Ancora Umberto Eco; (1) Pietro Sisto; (2) ed Elena Filippi si rivolgono a Torquato Accetto, per attualizzarne i riflessi estetici e letterari o i profili antropologici. (3)

A proposito del libertino Saint-Savin, ravvisa Eco: “Dietro i personaggi che lo appassionano riconosci Cirano de Bergerac, Torquato Accetto con la sua ‘Dissimulazione onesta’, Ferrante Pallavicino. C’è La Rochefoucauld, e Bossuet”.

Da parte sua, Sisto coglie la ipotesi a proposito delle origini tranesi dell’importante poeta e moralista del Seicento ( ipotesi già formulata da Salvatore S. Nigro ) e dà ampia ragione dei meriti della ‘riesumazione’ crociana del 1928, nel primo anniversario della morte di Luigi Laterza, “uno dei più solerti e tenaci fautori della fortuna della casa editrice barese” ( ‘A Trani l’amore fu tenero e crudele’ ).

Nel ‘mare magnum’ della recente fortuna accettiana, la Filippi s’inoltra sul terreno della ermeneutica e della iconologia, per ritrovare la “prospettiva” nel celebre dipinto di Pieter Bruegel, ‘La caduta di Icaro’. “La dissimulazione dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo”, come sintetizza in esergo la studiosa il pensiero accettiano. La stessa studiosa vede codesto pensiero ( “L’industria della dissimulazione tanto potente tra le contraddizioni che spesse volte s’incontrano” ), non solo per la “funzione positiva nel campo della resistenza e dell’opposizione a un determinato ‘establishment’ ”, ma – altresì – come trasparente “consegna” affidata all’artista della “Caduta di Icaro”, in virtù di “quella piena autorità che l’uomo ha sopra se stesso quando tace a tempo e riserba pur a tempo quelle deliberazioni che domani saranno buone e oggi sono perniziose”, per dirla sempre con l’Accetto.

Dove notevole ci sembra soprattutto l’ampliamento del campo ermeneutico alla storia dell’arte, come ‘punto di vista’ per la nuova “Weltanschaaung” secentesca. “Giova riflettere che nessun uomo presente nella scena si rende conto di quanto sta accadendo. Soltanto ‘Perdix’, il ragazzo che per grazia divina ha subìto la trasformazione in uccello, osserva l’evento epocale. (..) Si diceva che il pittore si distanzia dal mito ovidiano, laddove presenta la caduta di Icaro al tramonto del sole, sottraendo così quest’ultimo dall’esserne la causa diretta. Ciò impone un interrogativo, che, sulla scorta di questa considerazione, appare quasi scontato: qual è la ragione della ‘Caduta di Icaro’ ? Se interpretiamo quest’ultima come un’allegoria della parabola di Anversa, quello che il pittore sembra suggerirci è una considerazione sul senso della storia e soprattutto sul tramonto. Anversa che ha brillato di luce riflessa sotto il sole del potente meriggio dell’umanesimo, al suo crepuscolo prende una direzione diametralmente opposta, scomparendo negli immoti flutti del tempo e della storia. Al centro del quadro essa lascia il posto a una luce diafana e innaturale, che non è la luce del sole, né un suo riflesso, e che simboleggia qualcosa di sinistro e di indistinto, privo per ora di qualunque connotato, destinato a prendere un giorno quel posto luminoso che fu della città della Schelda. E questo senza che alcuno abbia a notarlo. Sembra insomma che Bruegel anticipi, nella mestizia dell’incertezza, nella ‘angoscia autentica’ di fronte al nulla che campeggia al centro del quadro, quello che alla fine del secolo scorso Wilhelm Busch ebbe a dire.:.’Il mondo è come una brodaglia’ ..”

In questo ambito, sotterraneamente governato dall’angoscia, dal vuoto centralmente prospettico e senza sole, si situerebbe dunque ( per la Filippi ) la stessa tematica accettiana dell’arte della “dissimulazione onesta”. In-finità della interpretazione. Certo, la suggestione in senso estetico e iconologico resta ben parlante. Ma restiamo lontani dalla ermeneutica sempre finemente etico-religiosa che Croce stesso porgeva del gran tema e del suo grande teorico.

“Il suo breve scritto è la meditazione di un’anima, piena della luce e dell’amor del vero, che da questa stessa luce e da quest’amore trae il proposito ( proposito morale ) della cautela e della dissimulazione: parole che tuttavia suonano improprie al significato che assumono e volentieri le si sostituirebbe con quelle onde si esprime il tacere, il ritrarsi in sé, lo stornare la mente, il fissarla nella speranza, il persuadersi nella fiducia, e, insomma, il procurarsi conforto e rianimarsi di coraggio, e simili”, invitando ad “ a m a r e  questo dimenticato e oscuro napoletano di tre secoli fa, che, dimostrando e raccomandando la dissimulazione, dimostra e raccomanda la sincerità”.

