In ogni mensa lieta ed ospitale il vino è bevanda d’eccellenza che nella sua apparente semplicità manifesta una tale ricchezza di significati e una così fitta trama di aspetti materiali e simbolici da consentirne la definizione di “architettura” complessa.
La metafora ne esplicita le molteplici implicazioni culturali, socioeconomiche, antropologiche e tecnico-scientifiche che nei secoli si sono stratificate edificando la “mole” della civiltà della vite così come la fabbrica di una cattedrale ha contemplato la funzione spirituale ed estetica, l’ingegno ideativo e l’apparato simbolico, il sapere tecnico e il lavoro manuale di generazioni .
Parlare di vino dunque, per noi che apparteniamo a questa civiltà della vite e del vino, significa infatti parlare di un elemento importante nella nostra alimentazione, nel nostro sistema di vita al punto da divenire metafora della vita sociale e “ marcatore” di spazi culturali. Consequenziale appare dunque domandarci perché il vino abbia accumulato nei secoli tanta dovizia di significati.
Un dato in primo luogo: il vino non soddisfa bisogni alimentari primari e non è indispensabile alla vita, ma la arricchisce, conforta e riscalda, accompagnando l’uomo negli atti della quotidianità con valenze terapeutiche, economiche e sociali. Sganciato dal bisogno immediato, va al di là della quotidianità, appartiene alla sfera del voluttuario e della festa, del rito e del mistero, tanto che, emblematicamente, nella Genesi la storia degli uomini dopo il Diluvio inizia dal vino. Non dal necessario dunque, ma dal “superfluo” potentemente simbolico.
Proprio perché sganciato dal soddisfacimento di bisogni immediati, si è caricato nei secoli di valenze mitologiche, religiose, simboliche, celebrative ed ha definito confini di status economico e culturale.
La commistione di elementi sacri e profani, di benessere e moderazione, di sensualità e trasfigurazione, di eccesso ed oblio, di atti quotidiani del produrre e bere vino e di filosofica sobria ebrietas ne ha fatto oggetto di indagine colta, di dissertazione scientifica, di rappresentazione iconografica, motivo ispiratore in tutte le epoche e in tutti i campi dell’espressione artistica.
Il vino inoltre diviene tale solo ad opera dell’uomo. E’ dunque soprattutto umano, secondo la concezione di “umanesimo” del vino di cui parla Rabelais per il quale non già il “riso” di aristotelica memoria, bensì il bere vino buono , con moderazione ed intelletto, è ciò che caratterizza l’uomo. “E qui noi sosteniamo che non il ridere, bensì il bere è proprio dell’uomo. Non dico già bere semplicemente e in assoluto, perché così bevono anche le bestie, dico bere vin buono e fresco. Notate, amici, che col vino divin si diviene…”
Profondamente umano dunque e nello stesso tempo medium tra uomo e Dei, veicolo di contatto con il mistero, con una sapienza profonda non altrimenti accessibile. Il legame divino è simboleggiato nella cultura classica da Dioniso, dio polimorfo, ad un tempo colui che con il suo dono e con il passaggio nella terra degli uomini diviene “marcatore” del confine tra civiltà e barbarie, rappresentando nel contempo l’esperienza estetica e selvaggia, la trasfigurazione e la trascendenza, la sacralità del dono e la necessità della sua desacralizzazione col consumo quotidiano. E’ il dio che accompagna l’uomo in uno spazio “altro” , offre un dono che allude al mistero, il vino “trasformatore” che comunica l’oblio della miserevole condizione umana, ma anche ispirazione “Vino fratello della poesia” indica Bartolomeo Taegio nel suo trattato De l’Humore ed ancheVerità e disposizione all’Amore, come si legge ne IL Convito di Ottaviano Rabasco, “avendo il vino gran convenienza con la natura umana, e confortando il calore naturale….viene a propagare e diffondere la sua virtù nell’animo, rallegrandolo, rendendolo capace dell’Amore…”
E che il suo dono sia divino lo dimostrano i segni: l’assenza di paura, l’eloquenza, il senso di felicità e di potenza.
La sua complessa architettura, per tornare alla metafora iniziale, sintesi di struttura, funzionalità ed estetica, è dunque da ricercarsi nella commistione di elementi che vanno dal coinvolgimento dei sensi “…certo sembrò giusto alla natura di blandire con la grazia incomparabile delle uve anche il morso di chi le mangia..” alle superiori attività dell’intelletto e dello spirito che si manifestano nell’ispirazione poetica e artistica, nei trattati scientifici, ma anche nell’accumulo di sapienza tramandata dell’antichissima cultura della vite e delle tecniche per fare, conservare e trasportare il vino.
Maria Luisa Alberico, già docente di Lettere, giornalista enogastronomico, sommelier, fondatrice e presidente dell’associazione e della rivista Donna Sommelier di cui è stata direttore responsabile.