Avevo deciso di scrivere un articolo su uno degli italici vizi che maggiormente detesto: la demagogia. A cominciare da quella tipica autofustigativa in tema di razzismo, del politically-correct all’italiana, oggi quanto mai di moda, ove ogni riferimento al bianco è offensivo e rivelatore di razzismo latente. Qualche inetto ha anche pensato di togliere la dicitura “crema sbiancante” dalla confezione di un prodotto di bellezza, perché probabilmente ha inteso che valorizzare uno sbiancamento significhi sostenere automaticamente la bruttezza del suo contrario, ovvero quella di una pelle scura… Allora, sorridendo, mi viene da pensare che anche le paste dentifricie sbiancanti siano razziste, nei confronti delle popolazioni asiatiche, cinesi o giapponesi, visto che ci si sbianca la dentatura perché i denti gialli fanno schifo a tutti… Siamo un popolo straordinario nel non conoscere l’etimologia e la storia delle parole della nostra lingua. Oggi una “g” è sinonimo di razzismo. Nero è bello, negro è razzista. Nella lingua italiana negro è però sinonimo di nero, ed è un vocabolo usato nella nostra storia letteraria. E’ stato utilizzato senza fini turpi, tutt’altro, dai grandi del nostro passato, dall’Ariosto, dal Petrarca, fino al più recente, grande poeta Giosuè Carducci; forse nel “Pianto Antico” il riferimento alla “terra negra” ha reconditi significati razzisti? Forse il “pargoletto”, secondo il Poeta avrebbe potuto riposare meglio in una terra bianca? Invero abbiamo solo importato una storpiatura del termine, utilizzata a fini dispregiativi negli Stati Uniti, a cavallo della seconda guerra mondiale: “nigger”. Brutto termine inglese, che ha contagiato una parola italiana, ora con una “g” di troppo, che non era nata con quello scopo turpe. Eh, sì la demagogia. Quella intellettuale, ma anche quella popolare, popolana, che enfatizza oggi, in tempi di coronavirus, l’atteggiamento stoico degli italiani, intenti a battere i coperchi delle pentole dai balconi, a cantare “L’Italiano” di Cutugno dalle finestre inframezzato dall’Inno nazionale per dimostrare la propria forza interiore nel sopportare la carcerazione domiciliare, la privazione delle basilari libertà individuali e collettive riassunte nell’oramai celeberrimo termine “lockdown”. Anche qualcuno appartenente alla schiera purtroppo ancora rimarchevolmente significativa di coloro che contribuiscono al tasso di analfabetismo italico, parla abitualmente di come sia stato duro il “locchedau”, ora che può finalmente uscire di casa. A questo punto mi rendo però conto di essere finito in un vicolo cieco. La mancanza di libertà patita durante i citati arresti domiciliari ha deviato il mio ardore giornalistico. Ho capito che volevo scrivere di altro, quando mi sono posto il quesito: ma noi viviamo ancora in un paese libero?  Ebbene, non lo so.  Ma, pensandoci…sì, formalmente sì. Siamo una Repubblica, andiamo a votare, possiamo anche permetterci di sbraitare per strada contro il capo del governo. Ma questa è libertà vera oppure è quello che ci lasciano fare per farcelo credere? Ho invero ravvisato segnali inquietanti in quest’ultimo periodo, che uniti ad alcuni miei pensieri da mestierante del diritto con qualche conoscenza di economia, mi hanno fatto un po’ preoccupare. La storia ci insegna che il popolo si può “controllare” con la violenza, con il terrore, anche con le credenze religiose, vedi nel medioevo con l’inquisizione ed oggi con l’integralismo di una parte dell’Islam. Ma il popolo puoi controllarlo anche in una maniera più subdola: con il debito. Noi siamo una nazione di indebitati. Con le banche, col fisco soprattutto. Sessanta milioni di italiani devono spartirsi l’indebitamento nazionale, e cinquanta milioni di soggetti giuridici (persone e società) sono indebitate con l’erario. Il debitore è spesso debole, con un basso grado di autostima, e perde mano a mano la propria forza di volontà. Testa bassa, sguardo a mezz’asta. Facile da controllare, facile da comandare. Tanto è vero che oggi la principale piaga italiana viene ravvisata nell’evasione fiscale. Non le mafie, non la corruzione, ma l’evasione fiscale. La lotta dura è quella contro l’artigiano che aggiusta un rubinetto in nero (accidenti… ho usato il termine nero in modo dispregiativo… sono razzista…) più che contro un capomafia, portato dal carcere ai domiciliari durante il periodo covid.  Le eccelse menti che ci governano, forse dovrebbero pensare che sia invece auspicabile in primis una riforma fiscale, che abbia come risultato finale quello di abbassare fisiologicamente l’evasione. Ed in che modo? Con l’individuazione di un fisco giusto, ragionevole, sopportabile. Poche regole, ma chiare e certe. Non migliaia di provvedimenti che causano solo confusione e naturalmente salate sanzioni. Bisogna far ripartire l’Italia, azzerare il più possibile il debito per permettere a chi produce di far da traino alla nostra economia moribonda. Sgravare il paese dal giogo debitorio per renderlo più attivo e provare a far rifiorire una economia che va spegnendosi. Che stanno spegnendo. Ma è poi quello che veramente vogliono oltre ai vari proclami? Forse è meglio governare sulle rovine, sulle macerie di un paese distrutto che rischiare di stare all’opposizione in un paese economicamente più saldo e quindi più libero. Eh, sì. Economia florida significa libertà. E non sono solo io, nella mia miseria intellettuale. che lo sostengo. Luigi Einaudi da economista, prima che da Presidente, diceva: “la libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica”. Il Presidente degli Stati Uniti d’America Franklin Roosevelt si spingeva ancora oltre con le proprie affermazioni: “La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature”. Cavoli, ma allora ci stiamo avvicinando ad una dittatura che si nasconde dietro falso nome? No, forse no. Non ancora. Ma che siamo un popolo sotto controllo non vi sono dubbi. Viviamo sotto la spada della tracciabilità. Non tracciabile brutto, tracciabile bello e giusto. Allora è giusto che con un tasto si possa sapere quanto abbiamo in banca, che con un altro tasto si possa pignorare un conto corrente senza passare dal vaglio del Magistrato (ma questo può farlo solo il creditore Stato), che si sappia se con la carta di credito si siano comprati due pacchetti di pasta piuttosto che uno di preservativi. Oppure se si sia transitato sulla A4 piuttosto che sulla A26. La nostra è una privacy unidirezionale. Orwell un po’ ci aveva preso.

