Cari futuristi, ne ho le tasche piene del “grillismo parlante!”

E qui Grillo e i grillini non c’entrano nulla.

Sono anni che un intero Paese interviene su tutto, spesso a sproposito. Più volte ho scritto che siamo in una fase simile a quella dei primi del novecento, quando divenne facile stampare con l’invenzione dalla linotype. Divenne facile per chi lo sapeva fare, scrivere, tanto che nacquero migliaia di giornaletti, il più delle volte politici. Al nuovo mezzo si accompagnò la scolarizzazione che permise a chi ne aveva voglia di leggere di tutto.

Avrebbe dovuto essere una svolta democratica e invece tanta confusione delle idee e soprattutto l’approssimazione e la demagogia portarono alla dittatura.

Viviamo, a mio parere una fase simile a quella.

Dall’inizio del nuovo secolo, la diffusione informatica e del mezzo televisivo accompagnati da un innalzamento vertiginoso della scolarizzazione per cui, gli ignoranti, sono coloro che hanno la scuola dell’obbligo e quindi, anche se il livello dei diplomi e delle lauree lascia alquanto a desiderare, i mezzi di partecipazione, anche attiva, sono aumentati a dismisura. Come allora, il livello del dibattito però è alquanto scadente. Da un popolo di direttori tecnici della Nazionale, siamo diventati un popolo di tuttologhi, tutti scriviamo di tutto, dissertiamo su tutto: siamo soprattutto degli indefessi moralizzatori…degli altri.

Non parliamo poi dei mezzi di comunicazione di massa, in particolare del mezzo televisivo, il quale ha scoperto la politica, così come ha scoperto la cucina per fare audience e quindi campare con gli inserti pubblicitari (cosa del tutto legittima), se non che, come il livello delle gare tra ristoratori è svolto a livello delle scartine, lo stesso dicasi dei dibattiti politici. Pensate agli ospiti più o meno fissi nella galassia dei programmi di dibattito politico: sappiamo quelle che diranno, su tutto, ancora prima che aprano bocca. Mi chiedo come non provino disagio di stare in tale compagnia anche alcuni che crediamo intelligenti e preparati.

Persino al tempo del Corona virus questi quaquaraquà, continuano ad essere invitati in quello che pomposamente i conduttori rivendicano come servizio pubblico, opinioni frammiste ad un mare di notizie e immagini, spesso contraddittorie o di repertorio: camionate di bare e consigli per gli acquisti.

Constato, ma non mi scandalizzo: si deve pur campare, naturalmente finché soprattutto noi anziani potremo: felici di non morire: “per” ma “con”, il corona virus!

In questi giorni mi asterrò dallo scrivere di politica, tantomeno improvvisarmi epidemiologo.

Agli amici olivettiani regalo un piccolo estratto dal mio libro: “La fabbrica di mattoni rossi”. Una cosa leggera, familiare, che inquadra il personaggio. Buona lettura.

Camillo Olivetti: Un nuovo secolo: tra fabbrica, famiglia e partito(estratto)

