La storia che mi accingo a raccontare, a quasi un secolo di distanza dal suo tragico epilogo, vide protagonisti due ragazzi italiani che, al pari di tanti giovani e meno giovani di inizio novecento, scelsero di andarsene dall’Italia, perché il loro paese d’origine, pieno di miseria e contraddizioni politiche, non era più in grado di offrirgli nessuna opportunità. Sbarcati entrambi nel Nuovo Mondo nel 1908, in un periodo nel quale l’ostilità verso gli stranieri, colpevoli di mettere in discussione l’ipocrita modus vivendi americano, era fin troppo manifesta, dopo le prime amare esperienze decisero di diventare anarchici, sposando interamente la causa di una delle frange più estremiste e violente dell’anarchismo di allora, che aveva per guida spirituale Luigi Galleani. Nato nel 1861 a Vercelli, dopo una rocambolesca giovinezza, trascorsa fra studi, agitazioni politiche e arresti, nel 1901, in fuga dall’esilio al quale era stato mandato dalle autorità italiane, riuscì a sbarcare negli Stati Uniti. Personaggio di grande ingegno, cultura, abilità oratoria e forte personalità, svolse un ruolo determinante e non certo positivo, nella triste vicenda giudiziaria di Nicola Sacco (Torremaggiore, 27 aprile 1891) e Bartolomeo Vanzetti (Villafalletto, 11 giugno 1888), la quale tuttavia non ha nulla a che vedere con il loro anarchismo, anche se da questo ne risulterà fortemente influenzata, visto che tutto iniziò con una rapina, ricordata in quegli anni come la rapina del secolo.

         QUEL MALEDETTO GIORNO A SOUTH BRAINTREE.

South Braintree è un piccolo centro industriale situato una ventina di chilometri a sud di Boston, capitale del Massachusetts. Sono le tre del pomeriggio di giovedì 15 aprile 1920. Frederick Parmenter e Alessandro Berardelli, due impiegati del calzaturificio Slater & Morrill, recando due valigie contenenti in totale ben 15.776 dollari in banconote, escono dalla sede commerciale del calzaturificio, con l’intenzione di raggiungere a piedi la fabbrica, situata a poco più di duecento metri di distanza. Durante il tragitto, oltrepassata una cabina telefonica, due uomini armati, sicuramente italoamericani, veri professionisti della rapina, sbucati d’improvviso alle loro spalle, iniziano a sparare e fanno succedere il finimondo. Colti alla sprovvista, letteralmente impreparati a reagire all’azione fulminea quanto efficace dei banditi, i due impiegati soccombono. Berardelli muore sul colpo, mentre Parmenter, ancora vivo, ma in condizioni gravissime, morirà alle cinque del mattino del giorno seguente. Nel frattempo i componenti della banda, cinque in tutto, si sono dileguati con l’ingente bottino, che non verrà mai più ritrovato.

La vettura usata dai malviventi, una Buick nera, seguendo un piano prestabilito, riesce ad eludere l’inseguimento della polizia. Due giorni più tardi, verrà ritrovata, abbandonata a pochi chilometri dalla scena del crimine. A poca distanza verranno rinvenute anche tracce di pneumatici di una seconda auto, con molta probabilità una Hudson Overland, allontanatasi in un’altra direzione.

Schema della rapina, secondo una ricostruzione dell’autore

LE INDAGINI E LA PISTA ANARCHICA

Queste furono affidate a Michael E. Stewart, un poliziotto di origine irlandese sulla quarantina, assolutamente inesperto in tal genere di reati. Seguendo un’idea presumibilmente sbagliata, o forse no, Stewart cominciò a seguire una pista anarchica, arrivando a concentrare i sospetti su un personaggio da considerarsi fulcro di questa storia, ossia il piccolo, brutto Big Nose Mario Buda, alias Mike Boda, originario di Savignano sul Rubicone. Intelligentissimo, anarchico fanatico irriducibile e violento, sempre un passo avanti agli sbirri, è a tutt’oggi considerato l’autore materiale dell’attentato dinamitardo di Wall Street del 16 settembre 1920.

Anni orsono andai a Savignano sul Rubicone, suo paese di origine, nel quale egli fece ritorno e visse fino al 1 giugno 1963, data della sua morte. Parlando con uno dei suoi nipoti, venni a sapere che el gnaf,  anarchico morente irriducibile fino all’estremo, mandò a quel paese il prete che gli voleva apprestare l’estrema unzione.

