C’è una domanda che il direttore del Centro,  l’amico Quaglieni, affronta in una sua recensione di un libro di Carlo Greppi: l’antifascismo serve o non serve oggi? Ne trarrei spunto per affrontarne una seconda  più ampia (e drammatica) nella quale, a mio avviso, la prima va inquadrata: c’è un futuro per la democrazia nel nostro paese  e più generalmente nell’Occidente cristiano?

 Personalmente ritengo che la democrazia non sia in buona salute, in quanto la vedo in difficoltà,  alle prese con i suoi molti handicap. Inconsciamente e inconfessatamente, non la amiamo molto nemmeno noi intellettuali: obbliga a privilegiare la (mediocre) istanza dei più invece della nostra, assai più autorevole…..

Necessaria una premessa la democrazia è una piantina che fiorisce quasi solo nel nostro universo, che io chiamo cristiano-illuministico.  Tutti figli di Platone, di Aristotele, di San Paolo. Altrove, oggi esistono  pseudo democrazie che nascondono tribalità  etniche o religiose, e assolutismi. La democrazia si basa sul confronto delle idee, ma il legame costituito dalla comunanza di idee è (per usare il linguaggio dei fisici) un “legame debole” in confronto al “legame forte”, che è – appunto –  quello di natura etnico/tribale o religiosa.  

E  non parla alla pancia. Benedetto Croce, alla vigilia della prima guerra mondiale, ai socialisti spiegò che, ragazzi, se il socialismo è un ideale, la difesa della terra natale è un istinto (oggi c’è una terminologia più sofisticata, ma il concetto è ancora quello). Ebbene, anche la democrazia è solo un ideale, e più debole del socialismo. L’Occidente ogni giorno rifiuta e ripudia le sue radici culturali, optando per l’auto-fustigazione. Un simbolo: quegli studenti che sciamano dalle prestigiose università della Ivy League cantando “Hey, hey, ho, ho, western culture’s got to go”. Ma per la democrazia quelle radici culturali erano l’humus, e il loro venir meno è il primo elemento di debolezza.

Il secondo richiede di prendere il discorso un po’ alla lontana , visto che è connesso con una virtù, l’altruismo. Fu Darwin a  porsi il problema di quello che oggi chiamiamo “il paradosso dell’altruismo”, e cioè il fatto che comportamenti altruistici esistono. In termini evolutivi, la selezione naturale privilegia i geni che predispongono alla sopravvivenza personale ed alla personale riproduzione – quindi, i geni dell’egoismo – eppure sappiamo tutti che in natura si incontrano anche comportamenti altruistici. Come mai la selezione naturale non abbia eliminato i geni dell’altruismo è domanda che non trova risposta facile, ma qui il punto è un altro.  Perché è importante il tema dell’altruismo? Tra i requisiti che rendono possibile nascita e sopravvivenza della democrazia, c’è quello che chiamerei tolleranza esercitata da (quasi) tutti. Detto in altri termini, la democrazia funziona là dove generalmente la gente rispetta le regole. Ebbene,  rispettare le regole richiede una certa dose di altruismo, col che abbiamo ilsecondo elemento di debolezza. Parcheggiare in seconda fila davanti al negozio  è gratificante. Andare fino al parcheggio sotterraneo, invece, non mi porta alcun vantaggio e quindi richiede una certa dose di altruismo, il cui gene, si diceva, è normalmente eliminato nella competizione.

Quando la somma delle tolleranze dei singoli produce una tolleranza del sistema, allora ci troviamo alle prese con il paradosso di Popper (e con  un terzo elemento di debolezza). Ricordiamolo. Secondo il padre della “Società Aperta”, questa non può sopravvivere se l’insieme dei tolleranti esercita tolleranza indiscriminata verso gli intolleranti, in quanto questi sono più attrezzati per la competizione e più aggressivi. Conclusione, i tolleranti possono sopravvivere solo se diventano essi stessi intolleranti. E’ questo un elemento di debolezza per il sistema democratico, in quanto l’esperienza insegna che un sistema di tolleranti, indebolito dalla endogena patologia del “politicamente corretto”, difficilmente riesce a riconvertirsi esercitando un’intolleranza “mirata”, la quale viene presto deplorata ed etichettata con una qualche parola che finisce per “fobia”.

