La Speranza (dal latino: Spes), personificazione nella mitologia romana della Speranza, ha il suo equivalente in greco di Elpis.
Tradizionalmente definita come “ultima dea” (Spes Ultima Dea, la speranza è l’ultima a morire), perchè, come narrato nel mito del Vaso di Pandora, essa è l’ultima risorsa per l’uomo.
Quando tutti i mali contenuti nella giara all’apertura si erano dispersi nel mondo rimase, per volontà di Zeus, solo Elpis come riparo consolatore per l’umanità.
Nella Roma repubblicana la Speranza fu concepita come una dea alla quale era dedicato un tempio nel Foro Olitorio, eretto durante la prima guerra punica dal console Aulo Attilio Calatino, e un altro sul Vicus Longus sull’Esquilino.
Nella Roma imperiale il culto della dea assunse un valore politico rappresentando simbolicamente la fiduciosa attesa di una felice successione imperiale.
Con Antonino Pio la Spes assunse un valore religioso nella riproduzione della defunta moglie Faustina in una serie di monete che la raffiguravano come la diva Spes: una giovane donna che cammina, sollevando l’orlo della veste con un bocciolo di fiore nella mano destra.
L’imperatore voleva simboleggiare che l’azione benefica di Faustina continuava anche dall’ Aldilà per coloro che speravano in lei.
Con gli imperatori cristiani la Spes, non venne più rappresentata secondo l’iconografia pagana, acquisendo, come virtù teologale, un valore religioso ultraterreno.
Allora la Speranza sarebbe una aspirazione, spesso illusoria, a un vago avvenire di bene o di felicità (“O speranze, speranze, ameni inganni della mia prima età!”, scrive Leopardi), o Speranza nella morte (“ad un certo punto della vita non è la speranza l’ultima a morire, ma il morire è l’ultima speranza”, come vuole Sciascia).
Pablo Neruda si chiedeva se soffre più chi spera sempre o chi non sperò mai in nulla.
La Speranza implica, a mio avviso, la nostra capacità di riunire tutte le forze e di concentrarle per riuscire a raggiungere un obiettivo.
Non dimentichiamo che la parola speranza deriva dalla radice sanscrita spa-, che significa “tendere verso una meta”. Ed è proprio questo il fine del nostro sperare: protenderci verso qualcosa che ci aiuta ad andare avanti.
La Speranza ha a che fare con emozioni positive, è un sentimento che ci rende potenti, invincibili.
La Speranza deve accompagnarci nel nostro viaggio della vita ed esserne il motore.
Ma se da piccoli e da giovani siamo “pieni di belle speranze”, con il trascorrere degli anni, abbiamo la sensazione che il nostro bagaglio si vada esaurendo.
La Speranza, allora, va rinnovata e reinventata, perchè ha a che fare con la Felicità. Custodire in sé la Speranza di Felicità è già un pò Felicità.
L’ ipotalamo, ci dice la scienza, è il depositario del nostro “circuito della ricerca”, che suscita le sensazioni di piacere e felicità, e che si attiva, appunto, durante il processo di ricerca, e non con il raggiungimento dell’obiettivo.
Dunque, anche secondo la scienza, la Speranza non come ultimo rifugio consolatorio per un animo inquieto, non come abbandonico desiderio dalle realizzazioni incerte.
Io credo che la Speranza possa recare in sé e con sé la Forza, la determinazione per poter ricominciare.
Altrove, magari. Lontano da quei luoghi che cercano di soffocarla.
Lontano da quelle persone che provano ad ucciderla.
Lontano dalle proprie paure.
La Speranza è la Forza di vincere quelle paure.
Per poter ricominciare.