Se Dante è “poeta, per eccellenza, della Prospettiva”, l’addolcimento dell’anima come risposta al male ci riporta storicamente alla “terrestre aiuola che ci fa tanto feroci”, riscoprendo d’altro canto il termine medio della “facoltà del giudicare”, mercè una ricchezza parlante e concreta di riferimenti e accezioni.
In particolare nell’ Inferno, spesseggia il Leit-motiv della “dolcezza” come rimpianto della vita terrena, del suo mondo e dei suoi affetti; nell’Inferno e nel Purgatorio, come mito della “protezione paterna”,figura di Virgilio maestro e guida;; nel Purgatorio, ancora, per efficacia di dolcezza paesistica, dolcezza musicale, o dolcezza spirituale; nel Paradiso, infine, come segno di armonia spirituale, di tipo superiore.
Anzitutto: nel canto di Farinata, detto del raggio di vita solare: “Di subito drizzato gridò: Come dicesti ? Elli ebbe ? Non viv’elli ancora ?/ Non fiere gli occhi suoi il dolce lome ?“ ( Inf. X, 66-68).
Trepidamente seguitando nello stesso Canto: “E, se tu mai nel dolce mondo, regge, / dimmi: perché quel popolo è sì empio / incontr’ a’ miei in ciascuna sua legge ?” ( Inf. X, 82-84 ).
E ancora, ivi: “ Quando sarai dinanzi al dolce raggio / di quella il cui bell’occhio tutto vede, / da lei saprai di tua vita il viaggio” ( Inf. X, 130-132 ).
Detto del caro maestro Virgilio: “Così sen va, e quivi m’abbandona / lo dolce padre, ed io rimango in forse, / chè no e sì nel campo mi tenzona” ( Inf. VIII, 109-111 ).
E in Purg. IV, 43-45: “ Io era lasso, quando cominciai: ‘/ O dolce padre, volgiti, e rimira/ com’io rimango sol, se non ristai”.
Purg. X, 46-48: “ Non tener pur ad un loco la mente/ Disse ‘l dolce maestro, che m’avea / da quella parte onde il cuore ha la gente”.
Purg. XXIII, 52-54: “ Lo dolce padre mio, per confortarmi, / pur di Beatrice ragionando andava, / dicendo: Gli occhi suoi già veder parmi”.
Purg. XXX, 50:” Virgilio, dolcissimo padre”.
E anche Purg. XXIII, 97-102: “O dolce frate, che vuoi tu ch’io dica ?/ Tempo futuro n’è già nel cospetto, / cui non sarà quest’ora molto antica, / Nel qual sarà in pergamo interdetto / alle sfacciate donne fiorentine / l’andar mostrando con le poppe il petto” ( il riferimento è qui a Forese Donati ).
Specialmente per Beatrice, salendo all’ottavo cielo di Par. XXII, 100-102: “La dolce donna dietro a lor mi pinse / con un sol cenno su per quella scala, / sì sua virtù la mia natura vinse”.
Nel Purgatorio la dolcezza puramente estetica della percezione paesistica risplende più e più volte, dal “Dolce colore d’oriental zaffiro” di I, 13 all’esordio pittorico di IX, 1-3: “La concubine di Titone antico / già s’imbiancava al balco d’oriente, / fuor delle braccia del suo dolce amico” e al Pater Noster di XI, 1-6: “O Padre nostro, che ne’ cieli stai, / non circunscritto, ma per più amore, / ch’ai primi effetti di là su tu hai, / Laudato sia ‘l tuo nome e ‘l tuo valore / da ogni creatura, com’è degno / di render grazie al tuo dolce vapore”.
C’è poi la dialettica del martirio come dolce sofferenza, o “dolce assenzio”, nello stesso canto di Forese, XXIII, 85-87: Ond’elli a me: ‘Sì tosto m’ha condutto / a ber lo dolce assenzio de’ martiri / la Nella mia con suo pianger dirutto’.
A stupendo incrocio della dolcezza paesistica con quella affettiva, vissuta l’una come veicolo per l’altra, rimane impressa per sempre la terzina di VIII, 1-3: “Era già l’ora che volge il disìo / ai navicanti e intenerisce il core, / lo dì c’han detto ai dolci amici addio”, con quel che segue !
E in Purg. VIII, 13-18 risuona la dolcezza dell’inno che durò lungamente nella poesia di Giorgio Bassani, l’innamorato di Dante poeta sovra ogni altra cosa. Infatti: ‘ Te lucis ante’ sì devotamente / Le uscìo di bocca, e con sì dolci note, / che fece me a me uscir di mente; / e l’altre poi dolcemente e devote / seguitar lei per tutto l’inno intero, / avendo gli occhi alle superne rote.
Ancora, la dolcezza della poesia, della lingua e della espressione musicale si fondono mirabilmente nel canto di Sordello, il VI, 79-84, del Purgatorio: ” Quell’anima gentil fu così presta, / sol per lo dolce suon della sua terra, / di fare al cittadin suo quivi festa; /Ed ora in te non stanno senza guerra / li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode / di quei ch’un muro ed una fossa serra” ( detto di Firenze e dei suoi contrasti intestini ).
Ma è nel canto di Casella, Purg. II, 112-114, che si esalta la dolcezza poetica della musica, veicolo qui per il sentimento dell’amicizia: “ Amor che nella mente mi ragiona / cominciò ella allor sì dolcemente, / che la dolcezza ancor dentro mi suona”.
Ancora e ancora nel Purgatorio, cantica della speranza e dei toni medi ( diceva il Momigliano ), al canto XXVI, 112-114: E io a lui: ‘Li dolci detti vostri, / che, quanto durerà l’uso moderno, / faranno cari ancora i loro incostri’.
E XXVII, 115-118: “ Quel dolce pome che per tanti rami / cercando va la cura de’ mortali, / oggi porrà in pace le tue fami”.
XXIX, 22 -24: E una melodia dolce correva / per l’aere luminoso, onde buon zelo / mi fe’ riprender l’ardimento d’Eva”.
Quivi, 36: “E il dolce suon per canti era già inteso”.
Alla fine, nel Paradiso, la dolcezza musicale, poetica e paesistica che nella Cantica dei “toni medi” si esalta palesandosi nella sua funzione “modale” di “addolcimento”, s’espande come gioia piena, appagamento dell’anima, variamente cantando l’intensità dell’ultima dolcezza.
Così, nel canto XX, 73-75, i cari versi che sempre il ‘nostro’ Bassani recitava con l’accento roco e profondo della sua voce: “Quale allodetta che in aere si spazia / Prima cantando, e poi tace, contenta / dell’ultima dolcezza che la sazia”.
E per le anime di XXIII, 127-129: “Indi rimaser lì nel mio cospetto / ‘Regina celi’ cantando sì dolce, / che mai da me non si partì il diletto”.
Finalmente, in Par. XXIX, 139-141: “Onde, però che all’atto che concepe / segue l’affetto, d’amar la dolcezza / diversamente in essa ferve e tepe”.
Dolcezza della terra, del sole, del mondo, nel loro rimpianto. Dolcezza della guida e della protezione paterna. Dolcezza della musica, del paesaggio, della lingua e della poesia. Dolcezza, anzi meglio “addolcimento”, nella fusione di siffatte percezioni; “sintesi a priori estetica”, in virtù del sentimento, altrettanto infinitamente dolce, dell’amicizia terrena e oltremondana. Dolcezza come appagamento e armonia spirituale piena, nell’”ultima ascesa”.
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