Sarebbe bello e fin troppo ottimistico riuscire a tracciare una linea di separazione netta tra quanto di psichico sia fisiologico e quanto sia patologico.
E’ sicuramente più semplice riuscire a farlo nei casi di patologie conclamate o individuate all’esordio, ma un approccio multidisciplinare non può non tenere conto delle diverse fasce di età di cui vogliamo parlare.
A cominciare dall’infanzia, o, ancora prima, nel periodo prenatale, ci sono fattori stressanti che possono determinare “scossoni” psichici, ma questo, se da un lato può essere un fattore scatenante, dall’altro, non necessariamente si traduce nella possibilità di una patologia, nel presente o nel futuro del bambino. Hanno di sicuro un grande peso le famiglie conflittuali, in cui i genitori decidono di restare insieme per il “bene” dei figli, ma intanto continuano a fare assistere i figli stessi, vittime innocenti, ai loro litigi.
O le famiglie in cui i coniugi addivengano alla decisione di una separazione, ma essa, se comprensibilmente il più delle volte non è pacifica per i genitori, non si capisce perché, per una qualche ragione recondita, le colpe dei “padri” debbano ricadere sui figli, che diventano uno strumento nelle mani di uno dei genitori contro l’altro, o uno strumento nelle mani di entrambi.
Si tratta, in ogni caso, di eventi traumatici ai quali la psicologia deve prestare attenzione, perché di per sé, il bambino è un individuo fragile e manipolabile, anche se non sempre predisposto a patologie.
L’età adolescenziale, successivamente, è anche una fase particolare nella vita di ognuno di noi: densa di conflitti, di contraddizioni, di silenzi che pesano come macigni nei rapporti parentali. Rappresenta l’età delle prime scoperte, quella del gruppo dei pari, al quale bisogna uniformarsi, per non esserne esclusi e questo comporta l’allontanamento, spesso brusco e non pronto, dalle figure genitoriali che, purtroppo, e non per disattenzione loro, ma perché il clima societario odierno è questo, sono spesso le ultime a venire a conoscenza di conflitti o problematiche nei figli. E’ diventato difficile, anche per i genitori dalla mentalità aperta, riuscire a raccogliere le confidenze dei figli, dalle quali si potrebbero fornire consigli “saggi” e corretti, mentre è molto più semplice chiedere consiglio all’amico o all’amica, che spesso ne sa ancora meno o che, su un certo argomento ha informazioni distorte. I consigli, il più delle volte, vengono dispensati via chat, creando l’ulteriore confusione derivante da un messaggio spesso mal interpretato. O vengono cercati in modo raffazzonato su internet non sapendo bene cosa cercare ed incappando in siti che più che consigli, dispensano idee mortifere.
L’adolescente è disorientato di per sé, la nostra è quella che Umberto Galimberti definisce “età del nichilismo”: i giovani non credono più in nulla, il futuro non è visto come denso di promesse, il passato come esempio da ricordare ( e non da dimenticare) ed il presente come spinta propulsiva al domani. Il giovane vive nell’ “hic ed nunc” e per scacciare via dalla propria psiche l’idea di un futuro inesistente, è costretto ad esperire ciò che è drogastico: videogiochi, alcool, sostanze: meglio non pensare oggi a ciò che non potrà essere domani.
L’adolescenza dovrebbe essere un periodo della vita di cui noi adulti abbiamo il dovere di prenderci cura, prima ancora che ci sia bisogno di una “cura” vera e propria, che, comunque, potrebbe rendersi necessaria, anche in un’età, come è giusto che sia, si tende ad evitare una diagnosi troppo precoce per non fornire già noi curanti uno stigma. Ci penserà poi un futuro impietoso a stigmatizzare.
In un’epoca in cui solo recentemente stanno sorgendo le linee di abbigliamento per donne dalle “curve morbide”, il prototipo di bellezza femminile rimane quello androgino ( e quello maschile sempre più femminilizzato, in un continuo scambio e confusione di ruoli), senza seni, senza fianchi, con i volti scavati e gli arti ridotti all’osso. E bisogna essere così, tutte uguali. I mass media sono diventati, ma già da tempo, una istigazione alla patologia anoressica, perché non può essere fisiologico avere tutte dei corpi magri, ma per chi non è stato dotato di un corpo magro, è necessario arrivarci, a qualunque costo, anche con il digiuno, che un tempo conduceva le sante all’espiazione dei peccati ed oggi conduce al non essere visibili. Essere visibili fa male, se non posso avere un ruolo in questa società asservita al nulla.
Non è possibile, e lo sappiamo dai tempi più antichi, ce lo ha insegnato Platone, separare il Soma dal Sema, il corpo dall’anima, laddove il corpo è segno dell’anima, ma anche sua tomba, se non con la morte del corpo, da cui liberarsi il prima possibile: è come se le nostre ragazze affette da disturbi alimentari, avessero preso alla lettera l’insegnamento: liberarsi il prima possibile da un corpo che ingombra, anche quando non ingombra oggettivamente.
Ma la Medicina e la Filosofia ci insegnano che corpo ed anima procedono di pari passo: una malattia od un disagio psichico ha le sue ripercussioni sul corpo e viceversa. E’ bene che da curanti, ce lo ricordiamo sempre: trascurare l’uno per dare la precedenza all’altra ( o viceversa) non può essere foriero di una guarigione completa. Fisiologicamente, rimanendo in ambito corporeo, organi ed apparati che hanno funzioni diverse e sono situati in regioni anatomiche distinte, in realtà sono collegati sempre tra di loro: a partire dai casi più lievi di patologie, che, seppur non gravi, affliggano un organo, ma coinvolgano anche altri, fino ai terribili processi metastatici che avvengono anche a distanza.
E quando sia stata formulata una diagnosi?
Formulare una diagnosi non basta: i trattamenti terapeutici vanno personalizzati sul singolo individuo e non solo seguendo pedissequamente criteri diagnostici.
Cerchiamo di non dimenticare mai che la resilienza è una proprietà dei metalli e che non sempre può essere data per scontata nelle fragilità umane.