Non occorre essere marxisti per considerare con attenzione l’analisi di Guj Debord, infatti, io non lo sono e non lo sono neppure mai stato. Lo scrittore filosofo francese nel 1967 pubblicò “La società dello spettacolo” in cui la moderna società delle “immagini” avanza inesorabilmente. Sono gli stessi anni in cui si afferma, nello scenario occidentale dell’arte, la pop art di cui Andy Warhol, con le sue serializzazioni, mette in mostra la società consumistica con un distacco totale dal contenuto dell’opera: “Se volete sapere tutto su Andy Warhol, guardate solo la superficie dei miei dipinti, dei miei film e di me, eccomi là”. Debord nella sua lunga dissertazione afferma: “Lo spettacolo non è un insieme d’immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini” e “la realtà sorge nello spettacolo, e lo spettacolo è reale” e quindi “nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso.”

Nel 1994 il filosofo teorico della società aperta elabora un saggio, saggio Cattiva maestra televisione, in cui propone di istituire “una patente per fare la televisione”. Un’apparente volontà censoria dettata dai i suoi interessi verso le problematiche educative. Il filosofo attribuiva alla televisione la capacità di agire in maniera inconscia sul pubblico, imponendo modelli di riferimento e gusti individuali e spingendolo ad adeguarsi in modo passivo a certi standard di opinione e di comportamento.

Queste premesse mi sembrano essenziali per inquadrare il mio punto di vista: sull’oggi della scuola italiana, sulla Ministra Lucia Azzolina e più in generale sullo stato delle cose soprattutto italiane.

Sabato 16 maggio sono state pubblicate le Ordinanze concernenti “gli esami di Stato nel secondo ciclo d’istruzione” e “la valutazione finale degli alunni”.

L’iter legislativo, ma soprattutto mediatico, è stato lungo e contorto, con passi indietro e in avanti e anche in basso, in alto e di fianco. Un balletto spettacolare di dubbio gusto, sempre salutato da un’apparente coralità d’intenti, con dichiarate attenzioni agli studenti e un plauso, sistematico e ipocrita, ai docenti italiani: la comunità scolastica impegnata a sperimentare la didattica dell’emergenza racchiusa, magicamente, nell’ennesimo acronimo D.A.D. (didattica a distanza).

A fine aprile abbiamo saputo ufficialmente, ovviamente prima attraverso le fonti di stampa, che i Commissari sarebbero stati tutti interni e soltanto il Presidente esterno. Abbiamo inoltre appreso che l’esame non prevede più due prove scritte e un colloquio finale ma soltanto quest’ultimo; questo però lo abbiamo saputo da una conferenza stampa della Ministra e della sua Vice, avendo modo di leggere una bozza di Ordinanza.

Abbiamo poi saputo che la scadenza del “documento del 15 maggio” è ora prevista per il 30 maggio; sette giorni dopo avremmo dovuto depositare quel documento che caratterizza la storia scolastica di una classe quinta. E cosa certifica questo elaborato che i docenti di una classe stilano insieme? Formalmente è un insieme d’informazioni che raccoglie/racconta le esperienze della classe: dai programmi ai viaggi d’istruzione; dalle visite didattiche a quelle aziendali; dagli elementi di trasversalità disciplinare ai progetti e/o prodotti partecipando a concorsi e/o a collaborazioni con il mondo esterno fino agli stage e a quel corollario legato agli approfondimenti professionalizzanti, questo soprattutto negli ambiti scolastici tecnici e professionali. Qual è la sua utilità? Era il tramite manoscritto tra i docenti della scuola e i componenti coinvolti nell’esame finale, letto e discusso nella riunione plenaria d’insediamento della Commissione per consentire a tutti di avere un quadro chiaro della situazione in cui si opera.

Veniamo a sapere che il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione (CSPI), istituito nel 1997 a garanzia dell’unitarietà del sistema nazionale (supporto tecnico-scientifico per l’esercizio delle funzioni di governo nelle materie di sua competenza) deve valutare la bozza dell’Ordinanza e mercoledì 13 maggio viene reso pubblico. L’analisi puntuale del CSPI sia sull’Esame di Stato sia sull’avvio del prossimo scolastico esprime molto chiaramente un parere che, soprattutto per quanto riguarda l’Esame di Stato, smantella pesantemente la struttura formale e sostanziale del Colloquio finale. Alcuni passaggi di un’evidenza straordinaria:

  • “Il CSPI sottolinea la scansione eccessivamente rigida del colloquio ed evidenzia che la procedura di trasmissione da parte dello studente di un elaborato scritto concernente le discipline d’indirizzo, prevista dall’art.17 dell’Ordinanza, sia incongruente rispetto a quanto previsto dal decreto legge che dispone l’eliminazione delle prove scritte sostituendole con un unico colloquio”.

