Nel volgere di pochi anni ci siamo trovati a poter disporre di grandi quantità di prodotti alimentari e contemporaneamente di grandi volumi di  informazione, fenomeni che a mio parere, anche se forse non tutti concordano, siamo di fatto impreparati a gestire correttamente.

E’ interessante in proposito il parallelismo, proposto da diversi sociologi e ripreso nel saggio “A dieta di media” di Marco Guidi (ed. Il Mulino), tra obesità alimentare e obesità di media che ad un attento esame si rivelano molto simili per le ricadute sociali e culturali e per i quali si impone sempre più evidente la necessità di una gestione corretta e responsabile.

Il cibo e i media sono oggetto di  azioni che ci accompagnano lungo tutta la giornata, a volte la scandiscono nella loro ripetitività e sono quindi molto importanti per il nostro benessere fisico e intellettuale. Per quanto riguarda i media  ci troviamo oggi probabilmente  davanti agli stessi problemi verificatisi a seguito della industrializzazione della produzione alimentare: il rischio è che l’eccesso di offerta conduca inevitabilmente ad un eccesso indiscriminato di consumo. Difficile in entrambi i casi risulta selezionare “prodotti” di buona qualità e assimilare in modo appropriato quanto “ingerito”; soprattutto ardue diventano la gestione e la limitazione del consumo a fronte di  un’offerta esuberante.

L’associazione cibo e media ha anche un altro risvolto negativo: basti pensare all’abitudine di molti, specie giovani, di consumare cibo “spazzatura” davanti al televisore acceso, con inevitabili ricadute sulla salute dovute sia al cibo ingurgitato che alla sedentarietà.

L’offerta alimentare nel corso degli anni si è sviluppata verso un’abbondanza e varietà crescente di alimenti a prezzi sempre più bassi, orientando di fatto i consumi fino a creare una sorta di omologazione del gusto verso cibi ad alto contenuto di zuccheri e grassi, causa di patologie mediche, quali obesità, diabete, malattie cardiovascolari.

Davanti al televisore non si consuma solo cibo industriale non salutare ma anche informazioni mediate di basso livello o che distorcono la realtà, e quindi nocive. Cibi saporiti, conditi, speziati attraggono inevitabilmente più di quanto cucinato in modo semplice: anche nella comunicazione mediata vengono introdotti ad arte elementi attrattivi, quelli che il filosofo Popper definì “spezie mediali”, ovvero ingredienti “di forte sapore” quali violenza, sesso, aggressività verbale, destinati a polarizzare l’attenzione. E’ infatti appurato che il sovraconsumo  il più delle volte è legato alla “qualità” della proposta: questa sarebbe mirata ad assecondare i nostri istinti primordiali sopiti che ci attraggono verso il grasso, il salato e il dolce ed anche verso violenza, aggressività e sensazionalismo. Tutte cose socialmente rischiose e a farne le spese sono le fasce socialmente più svantaggiate con meno risorse culturali ed economiche.

Infatti se da un lato l’abbondanza dell’offerta e la disponibilità di alimenti, anche pronti, al pari della  moltiplicazione di prodotti mediali, hanno reso possibile una loro fruizione immediata a basso costo, dall’altro lato hanno indotto e favorito in entrambi i casi un consumo “impulsivo” da parte dei soggetti più vulnerabili e impreparati; si pensi anche al mondo dei giovani e degli adolescenti meno attrezzati a valutare i rischi legati a certi comportamenti. Per non cadere nel vortice del sovraconsumo è necessario un adeguato livello di auto controllo nella selezione di prodotti e di contenuti che possano arricchirci e favorire il nostro benessere.

La forte concorrenza indotta dalla massiccia offerta sui diversi mezzi di comunicazione (TV, PC, cellulari, tablet, etc) di programmi e pubblicità, mirati a “catturare” pubblico, ha portato a velocizzare i messaggi e a cercare di renderli sempre più attrattivi con immagini ad alto impatto visivo ed emotivo. Questa “esigenza” commerciale ha contaminato anche il modo di comunicare la cucina ed il cibo. Negli ormai onnipresenti programmi televisivi sul tema, la cucina viene proposta in velocità con effetti sensazionalistici, cucina gridata, cucina spettacolare, cibo da vedere più che da mangiare. Lo stesso metodo si ripropone nelle riviste di cucina dove prevale l’aspetto attrattivo delle fotografie e dell’impaginazione più di quello dei contenuti.

A fronte delle notevoli analogie sopra riscontrate, va però evidenziato il diverso grado di consapevolezza che i due fenomeni di obesità registrano a livello della pubblica opinione.

In campo alimentare sono in atto da un po’ di tempo a livello internazionale e anche nazionale iniziative e campagne mirate a promuovere un’alimentazione più sana unita all’invito a fare attività fisica. Nelle scuole, nelle mense scolastiche ed aziendali non è raro vedere comparire cibi sani e menù corretti dal punto di vista nutrizionale, soprattutto perché ci si è resi conto che i danni derivanti da una alimentazione scorretta vanno ad incidere pesantemente sui costi sociali.

Poco ancora si è fatto invece per educare i consumatori ad una corretta assunzione di prodotti legati all’informazione; sicuramente  non è stata ancora percepita appieno la pericolosità di un certo tipo di informazioni in quanto  più difficile da quantificare e da gestire sia a livello individuale che da parte delle istituzioni. Sarebbe auspicabile una presa di coscienza collettiva per educare le persone a gestire consapevolmente la sovrabbondanza di informazioni che quotidianamente riceviamo, in modo da poterne trarre soltanto gli effetti benefici e positivi.