“Meditazione di un’anima” e “immaginazione” estetica, all’interno del rapporto dialettico tra luce e ombra, s’incidono nella vicenda del “Fortleben” di Torquato Accetto, all’interno del più vasto campo delle dottrine estetiche secentesche (ad es. Caravaggio, Federico Barocci, Annibale e Ludovico Carracci, primi soggetti della critica ragghiantiana, sulle pagine della “Critica”del 1933 ).

Proprio quando l’Accetto congegna la raccolta delle sue “Rime”, e l’andriese Ettore Tesorieri de“La Penna Insensata”, quante volte già l’arte psicologica del “tacere” e del “ritrarsi in sé” ha dovuto essere esercitata !

Insistono alla mente alcuni esempi. Michelangelo Merisi ( 1573 -1610 ) passa da Sisto V al nuovo Papa, Paolo V Borghese, gran protettore del Tesorieri, come assetato di musica sacra. Ma Caravaggio stesso, dentro la appariscente intrattabilità e protervia, non aveva sempre ricercato la “concentrazione così tesa e uno stato d’animo così denso di religiosità” ?

“La sua luce, sulle nature morte, sui corpi veri, sugli occhi smarriti o spaventati delle figure umane, prende il soffio di uno sguardo soprannaturale, carico d’amore e di pietas” ( come ben dice Vincenzo Cerami, in “Caravaggio”, su “La Stampa-Tuttolibri”, n. 813, agosto 1992 ).

Per salvarsi dalle conseguenze di non voluti misfatti ( il 28 maggio 1626, con l’assassinio di Antonio da Bologna e del Tommasoni, a seguito del degenerare improvviso di un litigio a Campo Marzio ),  Caravaggio ripara a Malta, aspirando alla Croce di Cavaliere dell ‘Ordine, a mo’ di protezione. Quando la riceve, è però troppo tardi. Tratto in arresto a Napoli (all’Ordine di Malta appartennero -tra gli altri- membri della famiglia di Torquato Accetto ), in prigionia il Merisi ritrae “San Giovanni decollato”, “San Francesco in meditazione sulla morte”, il “Martirio di Sant’Orsola”, la “Crocifissione di Sant’Andrea”( Mentre, durante la fuga, ha dipinto la decollazione di Oloferne, esemplando l’autoritratto nella fronte spaccata; e a Messina, la grande e catartica “Resurrezione di Lazzaro” ). Per la febbre e  le infezioni procurategli nella cattura, “si spegne nel delirio, sotto il sole di luglio, a trentanove anni, su una spiaggia infuocata”. Ma con sé porta il San Giovanni Battista, promesso al Papa per residuo tentativo di riconciliazione. Dove la luce al volto del Santo viene  – si badi- dal fresco zampillare della sorgente a sinistra nel quadro, mentre il cielo è occluso, ottenebrato salvo che per un minimo velo, in alto. E “il giovane San Giovanni Battista è l’immagine della purezza adolescenziale di un uomo dal destino tragico” ( Vincenzo Cerami ).

La “dissimulazione onesta”, anche come “meditazione di un’anima” e “ritrarsi in se stessi”, certo.

E quando Tommaso Campanella, sotto il falso nome di don Giovanni Pizzuto, dopo ventisette anni di carcere in buia e stretta cella, esattamente il 5 luglio 1626 ( mentre esce a Foligno la “Penna insensata” del Tesorieri ) si reca nella Curia romana, chiamato dal Papa astrologo Urbano VIII, per assicurargli i rimedii contro infausti destini, grazie al suo “De siderali fato vitando”, – ebbene il frate domenicano non farà altro che raccomandare rituali e riservate prudenze nelle secrete stanze del Quirinale.

“Occorre anzitutto accostarsi a Dio quanto più possibile con le preghiere; è necessario poi chiudere ermeticamente la casa ( id est: il “ritrarsi in sé”), e per evitare ogni influsso negativo si spargeranno nell’aria aceto rosaceo e aromi gradevoli; si preparerà un fuoco con legni aromatici, quali il cipresso, l’alloro, il rosmarino e altri. Un punto importante riguarda l’adornamento interno della stanza fatto con panni bianchi di seta e rigogliosi rami d’alberi. In mezzo alla stanza si rappresenterà il sistema dei pianeti con due luminari e cinque fiaccole; nel cielo sarà l’eclisse ma saranno quelli i sostituti, così come di notte la lanterna prende il posto del sole (‘sicut in nocte  a b e u n t e   s o l e  lucerna eius vices supplet’).(4)

Qui il “senso del celeste” è figura del “ritrarsi in sé”, rimedio radicale ai mali, ricostruzione di volta stellata sistema planetario, nelle stanze del Vaticano ( magari con allusione alle future “percezioni del celeste”, conforto ai mali e tragedie storiche ).