Luisa Revel

Quel giorno Camillo pedalava a grandi falcate sul suo velocipede americano. Era partito il pomeriggio dalla fabbrica di mattoni rossi; dovendo raggiungere la piazza del municipio, passò davanti alla stazione ferroviaria per poi imboccare corso Costantino Nigra che l’avrebbe portato sul ponte nuovo che attraversa la Dora Baltea, il fiume di Ivrea. Per l’epoca, Camillo poteva essere considerato uno sportivo, anche se nulla della sua figura evocava una simile inclinazione. Era tarchiato, anche se per l’epoca poteva forse non essere considerato di bassa statura, di sicuro non era un fusto. La voce, piuttosto querula, era portata su toni alti, soprattutto quando si accalorava. Su tutto spiccavano gli occhi azzurri e la dignità del portamento. Amava la montagna, ove si dedicava a lunghe lunghe passeggiate. La bicicletta però era la sua vera passione, un mezzo moderno con una meccanica di precisione che gli consentiva non solo di effettuare rapidi spostamenti, ma anche di tenere in esercizio il suo fisico che tendeva alla pinguedine. Tutta Ivrea, da tempo, quando parlava di lui, associava quella bicicletta alle tante stravaganze di quel giovane ebreo benestante, che professava idee socialiste e si era pure messo in testa di fare l’industriale, scegliendo tra l’altro un settore, quello elettrico, così modernamente impalpabile da suscitare meraviglia nei buoni, ma conservatori, borghesi eporediesi. Tornando al Camillo pedalante, egli rivide da lontano quella signorina che giorni prima l’aveva tanto impressionato. Era stato da una signora di Ivrea per cercare una sua impiegata, a pensione da lei, a cui doveva chiedere un’informazione. Non trovò la dipendente, vide invece la nipote della signora, che sapeva figlia del pastore valdese di Ivrea. Gli fu presentata e, naturalmente, tutto finì lì: le signorine di Ivrea non erano quelle americane facili alla comunicativa con l’altro sesso. Qualcosa comunque scoccò tra i due. Il fenomeno ora è spiegato con freddezza scientifica, allora l’improvvisa attrazione era chiamata colpo di fulmine. Dovette essere reciproco, perché quando Camillo la rivide, quel pomeriggio, mentre camminava da sola per il corso, tirò i freni del biciclo, le si parò innanzi e scese dal mezzo come se smontasse da un bianco cavallo scalpitante. Piantò quegli occhi cerulei su quelli della ragazza che lo guardavano, forse con sorpresa, dicendole: «Buongiorno signorina, l’amo e la vorrei per amante, anzi vorrei sposarla.» Luisa, così si chiamava la ragazza, di fronte a tanta irruenza avrebbe potuto adombrarsi, oppure prendere la cosa con spirito. Incredibilmente rispose: «Sta bene.» La fonte di questi particolari non è storica ma teatrale. Si tratta della bellissima pièce dell’attrice Laura Curino. Me ne sono appropriato perché sono convinto che chi si avvicina ai personaggi con amorevole interesse, anche se inventa qualcosa, in definitiva non si discosta troppo dalla realtà; e a me piace credere che ciò sia effettivamente avvenuto, e in quei termini. Quel giorno ebbe inizio un sodalizio che durerà per l’intera esistenza. Il dì seguente, non in bicicletta ma in treno, Camillo chiamato dalle sirene rivoluzionarie partirà alla volta di Milano per partecipare a quella rivoluzione di cui abbiamo già parlato. Certo il matrimonio con Luisa Revel rappresentò per lui una svolta. Non fu un’unione di convenienza. Ci piace immaginare Camillo, in sella al velocipede, che vede Luisa e scocca la scintilla… Camillo, in tutta la sua vita, farà le scelte migliori guidato dall’istinto e da un certo impeto. Sappiamo che dal fatidico primo incontro al matrimonio passò meno di un anno, pur rispettando le tradizioni. Abbiamo rinvenuto questo biglietto autografo, indirizzato a Luisa:

Ivrea 28-2-99 Egregia Signorina, Ho parlato con mia mamma. Essa mi disse di voler attendere qualche giorno prima di darmi una risposta. Benché impaziente attenderò. Ho creduto mio dovere di informarla di ciò. Avrei mille altre cose da dirle… Mi creda Camillo Olivetti

Non crediamo che la madre abbia sollevato particolari difficoltà per dare il consenso alle nozze, né che, in caso contrario, Camillo si sarebbe fatto condizionare più di tanto. Nel ’99 ha 31 anni, è un uomo fatto, ha impiantato l’industria attingendo soprattutto al suo patrimonio personale. Questa volta non deve intervenire il cognato come per la misteriosa fanciulla londinese. La famiglia Revel è naturalmente ineccepibile sul piano morale: non sono ricchi, ma il pastore valdese di Ivrea riesce degnamente a condurre in porto il proprio ménage familiare con ben nove figli, senza considerare che altrettanti erano deceduti. È interessante valutare come, né per gli Olivetti né per i Revel, le diverse confessioni costituiscano un ostacolo. Sicuramente Camillo, quando chiese in sposa Luisa al padre Daniel, chiarì il suo pensiero sulla libertà di culto; mai condizionato in materia dalla madre, la cui famiglia vantava tradizioni liberali e di laicità. Assicurò probabilmente il pastore futuro suocero che non avrebbe condizionato la moglie, né tanto meno i figli, liberi, se da adulti lo avessero voluto, di fare autonome scelte religiose. Cosa che, per esempio, Adriano farà e non in direzione delle confessioni di ambedue i genitori. Immagino che il pastore Revel avrebbe preferito che la figlia scegliesse un correligionario. Ma come poteva dirle di no, dopo che gli portava in casa un uomo benestante e stimato, anche se anomalo sotto certi punti di vista? È socialista ma possidente, non ha esitato a impegnare i suoi averi in un’attività industriale per quei tempi misteriosa, non viaggia in landò come fanno i borghesi di Ivrea ma preferisce girare con un velocipede che ha comprato in America. Ritengo comunque che, se il pastore ricevette Camillo per la proposta di matrimonio, fu perché ne discusse con la figlia, sapendo benissimo chi era e da che famiglia proveniva. Ivrea è una cittadina di provincia e i benestanti come Camillo erano conosciuti da tutti.

L’incontro rispettò le tradizioni. Reputo comunque che, in questa vicenda, assoluti protagonisti furono i nubendi. D’altronde Luisa è sì docile di carattere, ma dimostrerà in tutta la sua esistenza di avere, all’occorrenza, una buona determinazione. Dal canto suo Camillo non professava all’epoca alcuna religione, né quella dei suoi avi, né altre, come farà invece sul finire della sua esistenza terrena. Non pensava però, come molti compagni socialisti dell’epoca, che le religioni fossero «l’oppio dei popoli». Ho ritrovato alcuni appunti autografi dove Camillo espresse il suo pensiero in materia religiosa. Purtroppo sono incompleti ma, credo, sufficientemente chiarificatori.