Il successivo fattore di debolezza, nel mio elenco, è forse il più importante.  Premessa: mentre  in una cultura di cacciatori/raccoglitori, entro il gruppo dei classici 100-150 individui è concesso che si segua un altruismo limitato alla cerchia ristretta, in una grande aggregazione questo non basta più: diventano necessarie forme di collaborazione, e di conseguenza altruismi da esercitare anche a vantaggio di gente sconosciuta: ciò che è avvenuto con la “rivoluzione agricola” diecimila anni fa. Ebbene il segreto sta nella comparsa della finzione, come bene argomenta Yuval Noah Harari nel suo ormai classico “Da animali a dei”. Grandi numeri di estranei riescono a cooperare con successo attraverso la credenza in miti comuni. Mito, ecco la parola chiave.

Il mito è qualcosa che il bambino comincia ad assorbire col latte materno. Quando si fa adulto, il mito gli si pone come l’ordinatore del mondo nel quale vive; è la giustificazione di tale mondo e delle sue regole che nel mito affondano le loro radici, mentre spesso non  lasciano riconoscere una motivazione razionale. Le grandi religioni gli hanno dato un nome, un aggettivo sostantivato, che in effetti è alla base di tutte le religioni e di tutte le metafisiche, il Sacro.

La credenza in miti comuni, la metafisica che le si associa, possono affratellare milioni e, in particolare, creare identità nazionali (e altre). Stalin nel 1942, quando  il popolo era fiaccato, e il paese agli estremi, faceva appello a miti e glorie degli zar e della Grande Madre Russia. E i Russi si battevano. Putin, appena rieletto (2018), la prima visita la ha dedicata alla cattedrale. Tsipras, il giorno che la Grecia è uscita dalla tutela finanziaria della UE, per comunicare che l’odissea era finita, il discorso alla nazione ha scelto di farlo da Itaca.

Ebbene – arrivo al punto – la nazione italica, dalla Roma imperiale in poi, di miti d’origine è ricca, ma li ha ripudiati tutti. Mike Bongiorno non basta. Dall’indifferenza all’odio-di-sé il passo è breve, e allora – voilà – ecco il presidente della Camera che ascolta l’inno con la mano in tasca. Poco da fare: Luciano Manara e la Repubblica Romana del ’49 “non tirano”. Il Risorgimento è stato un mito effimero. E ormai tira poco anche il Cristianesimo. Quanto all’Europa, come tale, un mito di fondazione non lo ha mai avuto, e per questo l’UE è quello che è.

A un quinto ed ultimo fattore di debolezza ho già fatto scherzoso riferimento: la  democrazia comporta ovviamente la necessità, per i reggitori, di procurarsi consenso, e tale necessità può portare il germe della corruzione. Ogni gruppo politico ha il suo “gruppo” sociale di riferimento, i favori del quale si assicura con regali. Il pericolo che si realizzi un mega-voto-di-scambio è sempre dietro l’angolo.

Fin qui le debolezze “strutturali”. Ma a queste si aggiungono elementi molteplici di incertezza. Uno, formidabile, potremmo intitolarlo (attingendo alla storia della prima rivoluzione industriale) “le pecore mangiano gli uomini”:  è il progresso tecnologico che ammazza posti di lavoro. C’è un passo di Ralf  Dahrendorf  (Quadrare il cerchio, 2006)  che amo citare: “ nella nostra società globalizzata – RD scriveva venti anni fa –  “certe persone (per terribile che sia anche solo metterlo per iscritto) semplicemente non servono. L’economia può crescere anche senza il loro contributo. […] per il resto della società esse non sono un beneficio, ma un costo”.

Oggi, la prospettiva che ci si apre è quella di un sistema nel quale il lavoro sarà privilegio di un’élite. Il sistema sarà ad alta produttività (visto che alle macchine non si pagano né salario né contributi) e capace di nutrire una moltitudine di iloti corrotti dall’ozio. Chiedersi che cosa faranno quegli schiavi di Stato oltre  a scambiarsi futilità e rancori su social media con supporti oggi inimmaginabili. Quali diritti civili avranno?  Chi sa. Avranno diritto di voto (pardon, di clic)? Chi sa. C’è da chiedersi con quale termine politicamente corretto costoro verranno designati. Certo non con l’obsoleto “disoccupati”.

Il prodotto di un simile sviluppo non ha niente in comune con l’idea attuale di democrazia, ovviamente. Forse ne conserverà il nome (richiederà solo una ridefinizione del termine demos).  Chi gestirà il sistema? I padroni del big data? I detentori della forza? Super-guitti carismatici? Un mix di tutto questo? Una nuova specie di sacerdoti? Che cosa è il “Reddito di Cittadinanza” se non un’anticipazione di tutto questo?

