Un confine è un limite di un qualcosa di concreto ma spesso anche di astratto (il confine della ragione). In entrambi i casi è un vocabolo obsoleto e superato. Sul fiume gli uomini hanno costruito ponti, realizzato gallerie sotto le montagne e scoperto nuovi orizzonti per la ragione.
Quindi la gente dovrebbe essere propensa a superarli invece, inconsapevolmente, tende a crearne sempre dei nuovi.
Piemonte e Savoia facevano parte di un unico Stato quando le idee illuministe presero a diffondersi in Europa attribuendo la giusta importanza al ragionamento dell’uomo.
Durante la parentesi Napoleonica che aveva rimescolato nazioni e confini, un certo Jeanne Pierre Duport nativo di Termignon (paese appena al di là del Moncenisio) ebbe l’ardire, l’intuizione, la capacità e le potenzialità per fondare ad Annecy una delle prime grandi aziende cotoniere europee.
Erano anni di fervore per le menti umane stimolate a pensare, progettare e costruire macchine e marchingegni e il progetto era tra i più evoluti d’Europa.
Il cotonificio ebbe successo immediato tanto era il bisogno di stoffa in quantità a costi accettabili per la gente del popolo. Passarono appena 20 anni e i figli del Duport pensarono di ampliare il loro impero cotoniero con la realizzazione di un altro stabilimento al di qua delle Alpi. Il sito scelto fu quello di Pont Canavese, luogo di tradizioni seriche oltre che metallurgiche particolarmente ricco di salti geodetici utilizzabili come forza motrice dalle ruote idrauliche che si stavano evolvendo.
La loro fu un’impresa ambiziosa e l’azienda assunse il nome di Manifacture Royale de Annecy et Pont e diede gradualmente lavoro a quasi 2000 operai solo nella parte italiana, prima ancora che nascessero concorrenti altrettanto titolate.
È opportuno fare mente locale sulla cronologia degli eventi che vede la nuova struttura industriale precorrere di gran lunga quasi tutte la altre realtà tessili oltre che metalmeccaniche potendo vantarsi di essere una delle prime d’Italia.
Un regno, diviso al suo interno dalle Alpi, era una realtà piuttosto strana ed i Savoia avevano cercato da molti anni di migliorare i collegamenti tra le province.
Grazie a Napoleone, che voleva una via comoda per scendere rapidamente in Italia, ad inizio Ottocento avevano avuto la strada attraverso il Moncenisio, ma nella seconda metà dell’Ottocento erano le ferrovie a rappresentare la chiave di volta dei collegamenti del futuro.
In realtà non erano soltanto Napoleone o i Savoia a tendere a questo obiettivo ma buona parte dell’Europa per ragioni diverse, come l’Inghilterra interessata a raggiungere la Persia e il medio Oriente.
A fine Ottocento partirono quasi in contemporanea due cantieri. Il progetto Fell adatto a forti dislivelli per superare il Moncenisio ma utopistico nei confronti della nascente tecnologia e quello di Germain Sommeiller che prevedeva il traforo del Frejus.
Fell arrivò per primo e ottenne elogi da tutto il mondo fino ad allora avvezzo ad attraversare le Alpi a dorso di mulo o in sedia portantina.
Ma il progetto di Sommeiller, che molti intravedevano irto di difficoltà, imprevisti, infortuni e ritardi, al contrario anticipò i tempi decretando la morte della ferrovia Fell ancora in fasce.
Per strano gioco del destino, in quegli stessi anni che la distanza tra Torino ed Annecy diventava più breve e la percorrenza enormemente più rapida, la Savoia ottenne di ricongiungersi alla Francia.
Fu un gesto comprensibile. La loro lingua era francese, inoltre i Savoia avevano da tempo rivolto le loro attenzioni al di qua delle Alpi fin da quando spostarono la capitale da Chambery a Torino.
Vi furono però dei contraccolpi economici. La Francia era più avanzata sul piano industriale e commerciale così che la stabilimento di Annecy si trovò a mal partito con la concorrenza francese tanto da sopravvivere solo per pochi anni.
Intanto Pont era stato raggiunto a sua volta dalla ferrovia e la Manifattura, che ormai copriva tutto il ciclo di lavorazione dalla filatura alla tessitura e tintoria, sopravvisse passando attraverso la gestione della famiglia Laeuffer (originaria del Basso Reno) e poi quella dei baroni Mazzonis di Pralafera.
Negli anni anche la Manifattura pontese finì per involversi a causa della sua precocità; pagò lo scotto di utilizzare ancora macchinari
meno evoluti e perfino quello di essersi troppo diversificata, cedendo il campo a filature e tessiture specializzate.
Inoltre con l’avvento dell’energia elettrica i nuovi stabilimenti si trasferivano in pianura lasciando il posto nelle valli alle centrali elettriche.
Siamo entrati da un pezzo nel terzo millennio e incredibilmente molti si ostinano a boicottare un collegamento ferroviario ad alta velocità che ci collegherebbe con la Francia e l’Europa accampando motivazioni preconcette sterili o qualunquiste.
Torino, dagli anni Settanta in poi ha pensato ad un suo rilancio in simbiosi con Milano con il risultato di farsi rapinare di tutto a partire dai centri direzionali e di comando qualificati, decadendo nel provincialismo.
Credo che sia giunto il momento di accorgersene e di sperimentare soluzioni alternative come un rinnovato gemellaggio con la Savoia che, molto probabilmente, porterebbe dei vantaggi ad entrambi.