Che cos’è un classico? Un classico è un testo che sa dare qualcosa a più generazioni diverse. Sa, dunque, parlare nel tempo. Ma un classico può anche essere considerato un testo che contemporaneamente sa parlare a persone diverse per interessi, esperienze, aspirazioni.

Ecco il testo di Marc Randolph non può essere considerato un classico della prima specie solo perchè la sua pubblicazione è recentissima, ma può essere considerato un classico sotto la seconda specie perchè è in grado di parlare a più persone diverse e, di fatto, sebbene la cosa possa apparire paradossale visto che si tratta della storia quasi autobiografica della vita dell’autore e del suo lavoro, di raccontare più storie, correlate certo, ma diverse tra loro. 

E iniziamo allora a isolare e analizzare le varie storie. È in primo luogo la storia della nascita e affermazione di Netflix, che ora ha un valore di 150 miliardi di dollari ma che ha rischiato di non vedere mai la luce se solo non fossero spuntati i DVD all’orizzonte e che più volte è stata sul punto di collassare o di essere fagocitata da una serie di dinosauri che ora si sono però estinti (Blockbuster). Eppure, per essendo la trama lungo cui si dipana tutto il testo, la storia di Netflix è il meno.

Intrecciata, infatti, a questa vi è la storia (vera) di come si fa impresa, di cosa vuol dire essere imprenditori. Fare impresa è una attività creativa di tipo intellettuale, che per certi versi ha molto a che fare con il metodo scientifico di Popper: problemi, teorie, confutazioni. Ci si imbatte in un problema, si elabora una teoria per risolverlo e poi la si testa e, se il test va male, se cioè i cittadini non comprano il tuo servizio o il tuo prodotto, si tenta di capire cosa è andato storto, senza mollare al primo intoppo (l’autore sul punto è chiarissimo “è necessario innamorarsi del problema non della soluzione”). 

In questo senso si potrebbe dire che all’interno di questo testo, oltre allo storia di Netflix, c’è un secondo libro, vale a dire un manuale su come si fa impresa (e in particolare un’impresa digitale), un manuale che se meditato bene vale molto di più di un MBA e tra i punti su cui meditare e lungo c’è n’è una che qui si vuole segnalare perché rischia di passare inosservato e attiene al modo in cui si realizzano i propri sogni.

Che c’entrano i sogni con un manuale di Business Administration? C’entrano così come c’entra la creatività con la libera impresa. Dunque come si realizzano i propri sogni? Costruendoli su un modello di business che funzioni. Vuoi essere un avvocato di grido? Costruisci un business model che funzioni. Vuoi essere un falegname di successo? Costruisci un business model che funzioni. Vuoi essere un grande artista? Costruisci un business modeli che funzioni. Salvo poche eccezioni, infatti, “i veri artisti – per dirla con Isak Dienesen – non sono mai poveri”, Michelangelo morì ricchissimo e così Picasso. L’immagine dell’artista che solo costruisce il suo universo ignorato dai contemporanei cela spesso autoinganni, illusioni, solitudine, mediocrità. 

Si possono maledire quanto si vogliono i termi moderni, ma un dato resta certo, nel mondo in cui viviamo il denaro è la misura del successo di un’idea, sia essa un prodotto o un servizio; d’altro canto l’insuccesso economico equivale alla falsificazione popperiana di una teoria scientifica. Ciò vuol dire che realizzare i propri sogni significa costruire un progetto che in grado di riscuotere consenso e produrre denaro, altrimenti restano fantasticherie. 

Per dirla con Nolan Bushnell, in fondatore di Atari, “Chiunque si sia mai fatto una doccia ha avuto un’idea. È chi esce dalla doccia, si asciuga e cerca di realizzarla che fa la differenza”. E realizzare una buona idea (in questo caso una idea d’impresa) significa utilizzare le proprie attitudini creative, la propria intelligenza e creatività per creare un business model che funzioni, risolvendo una serie di equazioni, la prima e più importante delle quali è “come si fa a fare soldi, pur non avendo soldi?”. Fare impresa dunque è un atto creativo, un test d’intelligenza e di perseveranza.

Ma c’è un ulteriore livello nel libro di Raldolph che va esplorato, vale a dire quello delle istituzioni pubbliche e di quei fattori immateriali che possono favorire o frenare la creatività della libera impresa. Vediamo quali sono.

