Era il 1980 quando Bompiani pubblicava il primo romanzo di Umberto Eco: sono trascorsi quarant’anni dalla pubblicazione de “Il nome della rosa”, uno dei libri più celebri del secolo, ma il suo fascino non è sfiorito col tempo. In attesa dell’edizione illustrata del capolavoro di Eco annunciata da La Nave di Teseo, rileggiamo insieme il suo indimenticabile romanzo in cui si intrecciano omicidi, Medioevo e filosofia.

“Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus”: è con questa frase enigmatica che si chiude quello che Le Monde ha inserito nella sua lista dei “100 libri del secolo”, prima anche del Diario di Anna Frank, 1984 o l’Ulisse di Joyce. “Il nome della rosa” è stato il primo romanzo scritto da Umberto Eco: ne scriverà altri sei, ma questo è senza dubbio il più celebre, grazie anche agli adattamenti cinematografici e televisivi che ne sono stati fatti. Il libro, vincitore del Premio Strega, veniva pubblicato da Bompiani nel 1980, esattamente quarant’anni fa. Ma il suo fascino non è sfiorito col tempo.

“Il nome della rosa”, un giallo sulle orme di Conan Doyle.
Tradotto in più di quaranta lingue con oltre cinquanta milioni di copie vendute in trent’anni, “Il nome della rosa” è stato un vero e proprio fenomeno letterario: fama dovuta non soltanto all’accattivante architettura narrativa, costruita sul modello del giallo deduttivo, ma anche al modo in cui, pur essendo un libro estremamente complesso ed erudito, riesce a catturare l’attenzione del lettore fin dalla prima pagina e a mantenerla anche nei passaggi più ostici e complessi.

Riassumerne la trama risulterebbe relativamente semplice, con l’aiuto anche della necessità di non fare spoiler a quanti non hanno ancora avuto il piacere di leggerlo: alla fine del 1327 Adso da Melk è ormai un monaco anziano, e decide di lasciare una memoria delle avventure vissute quando era appena un novizio sotto l’ala protettrice del francescano Guglielmo da Baskerville. Mentre si trovava con il suo mentore in un monastero dell’Italia settentrionale serie di monaci, uno dopo l’altro, vengono trovati morti in circostanze singolari e misteriose. Il compito di Guglielmo, aiutato da Adso, sarà quello di scoprire la mano omicida dietro gli assassinii.

Un giallo sulla scia della migliore letteratura del genere oltre che un omaggio, esplicitato nel cognome del monaco-detective, a sir Arthur Conan Doyle e al suo Sherlock Holmes. Ma “Il nome della rosa” è molto più di questo: una fitta opera in cui filosofia, storia e letteratura s’incastrano in modo perfetto.

Un labirinto di storia, filosofia e letteratura

Umberto Eco sceglie di ambientare quello che nella trama è a tutti gli effetti un giallo nel Trecento, in quel Medioevo di cui il semiologo era un finissimo conoscitore. Tale scelta, motivata stilisticamente con l’espediente del manoscritto ritrovato, che introduce il racconto dei fatti e crea a sua volta molteplici piani interpretativi, permette a Eco di costruire un’opera complessa in cui storia e filosofia s’intrecciano mirabilmente con la finzione: il risultato è un testo per nulla semplice da leggere, se si entra nel merito delle erudite e numerosissime citazioni letterarie, filosofiche e storiografiche contenute nel romanzo.

Pur svolgendosi in un non meglio identificato monastero del nord Italia, distante dall’epoca storica poiché esistito solo nella finzione letteraria del romanzo, la trama s’intreccia con le dispute politiche fra papato e impero della cosiddetta “cattività avignonese” e con quelle teologiche fra francescani e Curia romana sul tema della povertà apostolica. A partire da questo complesso sfondo storico-teologico, Eco ricostruisce perfettamente i primordi del passaggio da Medioevo a età moderna, incarnato proprio dal personaggio di Guglielmo da Baskerville, non tralasciando di citare le torbide vicende dell’Inquisizione e delle eresie dolciniane, insieme a complessi passaggi aristotelici e di filosofia del linguaggio.

“Il nome della rosa” è stato definito, per questo suo carattere denso di dettagli, “un libro fatto di altri libri”: bellissima la scena d’amore fra Adso e la contadina, che Eco ricostruisce seguendo la letteratura mistica e citando, più o meno esplicitamente, il Cantico dei Cantici; tantissime, le citazioni tratte dalla Divina Commedia e dalla letteratura volgare italiana come i Placiti cassinesi, per non parlare degli ovvi e necessari passaggi biblici ricostruiti alla perfezione. Un capolavoro enciclopedico, fitto e complesso come un labirinto, che nell’idea di Eco doveva assolvere una sola e semplice funzione: quella spiegata dallo stesso Guglielmo, quando afferma che “un romanzo non è nient’altro che una macchina per generare interpretazioni”.

“Il nome della rosa”, una nuova edizione illustrata
L’impatto culturale del romanzo di Eco è stato enorme, grazie anche all’altrettanto celebre adattamento cinematografico con Sean Connery e Christian Slater del 1986. A questo sono seguite, negli anni, una trasposizione radiofonica, una teatrale, e anche un videogame. Nel marzo 2019 è arrivata anche un’attesissima miniserie televisiva con John Turturro e Rupert Everett, che ha riportato la storia di Guglielmo da Baskerville e Adso all’attenzione del grande pubblico.

E non è finita qui: proprio quando “Il nome della rosa” si appresta a compiere 40 anni, la casa editrice La Nave di Teseo, che sta ripubblicando tutte le opere di Eco editi in precedenza da Bompiani, ha annunciato l’imminente uscita di una nuova versione illustrata del romanzo. Non si tratterà di illustrazioni qualunque, bensì dei numerosissimi schizzi di personaggi e ambienti che Umberto Eco in persona realizzò nei lunghi anni di stesura del libro. da Fanpage.it del 20 febbraio