Il problema è che si prosegue sulla stessa strada. Imperterriti. Il cosiddetto “piano Colao”, senza il quale l’economia italica non potrebbe sopravvivere (ma poi, se sono in grado di governare, come così dovrebbe essere, perché nominare una task force esterna che mi aiuti a farlo?) prevede tra i punti salienti, indovinate cosa? La lotta all’evasione. E grazie a quale prodigio? La tracciabilità. Per l’appunto. Quindi guerra al contante, che sarà pur vero che garantisce ancora un minimo la sopravvivenza agli esercizi commerciali, che garantisce ancora un debole sviluppo economico dovuto alla facilità delle transazioni, ma che rappresenta lo strumento naturale per fare nero. O meglio potrebbe. Perché con il contante si paga anche tanto bianco (in ottica autofustigativa antirazzista io però proporrei di invertire i concetti. Col termine nero pagamento giusto, tracciato, legale e legittimo, bianco quello nascosto ed illegittimo). Il termine “potrebbe” è però quello che mi terrorizza. Significa che stiamo arrivando piano piano al processo alle intenzioni, che rappresenta la morte della democrazia. Il contante “potrebbe” agevolare i pagamenti non tracciabili. Potrebbe. E quindi io Stato non lo permetto più. Lo elimino. Ma quando si puniscono le intenzioni, non si percorre una strada lastricata di libertà. La libertà è anche quella di poter gestire come voglio i miei soldi, dopo averci pagato le tasse (magari un po’ più eque); stiamo invece vivendo una “virtualizzazione” del denaro che da contante diventa per l’appunto virtuale e quindi controllabile, bloccabile, sequestrabile più facilmente. Impossibile da nascondere anche ai fini legali di resistere ad un’illecita patrimoniale. Sì. Perché una patrimoniale è un furto e non una tassa. E la virtualizzazione del denaro ne facilita l’attuazione. Alla faccia della libertà. Tuttavia, altri accadimenti mi hanno preoccupato. L’ingerenza di un Potere dello Stato nei confronti di un altro è un attentato interno alla Costituzione. Io ho la massima considerazione dei Magistrati, con i quali mi confronto nelle aule dei Tribunali tutti i giorni, e tra le fila dei quali ho incontrato persone preparate, intellettualmente oneste e degne di tutta la mia stima. Ma quanto è trapelato in questi giorni circa la volontà di qualcuno di interferire illegittimamente nella vita politica mi terrorizza. Mi auguro veramente si tratti di casi isolati o di “fake news”. Sarebbe davvero troppo grave. Termino questa lunga esposizione con una ultima chiosa sul coronavirus. Un virus di natura influenzale, seppur contagiosissimo e mediamente pericoloso (non è l’ebola per fortuna), ha dimostrato come sia semplice chiudere in casa, con controlli fino esagerati, coi droni – manco una moderna gestapo – un intero popolo. A cantare sui balconi, nel più severo lockdown della storia europea postbellica. Nessuno duro e severo come da noi. A parte la Cina… Viene da chiedersi. E se si manipolasse in futuro l’informazione? Con un fake virus? Quanto sarebbe facile privarci dei nostri diritti civili? Questo sì che mi spaventa veramente. Ma forse è solo fantapolitica di un autore irriverente e politically “poco” correct… che si permette l’arroganza di trattare tra il serio ed il faceto temi delicati come il razzismo o la libertà, e che per questo si scusa se con il proprio scritto può aver urtato la sensibilità di qualcuno. Sono solo fantasie o poco più. O così almeno si spera. Ma alla fine, in un sussulto tutto nostrano, mi viene da pensare: ma a noi, che ci importa della libertà? E dello sviluppo economico? Basta un abbonamento alla pay tv per il calcio, un reddito di cittadinanza da unire al lavoro nero, un Presidente del Consiglio che affascini le massaie: “Ma che bell’uomo!”. E magari fra sei mesi una covid tax o una patrimoniale targata Colao 2. In fin dei conti rappresentiamo bene quello che il politico scozzese del secolo scorso, premio Nobel, Lord Boyd Orr voleva evidenziare con la sua affermazione: “se la gente deve scegliere tra la libertà ed i panini, sceglierà i panini”. E noi teniamoci i panini. Da mangiare sul balcone battendo sulle pentole, durante il prossimo “locchedau”.