Non è stato un momento positivo quello vissuto nei giorni scorsi da quanti hanno conosciuto e stimato il Procuratore della repubblica Bruno Caccia, barbaramente ucciso da sicari, ingaggiati dalla Mafia, nelle sue diverse configurazioni.

Chi ancora crede nella giustizia, dopo tanti anni d’attesa, si aspettava una sentenza maggiormente articolata ed inclusiva. Invece, la montagna ha partorito il topolino. Così la ulteriore e amara delusione dei famigliari  più stretti del Procuratore.

“Quanto è stato accertato fin qui dai processi è solo una mezza verità”. Guido, Paola e Cristina Caccia, figli del procuratore di Torino Bruno Caccia ucciso dalla ‘ndrangheta, commentano così la conferma in Cassazione dell’ergastolo a Rocco Schirripa, accusato di aver fatto parte del gruppo di fuoco che la sera del 26 giugno 1983 uccise il magistrato. “Mancano ancora – dicono i famigliari – i nomi degli altri esecutori e non è stata fatta piena luce su movente e mandante”.

La sentenza della Cassazione, proseguono, è “un altro passo sulla strada della verità”. Ma ora “è venuto il momento di fare definitivamente chiarezza su tutte le responsabilità coinvolte nell’omicidio”.

La  partita non è chiusa, perché, sull’omicidio Caccia pendono ancora, a Milano, due procedimenti. “Auspichiamo che collaborino a questo sforzo tutte le forze in campo – aggiungono i figli di Bruno Caccia – e l’intera società civile, da cui forse potrebbe giungere un aiuto decisivo nella ricostruzione dei fatti”.

Gli italiani onesti che ancora credono nello Stato, rimangono in attesa