Max Ascoli, ferrarese emigrato a New York al tempo delle leggi razziali ( 1898-1978 ); Bruno Zevi, romano e storico dell’architettura come scienza della quarta dimensione nelle arti visive, a partire dagli studi sulla addizione erculea di Biagio Rossetti a Ferrara ( 1918-2000 ); Carlo Ludovico Ragghianti, lucchese e normalista a Pisa, teorico del “Tempo sul Tempo”, dalle ricerche sul cinema e “Cinematografo rigoroso” apparse sulla “Critica” di Benedetto Croce nel 1933 alla poderosa sintesi in tre volumi einaudiani delle “Arti della visione” ( 1910-1987 ); Giorgio Bassani, anch’egli ferrarese per eccellenza e autore del “Giardino dei Finzi Contini”, che innalzò l’ebraismo familiare verso la orgogliosa rivendicazione della “religione della libertà” e l’impegno etico-politico della “Italia da salvare” ( 1916-2000 ); finalmente, l’amico genio nel filosofare Rosario Assunto, di Caltanissetta, poi passato a Urbino e Roma ( 1915-1994 ), che della categoria ideale del “Tempo” fece la propria insegna estetica e insieme la chiave filosofica per la interpretazione del mondo medioevale, barocco, idealistico e paesaggistico: – sono questi gli autori che, in rapida sintesi di caratterizzazione nella “storia delle idee”, possono a ragione definirsi, e così raccogliersi, come la “generazione italiana” del tempo vissuto. Sono, infatti, codesti, gli anni tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento del secolo scorso. Sono gli anni dell’ ammirata ricezione di Bergson ed Einstein, da Materia e Memoria per il primo alla tematizzazione della teoria della relatività ristretta e generale ( 1905-1915 ), per il secondo; di Marcel Proust, con la sua smagliante e inesausta Recherche ( “Marcel Proust, il mio autore”, con Agostino e Plotino, Kant e Schelling, Carabellese e Croce: soleva dire Rosario Assunto ), e del boemo, viaggiatore instancabile nelle dimensioni del tempo e dello spazio, Rainer Maria Rilke, non per nulla finemente postillato da Martin Heidegger lungo i proprii Holzwege  ( da Perché i poeti ? del 1926 alla rilettura dell’Ottava Elegia di Duino ).

“Genio è colui che lavoro col tempo sul tempo”, acclarava Max Ascoli già in uno scritto giovanile sulla “Terra” del 1917. Mentre Bruno Zevi chiariva, tra l’altro: “La lotta tra tempo e spazio è lotta tra libertà e costrizione, tra inventivitàe accademia, in termini linguistici tra ‘paroles’ e ‘langue’, in termini psicoanalitici tra io e super-io, in termini sociali tra struttura e sovrastruttura” ( Ebraismo e concezione spazio-temporale dell’arte, in Pensiero einsteiniano e architettura, alle pp. 315-325 dei Pretesti di critica architettonica, Einaudi, Torino 1983 ). Da parte sua, il Ragghianti dèdica a Giambattista Vico e ai suoi “mani” L’uomo cosciente. Arte e conoscenza nella paleostoria ( Calderini, Bologna 1983 ). Gli “autori” si “affratellano”, così, nella reciproca e vicendevole comunicazione: tanto lo Zevi che il Ragghianti citano il robusto e maieutico lavoro filosofico dell’Assunto; e l’Assunto conosce e segnala i percorsi degli estetologi e maestri di critica d’arte. Assunto recensisce sulla nuova “Italia che scrive” le poesie di Giorgio Bassani ( 1946 ); e innalza la dimensione memoriale del di lui Giardino a “voce” non perenta della instancabile ricerca sulla Filosofia del Giardino – Filosofia nel Giardino, sino ai vertici iconici e filosofici, ideal-reali, de Il paesaggio e l’estetica ( Giannini, Napoli 1973 ). Bassani, dalla scuola ferrarese di Vignatagliata all’impegno “azionistico” e “civile”, si dichiara, e conferma, entusiasticamente, “allievo” e “sodàle” di Carlo Ludovico Ragghianti e Benedetto Croce. Bassani, di più, oscilla tra ammirazione inesausta e profonda di Proust e storicistiche riserve – in quanto personalmente sofferte –, a proposito della letteraria compiacenza verso le di lui “intermittenze del cuore”, da redimersi piuttosto nella teoria della “contemporaneità della storia”, in quanto nascente dall’ avvertimento di un “problema”, sempre attualmente elaborato e vissuto ( l’isolamento e le persecuzioni del ’38 ).