La formula rigida prevista nella bozza è giustamente messa in discussione, anche alla luce delle linee d’indirizzo proprie dell’esame conclusivo che non deve e non può mai essere una sommatoria d’interrogazioni disciplinari. Inoltre il Consiglio afferma:

  • “Si ritiene pertanto che, ai fini della valorizzazione delle discipline d’indirizzo, il docente della disciplina già indicata per lo svolgimento della seconda prova scritta assegni a ciascun candidato, entro il termine delle lezioni, la discussione di un argomento (o analisi di problemi, progetto, ecc.) da svolgere durante il colloquio per dimostrare le conoscenze e le competenze acquisite. Tenuto conto della composizione della commissione con soli docenti appartenenti al consiglio di classe, si ritiene non necessaria la trasmissione preliminare di un elaborato scritto sull’argomento. Relativamente agli argomenti previsti dall’art.17, comma 1, e lettere c), d) e), si ritiene che debba essere eliminata la sequenza con cui vengono presentati e che si possa ricomprenderli in un unico momento di discussione”.

“In relazione ai criteri di valutazione del colloquio, l’art.17 dell’ordinanza prevede che la Commissione assegni fino ad un massimo di quaranta punti, tenendo a riferimento indicatori, livelli, descrittori e punteggi indicati in una griglia nazionale allegata all’ordinanza. Il CSPI, oltre a porre l’accento che nelle sessioni degli esami di stato degli anni precedenti non è mai stata elaborata una griglia di valutazione nazionale per il colloquio” “chiede pertanto di eliminare la griglia di valutazione nazionale allegata all’ordinanza e dare alle singole commissioni la possibilità di elaborare criteri di valutazione del colloquio coerenti con l’effettiva situazione della classe oppure, in subordine, si chiede di modificare la griglia, eliminando i singoli punteggi, per dare la possibilità a ciascuna commissione di calibrare valori ed intervalli, rendendo la valutazione del colloquio coerente alla situazione descritta”. Tutto ciò è stato accolto soltanto parzialmente nell’Ordinanza definitiva ritenendo che la prassi proposta richiederebbe una “valutazione attraverso un giudizio articolato” che “per essere davvero fondato e condiviso, implicherebbe un’attività di studio e confronto da parte degli organi collegiali che non potrebbe che richiedere tempi distesi, in ragione della necessità di individuare criteri, livelli, indicatori e descrittori per ciascuna delle discipline, di illustrarli compiutamente alle famiglie”. Da una parte l’autonomia dell’insegnamento, in questo periodo emergenziale, è stata l’unica modalità praticabile che ha assicurato la libertà d’insegnamento prevista costituzionalmente, infatti, il Ministero, non ha mai emanato direttive prescrittive ma entra a gambe tese nell’esame per assicurare una supposta omogeneità nazionale.

Tralascio altri dettagli importanti, sicuramente d’interesse troppo particolare, per essere affrontati in un semplice articolo ma occorre chiudere il cerchio, come si usa dire.

Ci siamo lasciati il 29 aprile e da allora l’esperienza didattico/relazionale non è mutata. Abbiamo imparato sicuramente ad affinare i tempi e a trovare nuove formule che consentissero, a studenti e docenti, di condividere questa dimensione particolare. L’effetto sortito dalle dichiarazioni iniziali della nostra Ministra presenzialista, il tutti promossi, ha foraggiato lo spirito dei latitanti che, in varie forme e modalità, si sono presentati sul campo scolastico virtuale riapparendo. I volenterosi hanno continuato a esserci, soprattutto quelli con cui la relazione umana/scolastica era già solida. Il succedersi d’informazioni confuse e contradditorie non ci ha certo aiutato in quel dialogo umano e quindi anche educativo. L’incertezza costante non ci ha consentito di esprimere chiarezza e, se vogliamo, questo aiuterà i nostri giovani a comprendere le disarmonie del bel paese. Il presenzialismo dell’Azzolina e della sua vice Anna Ascani, anche lei con improvvide dichiarazioni, ha costellato questo tempo di una dimensione in cui l’assenza della presenza diviene una costante, non già di una discussione sul vuoto (fisico o spirituale) bensì di una prassi che, sempre Andy Warhol sintetizzò in quei 15 minuti di celebrità, peraltro appropriandosi di una dichiarazione del fotografo Nat Finkelstein, e anche questo plagio dice molte cose sul nostro tempo. Un tempo fragile e complesso che mi ha fatto comprendere pienamente un lavoro dell’artista padovano Maurizio Cattelan che, con la sua geniale ironia, nel 1994 nota bene, fece realizzare Bel Paese, esposto da quell’anno all’ingresso del Museo d’arte contemporanea-Castello di Rivoli: un tappeto su cui è stampato il noto formaggio italiano. Emblematico e ironico di un’arte da vivere: pulirsi le scarpe sullo zerbino italico.