Il Battesimo È stato come la circoncisione una regola d’igiene. Lo praticava una delle tribù che vivevano vicino al Giordano, probabilmente in vicinanza del mar Morto dalle acque salate antisettiche per i sali in dissoluzione e forse anche perché fortemente radioattive, come sono ancora tuttora. È noto che presso i popoli non civili per cui l’igiene non è praticata, enorme è la mortalità dei bimbi nei primi giorni della loro vita. Alcuni abitanti di queste tribù hanno osservato che i bambini lavati con l’acqua del Giordano non morivano, ossia erano salvati onde il battesimo che salva […]. Le leggi igieniche erano nello stesso tempo delle norme religiose (lavarsi le mani prima e dopo i pasti, i digiuni, le macellazioni secondo regole oggi considerate ottime etc.) e tali norme presso quelle tribù sono norme religiose […].

Giovanni detto il Battista, figlio di Zaccaria. Costui uomo dal temperamento battagliero incurante dei pericoli a cui incorreva con la sua predicanza contro le ipocrisie e i delitti dei potenti, aveva un grande ascendente tra il popolo che lo considerava come un profeta […]. Il vangelo da la versione altamente drammatica del martirio di questo Santo […] Giovanni Battista intuì la superiorità di Gesù, tanto che essendo venuto Gesù a lui per farsi battezzare per essere considerato uno dei suoi seguaci si schermiva a farlo. Egli aveva intuito che il battesimo cui egli si era fatto banditore, altro non era che un rito […]. Quanto poi al concetto di Spirito santo è troppo alto e difficile perché se ne possa parlare adeguatamente, e tanto più che verrà usato a secondo il caso in cui è stato citato […]. Ora l’antico testamento racchiude la sapienza millenaria di uno dei popoli più intelligenti, il popolo ebreo. Cristo vi aggiunse esperienza di un altro popolo diverso ma estremamente intelligente quale ci fu tramandato da un figlio di tale popolo, Budda e dai suoi discepoli. Ora chi può realmente chiamarsi cristiano secondo i precetti dell’Antico Testamento, dei profeti e di quello che secondo me è il più grande dei profeti: Gesù Cristo. […]

Questi appunti di Camillo sono, forse, destinati a uno dei tanti articoli dei più svariati argomenti, che scriverà su vari giornali (compresi quelli che editerà in prima persona). Pur incompleti, ci danno un quadro abbastanza preciso del suo credo. Camillo è un misto di razionalità e misticismo. Lo è in politica e lo è nel pensiero trascendentale. È conscio che l’origine dei riti (circoncisione e battesimo) sono di natura pratica: insegnamenti e regole. Quando parla di Gesù lo indica come il più grande profeta e non esita a riconoscere nelle sue predicazioni influenze buddiste (i papiri del mar Morto non sono ancora stati ritrovati). Camillo allude, naturalmente, a quei tre anni di vuoto nella vita di Gesù, ipotizzando, come molti studiosi, che non nel vicino deserto si fermò a meditare, bensì raggiungendo l’India o il Nepal dove avrebbe avuto contatti con il buddismo. È evidente da questo scritto che Camillo, pur senza porsi la grande problematica della divinità di Cristo, ne riconosca l’importanza fondamentale per la nostra civiltà. Dirà mai queste cose al suocero pastore? Conoscendolo, penso di sì. Fortunatamente il pastore Revel è un evangelico valdese, rigido nell’osservanza personale delle scritture ma, penso, tollerante nei confronti delle dottrine altrui e quindi anche del pensiero illuminista e al tempo stesso intimamente religioso di quel futuro genero. Camillo ricorderà il giorno del suo matrimonio come il più bello della sua vita. Inizialmente abiteranno nella casa di famiglia di via Palma con la madre di Camillo. La casa è sufficientemente grande per consentire l’intimità degli sposi, peraltro garantita dal carattere schivo e riservato della madre. Camillo crede nel valore della famiglia e conseguentemente nasceranno uno dopo l’altro sei figli. Le lettere dei primi anni di matrimonio tra Camillo e Luisa ci mostrano una coppia unita e solidale, i loro problemi sono quelli dei normali borghesi dell’epoca. Le tate, le balie, i camerieri, la cuoca. Camillo non era un marito e un padre assente, come sovente capitava all’epoca: pur preso dal lavoro e dalla politica si interessava costantemente del ménage della casa, della salute e dell’educazione dei figli, facendolo con discrezione. Se qualche volta la sua impulsività lo induceva a esagerare, comprendeva i crucci di Luisa e non esitava a scusarsi con lei. Dalle lettere familiari traspare che i due furono una coppia sessualmente evoluta. Camillo in più lettere esprime esplicitamente il desiderio che prova per Luisa, le allusioni al sesso e i baci promessi sulla bocca, concludono molte lettere. Per lui, Luisa fu moglie, compagna e amante.

Da “La Fabbrica di mattoni rossi” (Conti editore-Amazon Kindle)