Decenni dopo, negli anni Settanta del secolo scorso, per parte mia, intervenni con la creazione, o ri-creazione, dell’assioma: “L’arte tanto intuisce quanto prospetta”, inoltramento del basilare “L’arte tanto intuisce quanto esprime”, dedotto nella prima Estetica di Croce ( 1900-1902 ), e via via approfondito per dilatazioni interne come: “Esprime un sentimento” ( “Liricità dell’arte”, del 1908 ), e un “sentimento cosmico” ( “Cosmicità dell’arte”, 1917 ), e perciò “eticamente redento” ( “Moralità dell’arte”, del 1926 ), epperò ancora indizio di “dialettica delle passioni” ( Alfredo Parente, 1953 ), quindi ineludibilmente aggettantesi nella “prospettiva”, nella “temporalità – temporalizzazione dell’arte” ( Lettura di Benedetto Croce: “Il mondo va verso..”, in “Rivista di studi crociani”, Premio Spinedi, 1976/1, pp. 1-30; poi in “Non fu sì forte il padre”. Letture e interpreti di Croce, Galatina 1978, pp. 1-56 ).

 La mia interpretazione piacque al Bassani, a Ragghianti, Assunto, Raffaello Franchini, Vittorio Stella, a Parente e a Vincenzo Terenzio, Savino Blasucci, Pietro Addante, Francesco Adorno, Luigi Pareyson, Ambrogio Giacomo Manno, Antonio Verri, Beniamino Vizzini, Fulvio Janovitz, Giovanni Spadolini, Pier Franco Quaglieni, Lanfranco Orsini, Francesco Compagna, Francesco Desiderio, Antonio Jannazzo, Giuseppe Papponetti, Davide Conrieri, Renata Gradi, Clementina Gily Reda, Alain Pons gran traduttore e studioso di Vico in lingua franca, al biologo umanista Erwin Chargaff,  ammiratore della filosofia italiana, e altri. Così, oso riproporla, non per ostentazione personale, ma come emblema e sigillo di tutto un percorso intellettuale, estetico, filosofico e metodologico ( con il supporto etico-politico ad esso intrinseco) che nel presente saggio si ricompone, a guisa di ‘capitolo’ della più recente storia del pensiero filosofico italiano.

La “generazione italiana del tempo”: fino a noi, “ultimogeniti della modernità”, direbbe Heidegger. Mio ideale ermeneutico si fonda nella “ricomposizione”, con e oltre la “urbanizzazione” del tempo e dell’ermeneutica esistenziale ( sapientemente perseguita dal Gadamer di Verità e metodo ); “ricomposizione” che si allaccia a prove, o tentativi, di “inoltramento”-”prosecuzione”.

Qui, il fulcro teoretico ri-diventa il concetto aristotelico della “catarsi” nel dramma: la stessa “ineludibile catarsi”, che Bassani cita in ripetute interviste, sulle tracce dell’amato drammaturgo francese Racine, pure alternando la ammirazione per Proust con la più asciutta adesione al canone crociano della ideale “contemporaneità della storia” ( da Teoria e storia della storiografia del 1915-1917 alla fondamentale Storia come pensiero e come azione, àncora di “salvezza” del 1938 ! ).

Perché, infatti, la “catarsi”, “purificazione” delle passioni di “pietà e terrore” ( indagata in sempre valide prospezioni da Nicola Festa, Manara Valgimigli e dal torinese Augusto Rostagni, sulla Poetica ), per essere tale, deve essere “conquistata nel tempo”, deve assurgere a “momento culminante” nel dramma, in qualunque dramma, non solo epico e teatrale, ma anche filmico, cinetico, narrativo, architettonico e poietico in generale ( qui si inserisce il genio sollecitatore di Bruno Zevi e Carlo Ludovico Ragghianti ). E, assurgendo a “momento culminante” nel dramma ( vedasi lo studio del Campbell 1898 sulla stessa Poetica ), la “catarsi” si disvela cifra della mediazione tra “dialettica” e “prospettiva”: dialettica di passioni opposte o complementari ( pietà e timore, cautela e ardimento, speranza e disperazione, gioia e dolore, piacere e dispiacere, affanno e riscatto nell’opera ) per un verso ; – “prospettiva”, “slancio verso..”, “simultaneità” dopo la “successione” in seno alla “permanenza”, per l’altro ( da Kant 1781 alla fenomenologia del tempo vissuto di Eugène Minkowski: cfr. i miei Sul testo e la fortuna della ‘Poetica’. Note di critica aristotelica, SPES, Milazzo 1984 e Tempo e Libertà, Lacaita, Manduria, sempre dell’ 84 ).

