Il sovrappopolamento porterà all’igiene del Mondo?
Quando frequentavo l’Università -ho lavorato tre anni presso il laboratorio di Farmacologia della Facoltà di Medicina- facevo parte di un gruppo che testava farmaci antidepressivi, per valutare gli effetti degli ansiolitici sul comportamento sociale, e mettemmo in piedi uno studio sul comportamento dei ratti in condizioni di cattività e di stress (i ratti sono usati come animali da esperimento per la loro somiglianza metabolica con gli esseri umani).
A tale scopo fu preparata una grande gabbia che occupava quasi completamente una stanza dello stabulario, la cui base in metallo era elettrificata.
Al suo interno fu inserita una popolazione di ratti, composta da femmine e maschi di varie età; lo studio serviva a osservare i comportamenti in condizioni di convivenza estrema. I ratti venivano stressati durante la giornata con piccole scariche elettriche, con la privazione di cibo, fatto loro annusare e poi tolto; quando veniva fornito, era dato in dosi diverse ai diversi gruppi di componenti della colonia.
Nelle settimane successive, tra gli animali cominciarono ad evidenziarsi comportamenti particolari; erano affamati perché le razioni di cibo erano ridotte, stressati dalle piccole scosse, insomma le regole della loro società fatta di maschi alfa dominanti, riproduttrici e gregari, saltarono. Se qualcuno si feriva casualmente o durante le continue zuffe, gli altri lo aggredivano e arrivavano a mangiarlo. Gli accoppiamenti con le femmine diventarono sempre più rari e spesso queste, quando partorivano, non si curavano dei piccoli o li uccidevano e li mangiavano. Quasi tutte le femmine morirono mangiate dagli altri e alcuni maschi, in cambio di cibo, cominciarono a prostituirsi con gli Alfa, offrendo i propri servigi ai dominanti, che riuscivano a conquistare il poco cibo fornito, o a cannibalizzare gli altri. Somministrare loro gli ansiolitici riportava piano piano ad una situazione di normalità, ma era una normalità anestetizzata, i danni profondi restavano. Mi appassionai alla questione e feci ricerche mirate, scoprii che anni addietro, non per scopi farmacologici ma etologici, il nostro esperimento fu preceduto da uno degli Studi più importanti svolti sul comportamento degli individui di una società animale, fatto nel 1968 da un etologo americano, John B. Calhoun.
Egli rinchiuse otto topi dei due sessi in un serbatoio largo 2,5 m. e alto 1,3 m., aperto sul lato superiore per far entrare aria e luce. Al suo interno i roditori avevano acqua e cibo in abbondanza, un ambiente ideale, centinaia di nidi a disposizione dove crescere i piccoli, niente predatori, assenza di stress.
Il nome che Calhoun diede all’esperimento fu ”Universo 25.”
Dopo poco tempo, il Giardino dell’Eden si trasformò in una megalopoli infernale: in due mesi la popolazione raddoppiò, ma viveva ancora in equilibrio; dopo dieci mesi Universo 25 contava 620 individui e la sua crescita iniziò a rallentare. Dopo un anno e mezzo la popolazione raggiunse la sua massima espansione: 2.200 esemplari e si avviò verso la fase di estinzione, a causa dell’interruzione delle nascite.
La fotografia della megalopoli murina era la seguente: il suo centro occupato da maschi aggressivi, impossibilitati a riprodursi, che passavano il tempo a mangiare, bere e uccidersi a vicenda. Le femmine fertili, a causa della sovrappopolazione e delle scarse condizioni igieniche e sanitarie, se si riproducevano, non si prendevano cura della prole; solo un piccolo gruppo di adulte e adolescenti si teneva lontano dal resto della società, vivendo in nidi posizionati in alto e protetti da pochi maschi ancora incorrotti. Queste femmine però, intontite dallo stress altissimo proveniente dall’ambiente, non avevano alcuna voglia di avere rapporti sociali o di riprodursi; la popolazione sfuggita al cannibalismo che aveva devastato la colonia di Universo 25, era inesorabilmente segnata. Reinseriti in un contesto sociale ”normale”, i sopravvissuti si trovarono in una condizione emotiva definita da Calhoun ”prima morte,” cioè la morte sociale che precede la morte fisica ed erano incapaci di fare altro che non fosse curare il loro aspetto fisico, mangiare e dormire. Questo gruppo fu soprannominato dei “belli”, perché la loro pelliccia non era stata danneggiata.