Restano due vie. L’upgrading dell’ignobile ozio a nobile otium vuole una ricca dotazione di risorse interiori, e quindi è per pochi. Più probabile il downgrading a invidia sociale (già se ne colgono indizi vistosi), e ad accidia, entrambe foriere di disastri.

Continuiamo. I paesi che crescono sono quelli autoritari. E’ una constatazione. Qualcuno finirà per accorgersene, e sarà tentato di dire “ah, ma allora …”.  Un paese con un regime orrendo come  la Corea del Nord ha un crescita del PIL dell’ordine del 4% annuo, per noi un dato da sogno. La Cambogia è al 7% !!  Negli ultimi anni tutta l’Africa (tranne che dove infuriano guerre civili) è cresciuta alla grande (per questo, molti Africani hanno potuto prendere coscienza che altrove si vive meglio!).  In Egitto, il generale Al Sisi ha preso il potere nel 2013, ha deciso di raddoppiare su 35 km il canale di Suez, niente ricorsi al Tar,  ha inaugurato l’opera nel 2015. Evitiamo un confronto impietoso  col TAV Torino – Lione, ma concediamoci quello col primigenio traforo del Frejus, per l’epoca, un’opera gigantesca. Vittorio Emanuele II diede il via ai lavori nel 1857 e inaugurò l’opera nel 1871. In mezzo c’erano state due guerre di indipendenza (più la breccia di Porta Pia) e il passaggio della Savoia alla Francia. Il livello di democrazia era modesto.

E non è solo una questione di “crescita”. 18 Marzo 2020, siamo in piena esplosione del Coronavirus e Angelo Panebianco,  autorevole editorialista del Corriere della Sera, scrive: “La Cina (forse) ha infine debellato l’epidemia, ma con una gestione dell’emergenza autoritaria e a tratti violenta, impossibile in contesti democratici”. Uno legge e si chiede: allora nei “contesti democratici” si è destinati a ammalarsi e morire? Non è quello che l’autore intendeva, però uno la domanda se la pone…

L’Islam è l’altro, vistoso elemento di incertezza.Considerando il nostro declino demografico, non occorre essere un matematico per capire che nell’Europa occidentale, almeno nei paesi a ovest dell’ex blocco sovietico, il fattore demografico sta determinando una strisciante islamizzazione. La estrapolazione dei dati non è difficile. Basta plottarli su un diagramma cartesiano e vedere dove le due curve intersecano. Il punto è che nell’Islam il potere non viene dal demos, viene da Dio. Democrazia? No, grazie. E all’Islam non mancano  né mito né metafisica, né una fede. La Sunna vuole rifare il Califfato, Erdogan l’Impero Ottomano, lo Sci’a aspetta con ansia la riapparizione del dodicesimo Imam e con essa la fine del mondo. Qui (aprile 2020) aspettiamo con ansia di sapere quando il calcio “riaprirà”.

            Poi ci sono i segni. L’Occidente cristiano-illuministico ha visto avviarsi lo stadio crepuscolare al tempo della prima guerra mondiale. E non ha più certezze, solo dubbi. Ha debellato i fascismi, ma poi – quanto meno in Italia – l’attacco da destra (Chiesa di Roma) e da sinistra (comunismo) lo ha sfibrato. Ha ascoltato le sirene. E’ arrivato all’odio di sé stesso. Nel suo passato cerca solo le ombre. Allora la domanda: quanto è vivo e vitale oggi, in Italia,  il sistema che è nostro da oltre settanta anni? Quello che usa chiamare liberal-democratico? Ho cercato di evidenziarne gli elementi di debolezza e le alee. Ma anche segni del declino sono già presenti, e allora vediamone qualcuno. Ce ne sono di strettamente  italiani (esempio, il primo elencato), e di più cosmopoliti.

Lo spirito anti-moderno che dilaga, quando, ahimè, sappiamo che la democrazia è figlia della modernità, a meno di non volere gingillarsi col precedente della quasi-democrazia ateniese. Lo spirito anti-moderno, di per sé,  sarebbe un argomento per piacevoli discussioni davanti al camino. Non fa né bene né male. Purtroppo, ha procreato un figlio che si chiama mentalità anti-industriale (qualche volta usa l’alias “ecologismo”), e di danni ne fa, e catastrofici. Un altro figlio è la mentalità anti-scientifica (guerra alle vaccinazioni, eccetera), e sarà interessante vedere come uscirà dal ciclone Coronavirus. Magari rinvigorito (complotto delle case farmaceutiche…).