Per tutte le trecento pagine e passa del libro, se si esclude l’ufficio postale e le sue tariffe, non una sola volta il lettore si imbatte in un funzionario pubblico dalla cui firma dipende non dico il successo o l’insuccesso dell’impresa, ma nemmeno il varo di una singola fase, sia il rilascio di una concessione sia lo stanziamento di finanziamenti pubblici. In questa fase, quando cioè la libera impresa usa tecnologie sviluppate altrove e le trasforma in un prodotto da testare sul mercato, lo Stato è assente e la cosa è un bene.

C’è un ulteriore elemento che emerge: la fiducia. Perchè possa esserci sviluppo economico (sul punto Robert Putnam nel suo Trust, era chiarissimo) è necessario che i rapporti tra tutte le parti siano improntati alla fiducia reciproca, altrimenti tutto, progressivamente, si sclerotizza. Nella storia di Netflix, nessuno ha paura di essere fregato in maniera illecita da qualche altro, i vari elementi presenti nella società civile e nel mercato cooperano liberamente, sapendo che se le cose vanno storte, c’è un sistema giudiziario che funziona a cui far ricorso. Lo Stato in questo caso c’è ma è sullo sfondo, ed è un elemento di rassicurazione e stabilizzazione.

E infine c’è un terzo elemento, pari per importanza a tutti gli altri: gli imprenditori non hanno paura di fallire e gli impiegati del licenziamento non ne fanno un dramma esistenziale. Nell’uno come nell’altro caso non è in discussione le capacità, l’intelligenza e l’intraprendenza delle persone e il motivo è molto semplice “nessuno sa niente”. 

Nessun sa, cioè, cosa realmente funzionerà, quale idea avrà, successo, quale prodotto conquisterà i mercati, quale azienda si trasformerà in un unicorno. Nessun imprenditore vero sa cosa realmente funzionerà e supererà la prova del mercato, ma d’altro canto nemmeno i consumatori sanno cosa realmente vogliono. Un concetto espresso come meglio non si potrebbe da Henry Ford quando affermo: “Se avessi chiesto ai miei clienti cosa volevano, mi avrebbero risposto un cavallo più veloce”.

Nessun sa niente, dunque. Il che significa che è lecito provare tutto, sapendo che tutto può funzionare o non funzionare e se le cose vanno male non significa che si è dei falliti.

E così siamo giunti al cuore di quella società aperta occidentale di cui gli Stati Uniti sono una delle punte più avanzate; quel cuore, fatto dalla libera impresa e dalla libera ricerca della conoscenza (ricerca scientifica, innovazione tecnologica) si basa su un principio, quello cioè che si va avanti al lume fioco della ragione per tentativi ed errori, senza alcune tradizione intoccabile, con la tenacia di un mulo, perchè anche ciò che funziona non è detto che funzioni subito. 

Questo vuol dire che le società che stigmatizzano e allontanano come fallito chi, in buona fede provando sbaglia, sbarrano la strada a ogni innovazione e quindi si negano il raggiungimento di un maggiore livello di sviluppo e progresso. In questo senso ha ragione, Andrew MacAffe dell’MIT quando afferma che probabilmente una delle ragioni del primato americano risiede nel fatto che là è più facile fallire. Non a caso, nella sua prima lettera agli investitori Jeff Bezos scriveva: “Fallimento e inventiva sono gemelli inseparabili. Per inventare bisogna sperimentare; e se sappiano in anticipo che funzionerà, non è un esperimento”. Allo stesso modo la pensava Henry Ford: “Il fallimento è una possibilità di ricominciare in maniera più intelligente”. 

Tre libri dunque in uno solo, consigliati a chi vuole conoscere la storia di Netflix, a chi è stanco di aggirarsi questuante alla ricerca di un posto di lavoro e e non sa che esiste anche il mondo della libera impresa, e a chi vuole capire perchè gli Stati Uniti sono l’economia più innovativa del pianeta. 

In conclusione “Non funzionerà mai” può definirsi un classico e i classici sono quei libri che ti segnano l’esistenza per sempre. Assolutamente da non perdere.

Traduttore: Roberto Merlini
Editore: ROI edizioni
Collana: Business
Anno edizione: 2019