Ma se l’arte “rivela” e “ritrae” la drammaticità del reale – trasposta nella propria e intrinseca “drammaticità” temporale ( diceva anche il triestino filosofo delle idee Carlo Antoni, in Tempo e Idee ) -; codesta ermeneutica riconduce al rapporto tra teoria e prassi, all’origine “maieutica” dell’azione, al “colpo d’occhio” di orientamento verso il mondo, di “cangiamento del mondo “ ( innesto di cui resto debitore alla Teoria della previsione di Raffaello Franchini ). Senza dire degli inoltramenti verso la filosofia della natura, la teoria fisica e la cosmologia, la cui rinnovata disamina – sia pure per excerpta essenziali – esula dall’àmbito delle presenti note ( anche se, a giustificazione dell’accenno, vale la “svolta” impressa dal pensiero einsteiniano, configurantesi come paradigma per le prospezioni estetiche e teoretiche dei pensatori recuperati nella “cornice” della sintesi ).

Perciò ritorno brevemente sul tema del “tempo”, e relativo “modello” epistemologico, visuuto consapevolmente, se pure con alterna vicenda, in uno degli autori o “classici”, or ora citati: Giorgio Bassani. “Modello Proust”, o “Modello Croce” ? Ecco il nuovo aspetto e angolo visuale della questione.

Bassani ha detto in interviste e dichiarazioni varie al giornalista sardo Fìgari e altri letterati che la sua “memoria”, “tragica”, è ben altra cosa dalla poetica della madeleine e delle “intermottenze del cuore” in Proust. Ma, in altri luoghi autobiografici e autocritici, confessa insieme che negli anni di formazione non ha letto se non la affascinante e coinvolgente, pluriprospettica, Recherche.Ritengo che abbia, con siffatta dilemmaticità, rilevato, e contribuito a svelare, la profondità “archetipale” del richiamo proustiano sul tempo. Ha ‘detto’, e ‘non detto’, simultaneamente.- Come avrebbe potuto, in quegli anni, “resistere” ( per così dire ) “a Proust”, proprio lui, gran francesista e dotto estetologo, cresciuto alla scuola di Roberto Longhi ed in contatto sia estetico che etico-politico con il citato Ragghianti ?

 In effetti, come spesso accade per gli autori, a proposito della propria “poetica” ( ovvero, per la coscienza critica del fare poetico ), le dichiarazioni rese dagli stessi vanno assunte nell’orizzonte della “interpretazione” ( mònito espresso non pur una volta dal Croce, come a proposito del giudizio di Petrarca sull’ Africa, ritenuta superiore ai fini del conseguimento della fama, rispetto ai Rerum vulgarium fragmenta, ossia al “Canzoniere” propriamente detto ).

