3 febbraio 1957, nasceva Carosello

Noi attuali cinquantenni-sessantenni, bambini nati tra il 1957 e la fine degli anni ’60, avevamo il permesso di stare svegli sino alle 21, orario in cui finiva il nostro siparietto preferito: Carosello. In quei vent’anni infatti Carosello, sorta di spettacolo televisivo contenente vere e proprie opere teatrali e di intrattenimento,  accompagnò la grande trasformazione dell’Italia del boom economico, in una moderna società industriale-urbana, basata sulla progressiva diffusione dei consumi di massa e sui profondi mutamenti dei costumi, cosa che ovviamente noi bambini ignoravamo ma che seppe conquistare tutti, grandi e piccini, con la sua leggerezza e i suoi contenuti di alta qualità.  Venne trasmesso quotidianamente in fascia preserale per venti anni, tranne  il Venerdì santo e il 2 novembre; fu sospeso inoltre per una settimana tra il 31 maggio e il 6 giugno 1963, per l’agonia e la morte di papa Giovanni XXIII e per tre giorni dal 12 al 15 dicembre 1969, quando il Paese fu scosso dalla strage di Piazza Fontana. Altre sospensioni furono fatte per la morte di papa Pio XII (9 ottobre – 11 ottobre 1958), per le uccisioni dei fratelli John (22 novembre 1963) e Robert Kennedy (5 giugno 1968) nonché per l’ammaraggio della navicella spaziale Apollo 14, il 9 febbraio 1971. Quanto appena detto fa comprendere l’importanza e l’affetto che lo legava agli italiani, che, cascasse il mondo, si sedevano davanti al televisore e si godevano le gustose “scenette”, come si chiamavano allora, del Tenete Sheridan, dei pirati dell’amarena Fabbri o delle bambine del miele Ambrosoli.

In totale ne furono trasmessi 7.261 episodi.

Con tutta la famiglia ci sedevamo speranzosi di ritrovare negli sketch comici, sullo stile del teatro leggero o negli intermezzi musicali seguiti da messaggi pubblicitari, i nostri beniamini.

Io, da precoce paladina dei diritti dei più deboli, adoravo il povero Calimero: «Tutti se la prendono con me perché sono piccolo e nero. È un’ingiustizia peròòò…», piagnucolava il povero pulcino nero, con tanto di cappello candido (gli unici colori che una impietosa tv in bianco e nero poteva proporre) consistente in un guscio d’uovo, creato da Toni Pagot per la Mira Lanza. Raccontava Pagot: «Ci dissero: che fareste per questo detersivo? Ragionammo: per vendere bisogna interessare le donne: che cosa attira l’attenzione di una donna? Bambini e animali. Bene, il prototipo del bambino indifeso è il pulcino. Se lo facciamo triste e disgraziato, suscita più simpatie. Se lo facciamo nero, cominciamo subito a introdurre l’idea che va pulito».

 Secondo grande amore fu il Gigante buono della Ferrero contro il perfido Jo Condor.

Jo Condor era un avvoltoio vestito da militare, con un mirino sulla punta del becco, che assieme al fedele Secondor, disturba la vita della Valle Felice, distruggendo cose amate da tutti gli abitanti. Alla fine i bambini del villaggio chiedevano aiuto al Gigante amico della Ferrero, cantando: «Gigante, pensaci tu!». Interveniva allora il pacifico Gigante, che riportava la pace e puniva «quel briccone di Jo Condor». Il poverino, per salvare la pelle, si difendeva con la battuta: «E che c’ho scritto Jo Condor?», frase ormai entrata, come tante altre sentite nelle pubblicità del Carosello, nel linguaggio comune di quegli anni. Il Gigante buono allora lo prendeva per la coda e lo buttava via, mentre il condor gridava: «Ma mi lasci… non c’ho la mutua, non c’ho il paracadute!».

Sarebbero ancora cento i personaggi da citare ma voglio ricordarne solo più due, perché legati a Torino: Caballero e Carmencita; le avventure di Carmencita e del suo bel caballero, gli indimenticabili personaggi creati dal grande Armando Testa per Lavazza, erano due messicani sempre uniti dall’amore e dalla passione: «Caballero diceva susseguioso: Bambina, sei già mia. Chiudi il gas e vieni via. Carmencita replicava: Pazzo! L’uomo che amo è un uomo molto in vista. È forte, è bruno e ha il baffo che conquista. Caballero intenerito, aggiungeva: Bambina, quell’uom son mì… Oh yeh yeh yeh yeh yeh, oh yeh! Carmencita: Paulista! Amore mio… e il coro cantava: caffè, caffè, caffè Paulista».

In realtà dietro a tutta questa simpatia si nascondeva una ferrea logica pubblicitaria; il rigido format di Carosello fu congegnato in maniera da funzionare impeccabilmente; erano predeterminati il numero di secondi dedicati alla pubblicità, il numero di citazioni del nome del prodotto, il numero di secondi da dedicare allo “spettacolo”, la cui trama doveva essere di per sé estranea al prodotto (per una legge allora vigente non era concesso fare della pubblicità all’interno di alcuno spettacolo televisivo serale e nemmeno prima di un intervallo di novanta secondi dall’inizio del medesimo).

Ma Carosello fu palcoscenico e vetrina per grandi nomi del teatro, del cinema, dell’arte e della cultura italiane: alla sua realizzazione parteciparono in veste di registi nomi illustri come Luciano Emmer (che ne è considerato l’inventore), Age & ScarpelliLuigi MagniGillo PontecorvoCorrado FarinaErmanno OlmiSergio LeoneUgo GregorettiValerio ZurliniPupi AvatiPier Paolo PasoliniFederico Fellini; tra gli attori ci divertirono con le loro gag: Totò,  Edoardo De Filippo, Ernesto Calindri, Paolo Ferrari, Gino Bramieri e mille altri. Grandi animatori e illustratori crearono cartoni animati all’avanguardia, come “l’Omino coi baffi” (caffettiera Bialetti), di Paul Campani, Salomone pirata pacioccone dei prodotti dolciari della Fabbri. Tra i più famosi, che continuarono a essere prodotti dopo la fine di Carosello, per scopi commerciali e anche in serie di puro entertainment si ricordano “Calimero” (Mira Lanza) e “La Linea” (pentole Lagostina) di Osvaldo Cavandoli. Anche molti cantanti parteciparono al Carosello, alcuni cantando i jeengles delle pubblicità, altri le proprie canzoni, tra questi Domenico Modugno, Adriano Celentano e persino Frank Sinatra. Insomma spero di avervi fatto sorridere, ripesando a quegli spensierati intermezzi serali, ingenui e rappresentativi di un’Italia e di un mondo che non ci sono più, ma anche di avervi fatto tornare un po’ bambini, cosa che non può che far bene allo spirito e ai ricordi. Mara Antonaccio