Un nuovo focus sul ruolo, spesso sottovaluto nel passato, delle donne nel campo della medicina e della salute. Un ruolo che, molto prima dell’ufficialità, si è servito spesso del contributo fondamentale del volontariato, momento importante anche nella società contemporanea, sia pure con modalità certo diverse.  A partire dai contributi generosi di tante donne che vissero nel periodo del Risorgimento e che seppero, con pochissimi mezzi ma tanta disponibilità, offrire il loro tempo per la cura dei feriti e degli ammalati: un nome su tutti? La discussa eppure generosissima principessa Cristina Trivulzio di Belgioioso alla quale, nel  1849, all’epoca della lotta per la Repubblica Romana, Giuseppe Mazzini affidò l’incarico di direttrice delle ambulanze civili e militari.

E’ sicuramente un personaggio dalla complessa personalità la principessa Cristina di Belgioioso, la più conosciuta delle donne protagoniste del Risorgimento Italiano.

Il suo carisma, la sua popolarità, la sua eccentricità, i suoi eccessi, la sua straordinaria umanità, i suoi scritti pubblicati anche sulla “Revue des deux mondes”, la sua vita sicuramente fuori dagli schemi ottocenteschi, il suo prodigarsi in ogni momento a favore della causa italiana … hanno fatto di lei un’eroina a tutto campo, un personaggio fuori dagli stereotipi del tempo che  continua ad affascinare anche oggi.

Si attribuisce oggi universalmente all’inglese Florence Nightingale il merito di aver fondato il corpo delle “crocerossine” nel 1854 in occasione della guerra di Crimea, ma in fondo la Belgioioso realizzò la stessa cosa alcuni anni prima, senza che nessuno gliene rendesse pienamente merito.  Nel 1849 la principessa  diede prova di un grande dinamismo, di un indubbio talento come  organizzatrice,  uniti ad uno spirito riformatore rivolto al settore sanitario.  Si preoccupò così di trovare i locali dove raccogliere e curare i feriti, con sopralluoghi in chiese e conventi, gli unici edifici ritenuti adatti, cercando di ottenere dal popolo offerte, materassi e letti. Le venne assegnato, come dimora, l’ospedale dei Pellegrini, in un ospizio fondato nel 1551 da San Filippo Neri.

Cristina Trivulzio riuscì ad organizzare, con il Comitato di Soccorso, dopo un toccante appello alle donne romane, ben dodici ospedali militari per assistere soldati, arruolando un vero e proprio corpo di infermiere volontarie.

Come sempre generosa e disponibile, anche questo gesto umanitario diede in seguito il via a polemiche ed ironie, in quanto si disse che aveva assoldato anche numerose ragazze procaci e di facili costumi. In realtà, non si può negare che Cristina abbia dato il via alla prima forma di assistenza infermieristica laica.

Tutto partì da un appello alle donne romane perché accorressero ad assistere i feriti della Repubblica: a questo appello risposero tantissime donne, senza distinzione di origine e classe, romane e forestiere, aristocratiche e popolane.

Lo slancio patriottico coinvolse oneste “matrone” e prostitute di professione. Vennero impiegate 300 donne e per la loro scelta si fece una selezione seria e difficile: naturalmente la presenza di ragazze dai ”dubbi precedenti” venne sfruttata dai polemisti reazionari. La principessa rispose con una lettera fiera ed umanissima al pontefice, nella quale difendeva l’operato di queste ragazze.

Cristina andò oltre un semplice lavoro di assistenza filantropica ospedaliera: denunciò gli infiniti abusi riscontrati negli ospedali, chiese ai cittadini triumviri di creare una casa centrale di assistenza per istruire le infermiere, non esitò a rivolgersi al ministro della Guerra per reclamare quanto dovuto, anche in termini economici, ai feriti affidati alle sue cure.

Denunciò la mancanza di fondi per gli ospedali ed il fatto che il popolo dovesse intervenire con offerte e contributi, denunciò la grave carenza di  strumenti chirurgici; la mancanza di etere per lenire le sofferenze dei ricoverati, la realtà drammatica  dei feriti che spesso morivano in preda ad “atroci convulsioni”, la mancanza di letti per le vittime di fratture, si spinse a dire che l’incompetenza di certi chirurghi sfiorava il crimine. E le sue liti per le negligenze che osservava, anche da parte dei medici, furono continue.

Della sua opera negli ospedali romani scrisse un testimone americano, lo scultore William Wetmore Story, che visse le ore drammatiche dell’assedio francese alla repubblica romana ed ebbe modo di osservare direttamente l’attività della Belgioioso.

