Gli amici lettori meritano un chiarimento riguardo al titolo di questo articolo: “subalterno” sta per appartenente ad una classe sociale lavoratrice, direi “proletaria”, e “dominante” sta per appartenente ad una classe sociale che detiene il potere economico e culturale, direi medio o alto borghese, a seconda del periodo storico.  Spiegato il significato del titolo, estendo questo mio modo di suddividere, che associa il concetto di progressismo al “subalterno” e di conservazione al “dominante”, ad altri ambiti del vivere umano. Così concettualmente la doccia, la piscina e il presepe sono espressione della classe “subalterna”, mentre la vasca da bagno, la palestra e l’albero di Natale lo sono di quella “dominante”, semplicemente perché il primo gruppo fa pensare alla praticità, ad uno stile popolare e semplice e il secondo ad un modo di vivere più agiato e più lento, culturalmente evoluto e non necessariamente legato a bisogni impellenti. In realtà, riguardo all’argomento della discussione, dovrei precisare che il cibo è popolare in quanto legato ai ceti meno abbienti, da sempre addetti alla produzione degli alimenti con l’agricoltura, la pastorizia e l’allevamento, quindi “proletario”, e affermare che la cucina è da classi abbienti, in quanto elaborazione di un bisogno primario divenuto arte vera e propria, quindi borghese, perché arricchito di valenze culturali complesse, ed espressione di uno status sociale più elevato.

La creazione di questo meccanismo di suddivisione ha richiesto un certo lasso di tempo ed è stato un fenomeno progressivo, che ha visto il suo apice nei secoli precedenti a quello del ‘900; in questo ultimo infatti, con le lotte politiche e le conquiste sociali fatte dai ceti meno abbienti, si è assistito ad una redistribuzione della disponibilità dei cibi ed una modificazione sostanziale di quella convinzione ormai radicata.

Sarebbe tranchant etichettare in modo così rigido il fenomeno, ma non si può nascondere che un fondamento ci sia, pur in presenza di modificazioni dovute alla nascita del “villaggio globale”.

Dicevamo, la distribuzione del benessere economico anche ai ceti meno abbienti, che dal Dopoguerra in Occidente ha decretato la fine della scarsità alimentare e la conseguente trasformazione del ruolo del cibo, che non è più una necessità da soddisfare per sopravvivere ma uno strumento, un oggetto da utilizzare per conoscersi, comunicare e vivere meglio: si è quindi assistito ad una svolta culturale epocale.

All’inizio di questo Terzo Millennio, a causa della profonda trasformazione dell’Economia Occidentale, che da agricola da sostentamento, artigiana e industriale è divenuta un enorme terziario avanzato e informatizzato,  abbiamo vissuto la modificazione delle classi sociali come conosciute nei due secoli precedenti: non possiamo più parlare di Proletariato, Media, Alta Borghesia e Aristocrazia, ma piuttosto di un largo ceto medio, economicamente schiacciato e assimilabile ad un ibrido a metà tra un “Terzo Stato” del 2000 e una media Borghesia, ed un ceto culturalmente e socialmente più alto, con maggiore disponibilità economica, più attento agli acquisti e più consapevole nelle scelte alimentari. 

 Nei Paesi  Occidentali il diffondersi del benessere, gli studi su nutrizione e alimentazione e la tendenza intellettuale, frutto della nuova coscienza sociale legata alla ricerca del benessere, della New Age, hanno nutrito il dibattito sul cibo, che ha attratto l’interesse pubblico, finendo col tracimare dai suoi normali canali di produzione-vendita, per diventare fenomeno televisivo, editoriale, cinematografico, trasformando il proprio atavico valore simbolico, al punto di divenire feticcio. Da qui a diventare argomento di fiere, non più solo rivolte alla vendita del prodotto ma vissute come una sorta di “esposizione universale” (il fenomeno Slow Food ne è l’esemplificazione), il passo è stato breve. Il cibo è inoltre stato capace di suscitare interesse medico (peraltro giustamente, visto il crescente problema delle patologie legate ad esso), di divenire argomento etico (a causa degli stravolgimenti delle abitudini economiche e sociali di intere popolazioni), divenire Pop e infine, sdoganarsi culturalmente e trasformarsi in argomento accademico.

Oggi i ceti meno abbienti sono solo in piccola parte responsabili della produzione dei cibi, inoltre tendono ad acquistare alimenti meno salutari e nella Grande Distribuzione, perché più convenienti; chi compera consapevolmente (le classi più evolute culturalmente e con potere d’acquisto maggiore), si dimostra attento alle economie dei Paesi di produzione e alle implicazioni culturali legate agli alimenti, inoltre è interessato alla loro trasformazione in oggetti cult , che oltre a soddisfare un bisogno primario, soddisfano senso estetico, curiosità e creatività.

Anche a questo si deve il successo delle cucine etniche, dei corsi di cucina, dei programmi televisivi e dei giornali che parlano di cucina: attraverso l’apprendimento delle tecniche di cottura, abbinate alla creatività e alla grande disponibilità di alimenti si esprime il proprio io, trasformando quello che era un modo per aumentare la digeribilità degli alimenti e la loro conservabilità, in arte e gli Chef stellati che popolano i Media, ricordano per notorietà, i gladiatori dell’antica Roma.

Per concludere, il cibo della Società odierna viene investito di valori e di significati slegati dalla mera nutrizione, che hanno fondamento in complessi e contradditori processi sociali, culturali ed economici, che a volte tendiamo a descrivere con vecchi termini ereditati da periodi del passato, ma che in realtà andrebbero analizzati ed etichettati con le nuove parole e le nuove tendenze, che considerano cibo e cucina  da punti di vista differenti .