Secondo i padri della medicina, tra i primi doveri del medico, oltre al “ medice, cura te ipsum”, c’è quello di ascoltare la voce di chi soffre. Nel piccolo Ospedale zonale di Pietrasanta, ora inglobato nel grande Ospedale della Versilia, io ho mosso i miei primi passi sanitari. Ricordo il dottor Pardini, emblema della pediatria locale, primario schivo amatissimo e sempre sorridente. Lui mi diceva sempre di accarezzare il malato, non in senso metaforico ma reale. Di accarezzarlo molto anche con le parole, con il tono della voce, un dono per lui e per chi lo assiste.
Anche in questi tempi problematici, ( ma quale tempo non è stato difficile in diversa misura o in diversi campi?) i medici non hanno perso l’ideale. Io ne sono convinta. Sono stravolti dalla burocrazia contemporanea, questo sì. Ma credo che ogni persona che si sia avvicinata allo studio della Medicina per farne una professione sia partita da questo presupposto: chi ci starà di fronte, chi chiederà una cura porterà in sé un microcosmo unico di materia ed energia mentale, cuore reale e cuore simbolico si affideranno a noi in virtù del primo istinto, la sopravvivenza. Scacciare il dolore, ecco cosa dobbiamo fare. Oltre al piano terapeutico ufficiale, l’etica della professione invita dunque al “ supplemento dell’anima” di Bergson.
La comunicazione è alla base di ogni rapporto umano. Tracciamo insieme un fil rouge ideale: predisposizione naturale, studio, approfondimento, dialogo. Poi di nuovo studio, concentrazione, ascolto, silenzi, crescita, arte e dedizione, competenza e solidarietà. Poi di nuovo studio, osservazione, mani, esperienza, aggiornamento, rispetto, profondità, intraprendenza, coraggio e fantasia. Si arriva così alla Catarsi più pura. L’osmosi è possibile, infatti è avvenuta fin dalla notte dei tempi; Medicina e letteratura si sposano e si compenetrano per un’ attrazione naturale e istintiva.
“...Ma soprattutto egli era medico, un edepto della natura, un conoscitore del solido e del liquido, una mano benefica che donava pace a tutti coloro che si torcevano nel dolore. Inoltre era un calamo nella mano di Dio, uno scrittore di sapienza, queste due cose nello stesso tempo, non oggi medico e domani scrittore, ma questo in quello e l’uno insieme con l’altro, e bisogna sottolineare ciò, perché, a parer mio è di grandissima importanza. Medicina e letteratura s’illuminano vantaggiosamente a vicenda e, se vanno di pari passo, ognuna va meglio. Un medico, animato dalla sapienza dello scrittore, sarà più saggio consolatore per i sofferenti; ma uno scrittore, che s’intende della vita e dei dolori del corpo, dei suoi umori e delle sue forze, dei suoi veleni e delle sue virtù, avrà un grande vantaggio su colui che di ciò non sa nulla. Imhotep, il saggio, era medico Scrittore, un uomo divino: bisognerebbe bruciargli incenso.”
Thomas Mann, Giuseppe il nutritore ( Cap. 1°)
Pochi sono gli Imhotep (medico e architetto “divino” dell’antico Egitto) che la storia ci tramanda. Molti, moltissimi sono però i grandi Medici-Scrittori di cui abbiamo memoria e parlare di tutti è impossibile, farne un lunghissimo sterile elenco disadorno sarebbe limitativo e rischierei di dimenticare qualcuno. Traccio solo una traiettoria ideale, parte dal medico dell’antica Roma Aulo Cornelio Celso e poi gira il mondo, da Rabelais a Céline, a Cechov, Federico Schiller, Cronin, Aldo Spallicci, Carlo Levi, Mario Tobino, Khaled Hosseini…In ogni parte del mondo, in ogni tempo. Un motivo ci sarà. Ancora oggi molti medici si dedicano alla letteratura.
Senz’altro è troppo dire, con Thomas Mann, che il medico scrittore è un uomo ( o donna) divino, ma almeno dobbiamo far nostro l’insegnamento di Corrado Tumiati, primo direttore editoriale de “ la serpe” prestigiosa rivista dell’ Associazione Medici- Scrittori Italiani, (www.mediciscrittori.it) a proposito degli scopi della pubblicazione,“ Cerca di mantenere attraverso le nostre voci alto l’umanesimo nella nostra categoria, ché non leggano e scrivano i medici solo ricette.”( La serpe- Editoriale, 1952)
Si potrebbe obiettare che arte e scienza vivono rapporti problematici, la scienza si occupa di cose razionali, l’arte è frutto di immaginazione creativa. A chiarirci le idee interviene la filosofia, già Pitagora, sei secoli prima di Cristo, aveva sostenuto l’esistenza di un principio universale che va al di là dei dati conoscitivi, un ritmo matematico- musicale. Lucrezio nel “de rerum natura” trasforma in poesia la teoria di Democrito sulla costituzione della cose. Anche Cartesio si occuperà del problema, pur asserendone il dualismo ( res extensa e res cogitans). I filosofi concordano su questo punto: l’attività razionale e quella creativa risiedono nel cervello dove sono recepiti i dati sensoriali.
Noi sappiamo che il nostro cervello è diviso in due emisferi, il sinistro deputato al linguaggio, all’analisi , il destro all’intuizione, alla fantasia, alla creatività…le due parti sono collegate e in stretto contatto. Le due metà, una dominante e una meno usata si… parlano. Insieme formano il volto segreto della mente. In questo interscambio risiede il grande mistero della creatività. Più lo si stimola, più funziona. E i medici sono grandi portatori di stimoli.
Dante nel celebre ventiquattresimo canto del Purgatorio scrive “ a quel modo che detta dentro vo significando”. L’artista dunque legge in se stesso, o meglio intuisce per barlumi questa dettatura. Il medico non farà forse lo stesso? L’arte, la letteratura, la poesia cercano di carpire il segreto delle cose.
La medicina non fa forse lo stesso?
Stimolare noi in primis, i nostri pazienti, i loro e i nostri familiari e amici con il piacere della scrittura e della lettura, di poesia narrativa o saggistica, ove possibile, vale come ansiolitico più di una dose massiccia di benzodiazepine, senza effetti collaterali. Fortunati i medici che sentono in sé e sanno cogliere come un dono l’ispirazione alla scrittura.