Lapide dedicata a Mario Buda, cimitero di Savignano sul Rubicone (foto dell’autore)

L’ARRESTO DI SACCO E VANZETTI

Foto segnaletica di Nicola Sacco

(The Official Website of the Massachusetts Judicial Branch)

Foto segnaletica di Bartolomeo Vanzetti

(The Official Website of the Massachusetts Judicial Branch)

Messo in moto un meccanismo ideato dallo stesso Stewart, la sera del 5 maggio 1920, i due agenti Connolly e Vaughn fermarono due tipi sospetti, che si trovavano a bordo di un tram: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, ma qui la faccenda prende subito una brutta piega. Vanzetti venne trovato in possesso di un revolver Harrington e Richardson, calibro 38 con il tamburo a cinque colpi pieno e quattro cartucce a pallettoni per fucile calibro 12, mentre Sacco teneva in tasca una pistola semiautomatica Colt 1903 3ecalibro 32 con colpo in canna, caricatore pieno contenente otto cartucce, più altre ventitré cartucce di diversa marca e stesso calibro. Lo stesso tipo di arma usata da uno dei due rapinatori per uccidere Berardelli. Perché i due anarchici circolavano armati, senza regolare porto d’armi? Portati in manette al commissariato di Brockton, interrogati dallo stesso Stewart, i due anarchici replicarono istintivamente alle varie domande con una lunga sequela di bugie e contraddizioni senza fine. Con tali premesse, venne loro convalidato l’arresto.

Stessi modelli di armi sequestrate a Vanzetti (sinistra) e a Sacco (da collezione privata)

IL PROCESSO

Il 31 maggio 1921, in un’atmosfera che si preannunciava incandescente, ebbe inizio nel tribunale superiore di Dedham il processo di primo grado per i crimini relativi a South Braintree. Quale capo del collegio di difesa dei due imputatierastatoscelto Fred H. Moore, un vanaglorioso avvocato californiano troppo bohémien quanto sfacciatamente radicale, la scelta peggiore che il Defense Committee potesse fare in quel travagliato periodo e soprattutto in uno Stato conservatore come il Massachusetts. Moore era affiancato dai fratelli Jeremiah e Thomas McAnarney. Rappresentante il Commonwealth del Massachusetts era il procuratore distrettuale Fred G. Katzmann, assistito da Harold P. Williams, William F. Kane e George E. Adams. Presiedeva il processo il sessantatreenne panciuto giudice Webster Thayer, già tristemente noto non solo per una certa tendenza all’irascibilità, ma anche, cosa ancor peggiore, per il suo avverso pregiudizio nei confronti degli immigrati, specie se bollati come Red Scare.

Webster Thayer (The Official Website of the Massachusetts Judicial Branch)

L’ACCUSA CERCA UN PATTEGGIAMENTO?

Strategia del tutto normale, soprattutto quando si dispone, come in questo caso, di deboli prove, che potrebbero rivelarsi insufficienti ad ottenere un verdetto unanime di colpevolezza degli imputati, al di là di ogni ragionevole dubbio. A questo proposito accadde un singolare quanto misterioso evento, prima dell’inizio del processo, che vide protagonisti Aldino Felicani, capo del Defense Committee e una certa Angelina De Falco, una donna dall’aspetto orribile, interprete presso il tribunale di Dedham, presunta portavoce del collegio d’accusa. La De Falco, in cambio di un’iperbolica somma di cinquantamila dollari, destinata tuttavia a divenire oggetto di trattativa, si sarebbe offerta di garantire la libertà dei due uomini, ponendo conditio sine qua non il siluramento di Moore, che poi sarebbe stato sostituito nientemeno che dal fratello del procuratore distrettuale Katzmann e tutti contenti! Il negoziato, da prendere seriamente in considerazione vista la difficile situazione degli imputati, fallì miseramente per l’intervento di Moore, che, alla faccia della coscienza, temendo l’inevitabile siluramento, ne sancì rumorosamente la sua fine.

Frederick G. Katzmann (The Official Website of the Massachusetts Judicial Branch)

I DISASTRI DI MOORE

Con le premesse di cui sopra, le prime udienze si presentarono difficili, un pessimo inizio che fece squillare fragorosamente il primo campanello d’allarme, dovuto a una manifesta e pericolosa spaccatura creatasi fra Thayer e l’indisponente Moore, troppo aggressivo nell’escussione dei testi e perfino nei confronti dello stesso Thayer, tendente oltretutto a sollevare troppe obiezioni e nel modo sbagliato. In una di queste, quando ne ebbe fin sopra i capelli, il giudice esasperato urlò con la sua voce aspra:

Nessun avvocato comunista e dai capelli lunghi venuto dalla California deve dirmi come dirigere la mia aula di tribunale!