Il rifiuto della gerarchia. Non vedono riconosciuto il loro ruolo né il poliziotto, né l’insegnante, né il medico, né l’uomo di scienza. Il risultato sarà, rispettivamente, guerra di tutti contro tutti, ignoranza generalizzata, lutti precoci e avvento dello stregone. In quella condizione, nessun sistema può funzionare. Il rifiuto della gerarchia spesso è il caso particolare di un’altra sindrome  catastrofica, il rifiuto della competenza (in nome dell’eguaglianza; se ne è già parlato). Quella dell’ “uno vale uno” è una sindrome di origine sessantottina , associata ad una logica giacobina, rinata quarant’anni dopo come uno zombie, esumata ad opera del web. Ha spazio la democrazia in questo guazzabuglio?

            Figlio di quel rifiuto è anche la rinuncia dello Stato all’esclusiva della forza. E’ una ricaduta necessaria del precedente e entra, va ricordato, nella moderna definizione di “Failed State” (“Stato Fallito”: il termine è diventato di uso frequente nella discussione sul Medio e Vicino Oriente). Si manifesta con la rinuncia all’applicazione della legge, in particolare, con la tolleranza esercitata verso illegalità croniche. Pochi esempi tra mille: le case popolari “occupate”, certe aree “no go” e certe aree  dove di fatto è bandito il copricapo ebraico (capita in certe banlieue francesi, e non solo).

Democrazia diretta e rifiuto della delega, teorizzati recentemente da un nostro importante movimento politico in quanto (teoricamente) resi possibili dal web. Milioni di persone possono esprimersi con un clic, anche tutte le sere. Tutti i sistemi democratici si sono sempre appoggiati al principio della delega, in quanto il singolo riconosce (riconosceva) di non avere gli elementi per decidere nella quasi totalità dei casi proposti. Al singolo era riservato il diritto di delegare le scelte a qualcuno che aveva saputo guadagnarsi la sua fiducia. Questo meccanismo sembrerebbe tuttora raccomandabile. Nella realtà, tutti accettano che con la “democrazia diretta” si può gestire un condominio, ma non una nazione, e quindi la delega ricompare travestita. Il suo rifiuto “di principio” non è piovuto dal cielo. E’ nato dallo sputtanamento della classe politica che giornalisti, blogger, giudici e, paradossalmente, i politici stessi, hanno praticato con entusiasmo nell’ultimo mezzo secolo, e che grazie ai social media, ha raggiunto toni di delirio.

Per fortuna l’uomo della strada ha chi lo aiuta a decidere. Compaiono figure come quella dell’influencer. Dotati di carisma, il quale si esercita su gente che, inebetita dal web, vive appesa alle cuffie, tra musica, video games e chat. Una volta, ai tempi quando la gente leggeva, a “fare opinione” era l’ articolo di fondo del grande quotidiano. E a firmare spesso era  un intellettuale che poteva chiamarsi Luigi Einaudi o Benedetto Croce. Oggi, lo stesso ruolo spetta al rapper con milioni di quei followers, sui quali rudemente si esprimeva  Umberto Eco.  Induce a chiedersi mestamente se, su queste basi, quello democratico sia ancora il migliore dei sistemi possibili.

L’entusiasmo per Putin dilaga, dalla sinistra del Labour Party alla destra di Matteo Salvini. Democrazia certamente peculiare, quella nella versione di Putin, se ha prodotto un paese dove fare il giornalista non allineato è uno “sport estremo”. Però funziona. Ha restituito alla Russia il ruolo di grande potenza. Simmetrico dell’avvicinamento alla Russia c’è l’allontanamento dagli Stati Uniti, con quel che comporta anche simbolicamente, se si pensa che l’intervento USA nell’ultima guerra fu determinante per la sopravvivenza delle democrazie nella vecchia Europa. In presenza di due incombenti assolutismi  – l’Islam della Shari’ e il comunismo confuciano del gigante cinese – con gli Stati Uniti che, per parte loro, guardano ormai più al Pacifico che all’Atlantico, ebbene, la quasi-democrazia di Putin viene vista come una scelta palatabile.

La  tentazione del vincolo di mandato.C’è chi propone questa normativa che di fatto impone all’eletto di conformarsi alle decisioni del suo partito: sarebbe la vidimazione  del potere assoluto delle oligarchie. Rifiutata dalle moderne democrazie, presente alla Comune di Parigi del 1871 (non proprio un modello di democrazia), è escluso dalla nostra Costituzione (art. 67): per fortuna, richiede una modifica costituzionale, e quindi è di difficile realizzazione.