Ma la profondità “archetipale” della ricezione di Proust in Bassani sul “tempo” ha un duplice, importante ed essenziale risvolto: estetico-ermeneutico il primo; storicamente tragico, il secondo. L’uno ha cercato di “abbassare”, “celare”, l’altro. La sinergia dei due tentativi di “dimenticanza”, come spiega il fascino della intensa e complessa operazione bassaniana, così impegna ermeneuticamente la futura ricerca. “L’ineffabile – dice ancora Bassani – è la radice del mio idealismo”. Quando il cugino e poeta Gianfranco Rossi gli dèdica in dono la Albertine desparue di Proust, lo stesso “R.” scrive: “A Giacomo Marchi / la corona dei giorni / splendidi è infranta / pur se lucerna incanta / il sentiero  ai ritorni” ( prima edizione francese del volume proustiano, custodita nella Biblioteca Bassani di Codigoro ). Successivamente, il titolo della parte della sinfonia proustiana cangiò in La Fuggitiva. Giacomo Marchi è lo pseudonimo adottato da Bassani per il romanzo giovanile Una città di pianura  Ma la “Albertina” è, anzitutto, Albertine Simonet  di Proust.  Albertina – scrive Proust in pagine assai belle – “era stata soltanto in me un fascio dei miei pensieri”: “chiusa in fondo a me stesso, come nei Piombi di una Venezia interiore, i cui cancelli arrugginiti erano talora sospinti da qualche inatteso incidente, fino a schiudermi un’apertura su quel passato” ( cfr. la pag 239 della versione italiana della Mariolina Bongiovanni Bertini, per la edizione Einaudi della Ricerca del tempo perduto ). Proust era stato allora a Venezia, del cui paesaggio recupera l’assimilazione psicologica e memoriale nel narrare l’immenso amore-dolore, non confessato, per Albertine. E Bassani prosegue, rielabora, fonde, ri-crea: anche per lui ( che non vorrà mai “scoprire” la vera identità di Micòl Finzi Contini ), “Albertina è chiusa in fondo a sé stesso”, ‘come in una carcere della Ferrara interiore’, “i cui cancelli arrugginiti erano talora sospinti da qualche inatteso incidente’, “fino a chiudermi un’apertura su quel passato” ( i cancelli chiudevano l’ingresso al ghetto ebraico di Ferrara, al principio della via Mazzini ). ‘Anch’io, anche noi – deve aver detto Bassani – abbiamo i cancelli, nei Piombi della nostra città interiore! ‘ Sì che per Bassani, dal punto di vista dell’ermeneutica esistenziale, Marcel Proust rappresentava al tempo stesso la guarigione nella malattia e la malattia nella guarigione: guarigione dacché il dolore veniva redento nella poesia; ma persistenza della malattia, in quanto il dolore restava nella storia. – L’archetipo dei “Piombi della Venezia interiore” ben si addiceva al proprio lavoro di occultamento-disoccultamento del “passato”, Mnemosyne e Lesmosyne, insieme per “qualche inatteso incidente”. Qui risiede il potente risvolto ermeneutico dell’incontro Bassani-Proust sul ‘tempo’: tale da richiamare immediatamente l’ ‘archetipo’; il ‘vivente originario’ (Schelling); il ‘regno delle madri’ (Goethe); la ‘vitalità’ (Croce); la ‘razòn vital’ (Ortega y Gasset); la ‘Lebenswelt’ (di Husserl); la ‘Erlebnis’ (in Dilthey); il montaliano ‘Delta’; le ‘sorgenti della vita’ zampillanti nell’opera d’arte del Simmel, autore de Il conflitto della civiltà moderna; le ‘segrete ragioni dell’essere’ di Carlo Emilio Gadda ( guardando il tema archetipale nell’arco della filosofia moderna e contemporanea ) .

Ma l’approccio ermeneutico discopre il secondo momento, nel risvolto storico: “Albertina” è stata, anche e primamente, la Albertina Magrini Bassani, deportata da Ferrara in Germania dell’ottobre del 1943, la cui memoria è tuttora incisa nella lapide della Sinagoga di Ferrara, affissa alla via Mazzini. Bassani ha fuso le due “Albertine”: la poetica e la storica, la struggente immagine sognata da Proust e la reale presenza-assenza della cugina ferrarese, nel mito di Micòl, senza dircelo ma lasciandoci le tessere di ‘riconoscimento’, di tragico “anagnorisis” ( secondo i canoni della poetica di Aristotele ). E dunque, il cantore di Ferrara è debitore, insieme, verso la poetica della memoria involontaria di Proust, alla stessa stregua che verso la religione della libertà e le radici etiche dello storicismo di Croce ( sia consentito rinviare ai miei “Il caro, il dolce, il ‘pio’ passato”. Bassani e la memoria, Laterza, Bari 2010; Tempo e anima nel pensiero poetante di Giorgio Bassani, in Il vivente originario, con Prefazione di Franco Bosio, Libertates, Milano 2013, pp. 147-153; Bassani storicista e francesista ( tra Croce e Proust, per tacer d’altri), in Tempo e Idee. ‘Sapienza dei secoli’ e reinterpretazioni, con Prefazione di Franco Bosio e Postfazione di Beniamino Vizzini, Libertates, Milano 2015, pp. 43-48; “Te Lucis Ante”. Momigliano e Bassani interpreti della poesia di Dante, in I conti con il male. Ontologia e gnoseologia del male, Laterza, Bari 2015, pp. 189-205 della Parte seconda, “Lotta contro i démoni”).

A codeste considerazioni riassuntive ha condotto l’esame di alcuni dei poeti e pensatori del secolo scorso, tali da costituire – per motivi affettivi e storici quanto estetici o teoretici – una costellazione unitaria della riflessione sul “tempo”, ricorrendo la memoria di Rosario Assunto e l’anniversario del Bassani cantore di Ferrara.

Giuseppe Brescia – Società di Storia Patria per la Puglia