Già Calhoun definì i comportamenti dei topi come una metafora della condizione umana: ‹‹parlerò per lo più di topi, ma il mio pensiero va agli esseri umani››. Questo concetto è quanto mai attuale, perché l’Uomo è un animale sociale e ha bisogno di uno spazio fisico e psicologico in cui vivere, senza il quale corre il rischio di estinguersi e di portare al crollo della Società. Analizzando i comportamenti di molti giovani che vivono nell’Occidente ricco (gli hikikomori, adolescenti giapponesi che si chiudono nelle loro stanze per sopravvivere all’intensa pressione sociale imposta dalla loro cultura, ne sono l’emblema), è possibile assimilarli ad una versione umana dei ”belli”. Un altro parallelismo si può fare tra la risposta delle femmine di topo sopravvissute alla decimazione, e il comportamento di una nuova generazione di giovani, che non sono interessati al sesso: non praticano l’astinenza volontaria per motivi religiosi o morali, semplicemente non avvertono la pulsione sessuale, sono anestetizzati e interessati solo al proprio aspetto esteriore.
L’esperimento condotto in Facoltà e la lettura di quello di Calhoun mi segnarono e vi lessi, seppure fortunatamente latenti e non estreme, alcune dinamiche umane ritrovabili all’interno di situazioni promiscue, come possono essere le carceri, piuttosto che i campi profughi o i quartieri-ghetto di città sovrappopolate.
Anni dopo, ormai avevo rimosso quel ricordo, stavo guardando la tv e vidi una puntata della prima edizione del Grande Fratello; compresi subito quali fossero le caratteristiche del nuovo programma e mi tornarono in mente gli esperimenti di anni prima.
Un gruppo di persone, disomogeneo per età, estrazione culturale, sociale ed economica, venne rinchiuso in una casa di dimensioni limitate, il cibo era scarseggiante e la promiscuità alta. “Accidenti”, mi dissi, questa è la riproduzione esatta degli esperimenti sui topi, qui però ci sono persone. Sicuramente chi ha ideato il format del programma, che ha avuto molto successo in tutto il Mondo e tiene tuttora incollate al televisore milioni di persone, ha studiato e ben conosce i comportamenti degli individui in situazioni di stress.
Un capitolo a parte meriterebbe il voyerismo degli spettatori, che si sentono tutti “piccoli etologi” e amano spiare le vite altrui, nutrirsi del peggio che l’essere umano produce in condizioni simili, ma non è questo l’oggetto della discussione.
La mia riflessione vuole capire se il sovrappopolamento delle metropoli cresciute in tutti i Paesi del Pianeta, possa trasformare i loro abitanti, a causa delle reazioni generate dallo stress sociale, in ratti da laboratorio, con le dinamiche conseguenti, dovute alla scarsità di spazi e di cibo. Il fenomeno è mondiale e vede masse enormi di persone provenienti dalle zone rurali e da piccoli agglomerati, in cerca di lavoro e di sostentamento, concentrarsi in città ormai al collasso, senza strutture ricettive, urbanizzazione adatta e risorse alimentari; questa tendenza, che sembra per ora inarrestabile, segna l’apice della storia evolutiva della nostra Società?
E’ l’inizio della fine?
Sarà questa una delle cause che porteranno al declino la Razza Umana, e che va di pari passo con l’esaurimento delle fonti energetiche, del cibo e con l’inquinamento ambientale?
Certo si può legittimamente eccepire che l’Uomo non è un topo e che in condizioni di sovraffollamento demografico sa comportarsi in modo diverso, una spiegazione potrebbe essere che egli impara a gestire la limitazione dello spazio individuale, e questo lo aiuterà a vivere nelle megalopoli del futuro. Però ciò che stressa gli individui è dover subire la convivenza forzata e la disomogeneità nella distribuzione delle risorse, questo accade sia che si analizzino i comportamenti di un topo di laboratorio, che di uno schiavo del Capitalismo.
Ma ora, che cosa c’entra Orwell?
Lo spiego subito.
Lo scrittore inglese fu di una lungimiranza sconcertante, perché nel suo “1984”, scritto alla fine degli anni ’40, egli immaginò la Società del futuro distopica, cioè composta da una comunità con regole spaventose, indesiderabili, latrice di una anti-utopia, per definizione negativa.