Esotismo. Questo è un segno di carattere storico. Dopo la seconda guerra mondiale, i giovani  occidentali hanno cominciato a annoiarsi. I loro padri avevano vissuto tempi feroci e eccitanti, ciò che gli conferiva una forte identità. Loro invece andavano incontrando il benessere, che eccitante non è. Negli anni 50/60 è esploso il movimento New Age e la diaspora verso un Oriente creativo, innocente, mistico, incontaminato: verso culture a vocazione ierocratica assai più che democratica. Poi il grande happening del 1968, l’epopea di Woodstock.

Divieti e censure. “Democratico” e “libero” sono due aggettivi che vanno sempre insieme. Libero è un paese nel quale tutto è permesso tranne ciò che è espressamente proibito. Al suo opposto stanno i paesi dove tutto è proibito tranne ciò che è espressamente permesso.  Nella nostra super-regolamentazione, vedo segni incipienti di una deriva verso la seconda  opzione. L’Autorità abolisce le slot machines nelle tabaccherie, e in questo modo mi proibisce di buttare via i miei soldi. Idea nobile, però, se voglio buttare via i miei soldi, dovrebbe essere affar mio . Quanto alle censure, sono ben messi anche all’estero: nelle università inglesi e americane, in nome del “politicamente corretto” sono stati censurati Shakespeare, Eschilo, Kipling e persino l’eroe nazionale Winston Churchill (per le sue corrispondenze giornalistiche dalla guerra anglo-boera). E si abbattono i monumenti di Cristoforo Colombo.

Il continuo richiamo alla trasparenza è tipico dei regimi totalitari. La trasparenza, si dovrebbe legittimamente chiederla alle pubbliche  istituzioni, che gestiscono il denaro di tutti, e da noi invece,  con un gioco dei bussolotti, si vuole imporla al privato comportamento dei cittadini.

La funzione stessa del parlamento è stata messa in discussione, quando si sa che nei tempi moderni, democrazia e parlamento sono sempre stati inscindibili, Nell’ipotesi che il Parlamento svanisca,  c’è da chiedersi che cosa lo sostituirà, visto che la “democrazia dei clic” (della quale abbiamo fatto menzione più sopra) messa alla prova è già sfiorita sotto i nostri occhi. Chi gestirebbe il sistema? I padroni del big data? I detentori della forza? Super-guitti carismatici? Un mix di tutto questo?  Una nuova specie di sacerdoti?”. Il mio candidato è una società di consulenza gestita da un super-hacker che in un super-cloud abbia raccolto tutto, ma proprio tutto. Alternativa estrema  il  governo dei filosofi, già sponsorizzato autorevolmente, di difficile realizzazione, e ricco di incognite.

Ma non è tutto. L’uomo è il più disarmato degli animali. Non è in grado di  affrontare le variazioni di temperatura, se non proteggendosi con manufatti, e produce dei cuccioli  che per anni, sono inadatti a sopravvivere autonomamente. La storia dell’umanità è la storia della guerra dell’uomo con un ambiente ostile oggi chiamato “natura”, guerra mortale dalla quale hanno preso origine le credenze religiose (un modo per cercarsi degli alleati). Oggi, per la prima volta, sono comparsi uomini che in quella guerra, fanno il tifo per la natura. Si scusano di esistere. Non un buon viatico per la sopravvivenza. Homo sapiens è sopravissuto perché è stato capace di crearsi un ambiente suo, un bozzolo che “non ha porte né finestre”. Con la democrazia  si era dato un efficace sistema di convivenza che era diventato “il pensiero dominante”. Oggi non lo è più. In tempi normali mi fermerei qui, ma questi non sono tempi normali. Infatti……

….Infatti è arrivato Covid-19.  Svanirà il virus prima o poi , ma ha già avvelenato i pozzi. Svanirà lasciandosi dietro un paesaggio di macerie economiche e sociali. Se e quali conseguenze la crisi economica possa avere per la salute dei sistemi democratici, soprattutto là dove sono poco radicati, è domanda che passo volentieri ad altri.  In Italia una ricostruzione ed un secondo “miracolo economico” non sembrano alla portata dell’ultima, viziatissima generazione.

Col che sono arrivato alla conclusione, alla domanda in incipit ed alla mia risposta. Se il quadro che ho dipinto è realistico, servono idee, idee, idee.  E non è detto che bastino. E alla costante evocazione dell’antifascismo “75 anni dopo” spetta la funzione del lenzuolo che ricopre un cadavere: la mancanza di idee.