italiani non p otes se tenere il suo Congresso in una città
della Resistenza come Genova– anche se quattro anni prima lo aveva tenuto a Milano–qualora la trincerocrazia resistenziale avesse posto il veto. Se tutto questo è
normale, se è normale che un’associazione come l’Anpi si erga a ‘potere spirituale’ della Repubblica e abbia il diritto di annullare ogni iniziativa politica considerata un
affronto ai “fucilati del Turchino, della Benedicta, dell’Olivella e di Cervasco etc..” sia il lettore a decidere. La domanda che pongo è questa; se il Msi era una riedizione del Pnf perché non si applicò ad esso la Legge Scelba e se ne permise la ricostituzione?
Un partito che sta in Parlamento, come nei consigli comunali e provinciali (a Genova
contribuì all’elezione del sindaco dc Pertusio), ma è più intoccabile dei paria non rivela una strana anomalia? In realtà, la spiegazione c’è e dovrebbe essere motivo di profonda riflessione: senza un partito che li rappresentasse, i tanti nostalgici italiani avrebbero disertate le urne o avrebbero rafforzato le correnti più conservatrici della Dc. Col risultato di far prevalere, all’interno della Balena bianca, le correnti ostili all’apertura a sinistra. Insomma, avremmo avuto un Parlamento reazionario' deciso a conservare ancora a lungo l'archetip o patriarcale-contadino temuto da Pombeni. Di qui il ricorso a una 'legittimità' extra-istituzionale (antifascista) che mettesse da parte la
legalità’ (il voto popolare) portando in piazza le masse democratiche finalmente libere di manifestare i propri bisogni e le proprie aspirazioni tradite. La Dc di Tambroni era un partito che aveva visto rafforzarsi la sua destra interna: a farle accettare il centro-sinistra in vista fu solo il pericolo di una guerra civile, paventato dall’abile tessitore Aldo Moro.
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