E l’ “abeunte sole”, il sole che – straordinariamente – non c’è, risponde al “sole che non c’è”, al “vacuum” centrale, nella altrettanto “straordinaria” effigie della “Caduta di Icaro”, evocata da Pieter Bruegel.

Riassumendo i termini e motivi del percorso, essi risultano: la “luce” e “l’ombra”; il “vuoto”, nel silenzio del dramma; il “senso del celeste” e la “pietas”; lo ‘spaesamento’ ed il “ritrarsi in sé” dell’anima; la “dissimulazione onesta”e il riparo dai mali; la “dilazione” della sincerità, e la “delazione” dell’invida Curia, o Corte. I diversi temi, echi, afferenze sembrano riaddursi, poco per volta, a un fòco unitario. Così piantiamo altro alberello nella “ingens sylva”, pazientemente inaugurata da “l’uomo che piantava gli alberi”, ossia ( per dirla – anche a questo proposito – con il moderno apologo dell’amico dell’Italia, Jean Giono ) da Benedetto Croce.

Ne “L’isola del giorno prima”, da cui siam partiti, il signor di Salazar raccomanda a Roberto de la Grive: “ La saggezza, signor de la Grive. Il successo non ha più il colore del sole, ma cresce alla luce della luna, e nessuno ha mai detto che questo secondo luminare fosse sgradito al creatore di tutte le cose. Gesù stesso ha ponderato, nell’orto degli ulivi, di notte”. Gli è perché : “Se gli strali trafiggono il corpo, le parole possono trapassare l’anima” ( “L’arte della prudenza”. Capo 11 dell’edizione 1994 ).

Anche se poi, inevitabilmente, il discorso si complica, dal momento che lo stesso Salazar finisce per raccomandare, in linea con le dottrine dell’ “agudeza”, l’arte del “meravigliare” ( ma al fine di ottenere “successo” ), ovverossia la concettosità, il sapersi trarre d’impaccio con una “frase elegante” e l’ “usar la lingua con la leggerezza di una piuma”, per quel che attiene tutto il concerto dei temi del barocchismo.

Anyway, il ‘ponderar’ di notte di Gesù, la concentrazione dell’anima, il valore dell’autentico “dialeghesthai”, rendono ragione ancora una volta alla “dialettica delle passioni”, al momento desanctisiano del “va e vieni”, o al “segreto interiore dell’essere” ( per dirla con Carlo Emilio Gadda a proposito della lirica “Delta” di Eugenio Montale). E in effetto, la dialettica dell’anima, ritratta da Croce a proposito dell’Accetto, non è ‘psicologistica’, ma ‘catartica’ ( dal momento che conosce, in una forma di ‘climax’, il tacere, il ritrarsi, lo stornar dalla mente, la speranza, e la fiducia, il conforto e finalmente il coraggio). (5)

  • Cfr. “L’isola del giorno prima”, Bompiani 1994 e l’articolo-intervista “Onda su onda la storia ci ha portati fin qui”, in “Corriere della sera” di lunedì 3 ottobre 1994; con altri riferimenti  e riflessi dal “Tra menzogna e Ironia” al “Cimitero di Praga” del 2010.
  • Recensione alla edizione delle “Rime amorose” di Torquato Accetto, per le cure di S. S. Nigro, nei tipi Einaudi, Torino 1987, in “Gazzetta del Mezzogiorno” del 6 ottobre 1987.
  • Cfr. “Tra Scilla e Cariddi. Il giusto ‘mezzo’ nella ‘Caduta di Icaro’ di Pieter Bruegel, ne “Il Veltro”, XXXVII/5-6, settembre-dicembre 1993, pp. 491-496.
  • V. il bel saggio di Gianfranco Formichetti, “Le furie del papa astrologo”, con  “Guardati dai nati sotto l’influsso gramo dell’eclisse”, ne “Il Sole – Domenicale”, del 20 settembre 1992. Su Tommaso Campanella, all’interno della “Filosofia del giusto”, cfr. i miei “L’anima e l’Occidente”.III. Filosofia del giusto – Psicologia del profondo, Laterza, Bari 2001, pp. 34-38 e “Il sogno di Castorp e il progetto di Pico”, Bari 2003, pp. 59-85.
  • Sul piano generale, cfr. la mia “Antropologia come dialettica delle passioni e prospettiva”, voll. I-II, Bari 1999-2000; e, per Caravaggio e il momento “culminante” nella rilettura di “Resurrezione di Lazzaro” e altri capolavori, il Giorgio Bassani “continuato”, ne “Il caro, il dolce, il ‘pio’ passato”, Bari 2011.