Nel suo diario infatti annotò: “Trovai la principessa intenta ad impartire ordini con molta calma e precisione e dando prova di grandissimo buon senso e praticità nelle sue disposizioni. Ella aveva redatto un severo regolamento mercè il quale le era riuscito di fare osservare nell’ospedale ordine perfetto e rigorosa disciplina. Da tre giorni e due notti la Belgiojoso non aveva preso sonno, nondimeno appariva ancora piena di energia”.

Raffaello Barbiera, il suo primo biografo, descrive anche l’attenzione e la cura amorevole di Cristina per i feriti che giungevano presso l’ospedale della Trinità dei Pellegrini dove lei prestava la sua opera di volontariato. A sue spese, o girando direttamente per le vie di Roma e chiedendo aiuto alla gente, faceva arrivare farmaci, i cibi che mancavano, soprattutto latte, bende, lenzuola, letti …. Ed assisteva con grande serietà ed umanità gli ammalati, dando prova di coraggio e una particolare predisposizione infermieristica che già aveva dimostrato in altre occasioni.

Il Barbiera ricorda in particolare l’arrivo di due feriti il cui nome è passato alla storia: Nino Bixio e Goffredo Mameli. Il primo, con una lieve ferita, guarì.

Il secondo, “ferito alla gamba sinistra da una palla che gli perforò l’osso nella parte superiore della tibia, nonostante la fasciatura, perdette a torrenti  il sangue, tanto che, dopo tre ore, rimase privo di sensi”.

Fu lei a dare l’estremo saluto al giovane Goffredo Mameli, l’autore dell’Inno “Fratelli d’Italia”: Goffredo Mameli morì proprio a causa dell’infezione che si propagò alla gamba amputata e “quando, tre giorni dopo l’amputazione della gamba, fu scoperto un turacciolo dimenticato nella ferita di Mameli i suoi urli si sentirono nella strada”.

Il giovanissimo Mameli spirò il 6 luglio, dopo che a Roma si era davvero scatenato l’inferno con l’attacco dei francesi. E mentre ormai si assisteva al fuggi fuggi dei personaggi principali della Repubblica Romana con l’ingresso dei francesi, la Belgioioso rimase ancora per parecchio tempo nei suoi ospedali: non se la sentiva di abbandonare i feriti.

Ma la situazione si andava facendo di giorno in giorno sempre più critica: ancora una volta nel mirino, accusata di “sentimenti irreligiosi” e oggetto di una volgare campagna di stampa scatenata dai vincitori contro di lei, descritta come una specie di “vampiro che si aggirava per le corsie in cerca delle sue vittime”.

Fu quest’atmosfera di odio e di sospetto che la spinse ad abbandonare l’Italia, lasciando alle spalle anche l’impegno politico, la sua passione dominante per tanti anni. Ma, con l’ironia di sempre, scrisse una lettera al papa Pio IX, indirizzata però anche ai giornali per difendere la scelta delle sue infermiere e collaboratrici: “Santo Padre – scriveva Cristina – non sosterrò che tra la moltitudine di donne che, durante il maggio e il giugno del 1849, si dedicarono alla cura dei feriti non ve ne fosse neppure una di costumi reprensibili: Vostra Santità si degnerà sicuramente di considerare che non disponevo della Polizia Sacerdotale per indagare nei segreti delle loro famiglie, o meglio ancora dei loro cuori. Mi accadde, l’ammetto, di venire informata che l’una o l’altra delle aiutanti dell’ospedale fosse nota per aver esercitato in precedenza una professione disonesta. Se quell’avvertimento mi fosse arrivato prima, indubbiamente le avrei escluse, ma tale non era il caso. Le donne che mi venivano denunciate erano state per giorni e giorni a vigilare al capezzale dei feriti; non si ritraevano dinanzi alle fatiche più estenuanti, né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinanzi al pericolo, dato che gli ospedali erano bersaglio delle bombe francesi. Nessuno poteva rimproverare a quelle donne una parola o un gesto meno che decoroso e casto. Ciò nonostante, forse avrei potuto ugualmente espellerle se non avessi io adorato il precetto di quel Dio che, in sembianza umana, non disdegnò che una donna di perversi costumi gli ungesse i piedi e glieli asciugasse con le sue lunghe trecce …”.

Lasciò l’Italia con un doloroso ricordo, l’amarezza per la nuova delusione, l’angoscia di non poter aiutare i sofferenti, un senso di disagio verso quella Francia che lei aveva sempre considerato amica e liberale e che ora non aveva esitato a lanciare bombe sugli ospedali.

Oggi, in una rilettura del suo ruolo in quei tragici momenti, si riconosce che probabilmente Cristina inaugurò i principi basilari scientifici della preparazione infermieristica moderna.

(Notizie liberamente tratte dal volume di Bruna Bertolo “Donne del Risorgimento. Le eroine invisibili dell’Unità d’Italia”,  Ananke ed. 2011).