L’esposizione, organizzata da Gli Amici dell’Arte di Pianezza con la collaborazione di alcuni ragazzi del Liceo “Darwin” di Rivoli e del loro professore di Disegno e Storia dell’Arte, Gabriele Garbolino, vuole essere un omaggio all’ artista, torinese di nascita, ma pianezzese d’adozione, che è riuscito a fondere in una sintesi estremamente personale la lezione della storia dell’arte del passato con quella del presente.
CHI ERA MARIO LISA
Nato a Torino il 23 giugno del 1908 da una famiglia semplice e numerosa (Mario era il sesto e ultimo figlio), Lisa riuscì a conquistare il proprio posto nel mondo dell’arte iniziando ad eseguire ritocchi fotografici per un importante fotografo di Torino, dimostrando subito la sua naturale inclinazione artistica.
Il passaggio alla pittura avvenne da autodidatta e con uno spirito capace di cogliere i radicali cambiamenti che stavano avvenendo nel mondo dell’arte nel corso del XX secolo.
Mario Lisa era una persona tendenzialmente riservata, che non amava gli incontri mondani, ma estremamente generosa nel prodigare utili consigli ai pittori in erba che si rivolgevano a lui per avviarsi ad intraprendere la strada dell’arte.
La pittura era per Lisa una sorta di isola felice, un modo per evadere da una realtà che, a volte, sentiva stretta ed opprimente. Infatti i quadri, soprattutto i primi degli anni torinesi, sono dominati da cromie chiare e luminose che contrastano con il grigiore e l’oscurità della sua casa.
L’indole solitaria e riflessiva di Lisa si riflette anche nella vita privata. Si sposò nel 1965 con una colta e raffinata signora russa che, purtroppo, morì tre anni dopo il loro matrimonio. In realtà abitarono pochissimo insieme in quanto ognuno dei due aveva bisogno dei propri spazi e della propria libertà, tanto più che Lisa era solito ripetere “Io ho sposato la pittura.”
Neppure la malattia poté fermare la forza e la volontà creativa di Mario Lisa che, colpito dal morbo di Parkinson, decise nel 1970 di trasferirsi a Pianezza, cittadina più piccola e più vivibile per una persona nelle sue condizioni.
Nonostante la malattia, Mario Lisa continuò a dipingere e, per fermare il tremore della mano che gli impediva di tenere il pennello in mano, si faceva legare il braccio al cavalletto con una cintura.
A Pianezza il pittore fu assistito sino alla morte, avvenuta nel 1992, dalla governante Rita Speziali, che lo seguì fedelmente nel trasferimento dalla città alla provincia, diventando sua fida assistente e attenta custode dei suoi dipinti.
LA PITTURA DI MARIO LISA
Mario Lisa si potrebbe definire una sorta di Salgari della pittura, in quanto attraverso questa forma artistica riuscì a viaggiare più di quanto fece realmente.
Trattò i principali generi pittorici, natura morta, paesaggio e ritratto, su supporti di piccole dimensioni quasi come se più che dei veri e propri quadri Lisa volesse realizzare delle impressioni, rapide e immediate, di momenti e di emozioni colti nell’ atto di svanire.
Nelle nature morte Lisa riprodusse sempre semplici oggetti della sua quotidianità, riuscendo a scindere e a ricomporre in modo estremamente soggettivo la lezione degli artisti del Seicento e del Settecento (Caravaggio, Evaristo Baschenis, J.B.S. Chardin, ecc…), come suggeriscono i quadri “Pane e uva”, “Natura morta con cavolo” o “Scaffale” , dove gli elementi emergono da uno sfondo nero, con un’impostazione novecentesca prospettica meno tradizionale e con una pennellata che si riduce progressivamente in ampiezza ed omogeneità per diventare sempre più soffice e multiforme come è esemplificato in “Natura morta con aglio e cipolla” o in “Pesci”.
Nei paesaggi Mario Lisa si rifece alla lezione ottocentesca post impressionista francese, fermando sulla tavoletta impressioni di viaggi, compiuti nelle principali capitali europee e in oriente, arrivando così a toccare anche la moda dell’esotismo e dell’orientalismo.
Nei dipinti come “Colline astigiane” o “Monferrato” Lisa guardò alla declinazione linguistica di Lorenzo Delleani considerato uno dei principali paesisti piemontesi tra Otto e Novecento che portò avanti la battaglia della pittura dal “vero” già iniziata dai pittori della Scuola di Rivara.
Negli scorci dei paesaggi innevati, “Valli di Lanzo”, “Val Chisone”, “Inverno a Cervia”, ecc…, è individuabile il richiamo artistico ai contemporanei Giulio Boetto, Italo Mus, Carlo Musso con una attenzione particolare a Cesare Maggi, pittore in cui si uniscono l’abilità della resa naturalistica con un attento studio della luce secondo i principi della pittura divisionista di cui il Piemonte può vantare illustri rappresentanti come Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo, Matteo Olivero o Andrea Tavernier.
Mario Lisa seppe realizzare paesaggi e vedute estremamente equilibrati nell’ impianto geometrico – compositivo e nella resa pittorica dicotomica tra delicatezza e corposità, senza mai cadere in forme semplicistiche di lirismo e di sentimentalismo.
Attraverso i ritratti si potrebbe ricostruite la storia delle persone che Lisa incontrò nel corso della propria vita. Molti infatti sono riconducibili ai suoi affetti familiari.
Sono principalmente ritratti di persone semplici come il sacrestano, il medico di campagna o il vagabondo in cui il taglio pittorico e l’inquadratura focalizzano l’attenzione sullo sguardo specchio intimistico dell’ anima.
Non sono soggetti nobili e nemmeno ci fu la volontà da parte del pittore di nobilitarli.
Resta aperta quindi la questione: Mario Lisa potrebbe essere considerato l’ equivalente pittorico di Giovanni Verga con la narrazione letteraria del mondo degli umili per i quali non c’è possibilità di riscatto o la traduzione in pittura del post – Decadentismo e del Crepuscolarismo di Guido Gozzano e il suo personale universo popolato da semplici e piccole cose?
Alcuni ritratti come “Bimba dai capelli rossi”, “Ritratto della signorina Mary” o il delicato “Ritratto di Jole” i cui soggetti appartengono al mondo della borghesia, risentono della conoscenza della pittura di Felice Casorati e della Scuola dei Sei di Torino (Jessie Boswell, Gigi Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio e Enrico Paulucci) del primo ventennio del Novecento. Il tratto pittorico lievemente filamentoso fa pensare ad un Mario Lisa attento alle nuove idee delle Avanguardie Storiche in cui la rappresentazione deve conferire l’idea del movimento anche attraverso le vibranti pagliuzze luminose che emergono dall’impasto cromatico della superficie pittorica.
Al corpus pittorico Mario Lisa affiancò una produzione grafica, a matita o a carboncino su carta, basata sulla riproduzione di oggetti del suo universo quotidiano e domestico: scarpe, cappelli, borse, pantaloni, gueridon, boa, ecc… Gli oggetti, consumati dal tempo, rappresentano una trasposizione metaforica della presenza – assenza della figura umana.
Con questa tecnica Lisa evidenziò la sua notevole abilità di disegnatore attento ai dettagli e capace di cogliere i tratti materiali distintivi di amici, conoscenti e famigliari, rappresentando così un ulteriore mezzo espressivo attraverso cui il pittore “scrisse” il suo personale diario autobiografico.