Egli immagina un mondo dominato da una feroce dittatura, personificata dalla figura carismatica del Grande Fratello, Stalin per la cronaca, e che molti oggi individuano nel potere economico, finanziario e industriale delle Lobby celate dietro i Governi moderni. Un mondo in cui ogni forma di libertà personale e di pensiero è stata repressa, certo nella nostra situazione attuale di occidentali no,ma sono troppi gli esempi di manipolazione emotiva, altrettanto subdola, provenienti da ogni parte, anche del mondo industrializzato e apparentemente democratico. Si vive in una condizione di guerra e paura perenne, controllati da centri di potere, sempre più occulti e diffusi, che impongono surrettiziamente visioni utili del Mondo, fra globalizzazione e finanziarizzazione dell’economia, fra imbarbarimento dell’informazione e dei sistemi politici. Nella nostra realtà contingente abbiamo la fortuna di non vivere la guerra direttamente, ma la condizione emotiva indotta, è quella di uno stato di allerta perenne, latente, creato da paure costruite a tavolino e rivolte a pericoli remoti come l’immigrazione e lo straniero, che crea razzismo e rifiuto. Il Pensiero Dominante della nostra Società, contrariamente a come agiva il Partito del Grande Fratello, che modificava giornali, libri, fotografie, filmati, per far sparire ogni traccia di quello che era contrario al pensiero o alla realtà costruiti dal Regime, utilizza i Social, i nuovi Media per addomesticare i “belli”, ormai satolli di cibi, oggetti inutili e beni di consumo. Uno stesso potere omologante cerca di rendere gli uomini uguali, sottomessi e incapaci di pensare, affollandoli in gabbie da esperimento, le moderne città, in cui poter far nascere pensieri, azioni e reazioni assolutamente previste.
Una frase all’inizio del libro di Orwell riassume benissimo il senso di un progetto globale, concepito da chi tira i fili nel teatrino dei burattini della Società del Millennio: “Ortodossia vuol dire non pensare, non aver bisogno di pensare. Ortodossia e inconsapevolezza sono la stessa cosa”.
Siamo i Moderni Wilson, frastornati dal lavoro, imbambolati dagli effimeri divertimenti, dall’alcol, dai farmaci, nei casi peggiori dalle droghe, dalla promiscuità continua, che acutizza le percezioni e perdiamo il contatto con il senso di noi stessi, con le nostre esigenze emotive, scatenando le pulsioni distruttive verso l’altro?
Mi piacerebbe chiedere ad Orwell, oggi, come secondo lui sta l’Umanità, forse risponderebbe che l’Uomo si sente diviso a metà tra la naturale inclinazione ad “essere” e la necessità moderna di “apparire”, il problema è che non se ne accorge e continua a rimpinzarsi di cose, beni e pensieri preconfezionati, che escono dal taglio prodotto dal consumismo e dalle regole aberranti della moderna società, sulla sua anima. Probabilmente vedrebbe nella bomba demografica, giustamente, il pericolo maggiore per la Terra e i suoi abitanti ma spererebbe in altri metodi di controllo delle nascite, che non siano la creazione di una casta riproduttrice e di un resto della popolazione tenuta in astinenza “di regime”. Credo che direbbe che dopo il fallimento del Capitalismo Liberale, dell’ equità sociale ed economica, l’unico modo per sopravvivere all’accentramento urbano e all’omologazione dei pensieri, per scongiurare di trasformare le città in gabbie per topi e il Pianeta in un cimitero di natura e sentimenti, sia creare cultura, stimolare il ritorno al piacere di vivere in gruppo solidale, non in gabbie ristrette e stressati dalla ricerca di cibo, di sesso e sopravvivenza. La mia speranza è che non si arrivi ad una “igiene del Mondo”, per parafrasare il manifesto del Partito Futurista: ‹‹Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del Mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna››, spero da ottimista inguaribile e da innamorata dell’Essere Umano, che le lucide previsioni di Orwell su una Società rigidamente gestita per far sopravvivere chi detiene il potere, usando anche carestie, guerre e malattie indomabili come l’Ebola e l’AIDS, oltre che il regime diretto, siano solo delle visioni disturbate dall’odio verso gli Assolutismi della sua epoca e stimolate dalla distruzione post bellica.
Certo è che la spinta demografica è una bomba pronta ad esplodere e occorre che i Governanti delle Nazioni industrializzate del Pianeta mettano in atto politiche di salvaguardia delle risorse e di controllo delle nascite.
Ci riusciremo?
Vedo un futuro denso di nebbie… ma l’Uomo fin qui, è sempre risorto.
Mara Antonaccio, Biologa Nutrizionista, Giornalista