In quel processo contro i due anarchici italiani, presieduto da un giudice come Thayer, in uno stato notoriamente conservatore come il Massachusetts, la situazione stava veramente precipitando. Si sarebbe reso necessario silurare immediatamente l’inadeguato Moore, sostituendolo con il famoso William G. Thompson, il più eminente avvocato di Boston, già dichiaratosi disponibile ad assumerne l’incarico. Il celeberrimo uomo di legge, elegantissimo nei modi e raffinato nel vestire, con la sua pipa di radica perennemente fra i denti, era un avvocato come pochi. La sua sola presenza in aula si rivelava sufficiente a ridare fiducia ai suoi assistiti, perfino nelle situazioni più drammatiche, qualità che lo rendeva molto stimato da giudici e colleghi. Disgraziatamente, all’invito ad abbandonare la causa, Moore rispose seccato:

No, mi dispiace. Le ricordo, avvocato McAnarney, che siete stati assunti quali miei assistenti e non per darmi ordini. Mi chiedo se siate in grado di comprendere, con la vostra mentalità provinciale, le ripercussioni mondiali che avrà questa causa.

Lo sguardo poco rassicurante di Fred H. Moore (The Official Website of the Massachusetts Judicial Branch)

Il dramma si stava già compiendo ancor prima di iniziare e ciò si può intuire  dalle ciniche e pur maledettamente vere parole del californiano, che aspirava a realizzare in primis un esemplare processo politico. Quanto alla formazione della giuria, la scelta cadde su dodici cittadini di razza bianca, intelligenti, ma provenienti da una Boston troppo conservatrice, considerati rappresentativi, quindi degni di assumersi un così difficile e gravoso onere, soltanto dagli stessi funzionari governativi dai quali erano stati convocati.

Anche la povera Rosina Zambelli, moglie di Sacco, in attesa di un secondo figlio, era sull’orlo della disperazione, avendo perfettamente compreso la situazione che Moore stava creando. Le sue crisi di collera nei confronti del californiano si rivelarono un vero spettacolo per testimoni e cronisti a caccia di titoli.

LA STRATEGIA DELL’ACCUSA

Katzmann, allo scopo di dimostrare la colpevolezza di Sacco, decise di adottare una brillante strategia, che si sarebbe sviluppata secondo le seguenti linee principali:

  1. L’imputato, la mattina del 15 aprile 1920, si trovava a South Braintree, avendo di fatto richiesto una giornata di permesso al calzaturificio nel quale lavorava, per motivi di famiglia;
  2. Era stato lui a sparare a Berardelli;
  3. Il  proiettile  fatale,  indicato  al  processo  come  proiettile n. III o reperto 18, che aveva provocato il decesso del Berardelli, era stato sparato dalla pistola semiautomatica Colt 32, che Sacco portava con sé al momento del suo arresto;
  4. Uno dei  bossoli  rinvenuti  vicino  al  cadavere del Berardelli, indicato al processo come bossolo Fraher W, proveniva dalla stessa Colt 32.

La posizione di Sacco si stava rivelando realmente imbarazzante, il proiettile n. III, o proiettile fatale, divenne in anni successivi un reperto di attenta analisi e oggetto di studio, con l’ausilio di sistemi sempre più sofisticati.

Per  quanto riguarda Vanzetti, il compito   del    Commonwealth    risultavaobbiettivamente più arduo, vista la reale assenza di prove di un certo peso. Katzmann decise quindi di dimostrarne la colpevolezza mediante le seguenti linee principali:
  1. La  mattina  del  15  aprile 1920,  l’imputato era  stato  visto scendere alla stazione di East Braintree da un treno proveniente da Plymouth;
  2. La stessa mattina era stato notato a South Braintree;

3.   Compiuta  la  rapina,  era stato riconosciuto a bordo dell’automobile Buick usata dai malviventi per darsi alla fuga.

COLPEVOLI!

Il processo di primo grado andò avanti fino al 13 luglio 1921 e sovente assunse toni drammatici quanto spettacolari, condotto in modo a dir poco vergognoso e pregiudizievole da Thayer, senza contare le cantonate di un irresponsabile, vanesio Moore. Grazie alla sua errata strategia, un processo per rapina e duplice omicidio deragliò pericolosamente su un binario politico contro due imputati anarchici. Venne fuori la loro fuga in Messico nel 1917, voluta da Galleani, per evitare il servizio militare, conseguente all’entrata in guerra degli USA contro la Germania e ciò pesò moltissimo. Come molti già si attendevano, il processo si concluse con un verdetto di colpevolezza per entrambi gli imputati, che avrebbe potuto significare morte.