Il termine “dipendenza da cibo” è stato introdotto nella letteratura scientifica solo recentemente ed è stata, potremmo dire, la chiave di lettura che ha permesso una migliore comprensione di alcuni disturbi del comportamento alimentare ( binge eating disorders), alcune forme di sovrappeso e di obesità non associata a disfunzioni endocrinologiche. Da tempo ci si chiede come mai alcuni soggetti, seppure apparentemente collaboranti ad un regime dietetico, non riescano, in realtà, ad aderirvi nel modo corretto ed il loro modo di alimentarsi sia cronicamente errato, come se, di fatto, fossero incapaci di restringere il loro il loro introito calorico.
Si tratta di una vera e propria “addiction” , che non è molto diversa dalla dipendenza da una sostanza, che sia il fumo di sigaretta, l’alcol o le sostanze psicoattive. Esattamente come accade in questi casi, il soggetto dipendente da cibo sperimenta una sorta di “craving” verso il cibo stesso ed anche questo tipo di dipendenza seguirebbe i criteri diagnostici del DSM 5.
Il craving è paragonabile ad una vera e propria compulsione, ad una idea ossessiva incentrata sul cibo, alla perdita di controllo sul cibo stesso, l’incapacità di ridurre il consumo di certi alimenti
malgrado il desiderio di farlo e pur conoscendo gli effetti negativi che un loro consumo eccessivo può avere sulla salute. I soggetti che sperimentano questo, che è un vero e proprio disturbo, ammettono di vivere una esperienza “drogastica” mentre mangiano voracemente, non riescono a fermarsi e se non possiamo parlare di una vera e propria alterazione completa dello stato di coscienza, sicuramente si può parlare di una sorta di stato “crepuscolare”, di restringimento del campo di coscienza, di depersonalizzazione. Alcuni riferiscano la tipica sensazione sperimentata nel disturbo da attacchi di panico, di guardarsi dall’esterno, come se non fossero loro a compiere quei determinati gesti.
Tale dipendenza non riguarderebbe tutti i tipi di alimenti, ma prevalentemente alcuni, che avrebbero la capacità di indebolire il potere della volontà di astenersene.
Assume molta importanza anche l’ambiente in cui viviamo, la continua ed ampia disponibilità di alimenti altamente raffinati e processati, ricchi in grassi, zuccheri e sale.
Se l’associazione della food addiction ai disturbi del comportamento alimentare ed all’obesità è recente, in realtà già nel 1890 nella rivista Journal of Inebriety si legge il termine “dipendenza” (addiction) riferito alla cioccolata e nei primi decenni del XX secolo anche alcuni psicanalisti relazionano la compulsione alimentare alla fase orale dello sviluppo della personalità.
Il termine vero e proprio “Food Addiction” si fa risalire però nel 1956 a Theron Randolph e, poi, dalla seconda metà del Ventesimo Secolo fino ad oggi. Oltre che lo studio dei sistemi oppioidi interni (endorfine), più recentemente lo sviluppo delle tecniche di radiologia diagnostica per immagini ha spostato il focus della ricerca verso un punto di vista neuro-fisiologico, ossia su aree del cervello attivate, ed alterate in caso di iperalimentazione, recettori dopaminergici, e così via.
In questo caso è stato quanto mai proficuo l’utilizzo di modelli animali che non risentono dell’influenza ambientale (messaggi pubblicitari, mode).
Molto utile si è anche rivelato negli studi scientifici l’utilizzo di un questionario auto-somministrato, la Yale Food Addiction Scale per indagare la prevalenza e la comorbilità di comportamenti da dipendenza da cibo negli umani.
Alimenti contenenti grassi e zuccheri, e i macronutrienti sembrano avere maggior potere
di addiction. Studi di questo tipo hanno evidenziato la dipendenza da cibo maggiormente presente nei giovani adulti con età maggiore di 35 anni, rispetto ai giovani-adulti di età minore a 35 anni ed una maggiore prevalenza media di diagnosi di Food Addiction in studi su pazienti con disturbi del comportamento alimentare.
Inoltre, chi presenta una dipendenza da cibo è più frequentemente single e di sesso femminile, con scarsa stima di sé e determinati alimenti (grassi, zuccheri) vengono prevalentemente consumati in situazioni particolarmente stressanti, in cui il cibo viene vissuto come una sorta di antidoto per alleviare i sentimenti e le emozioni negative.
La patogenesi della food addiction è stata anche associata a fattori neurobiologici (attivazione più forte dei circuiti della ricompensa e minor attivazione delle regioni corticali inibitorie) e l’esposizione ripetuta a cibi piacevoli diminuirebbe la risposta cerebrale alla dopamina. Questo meccanismo porterebbe a consumare una quantità di cibo maggiore per sentirsi soddisfatti e a continuare a farlo per più tempo.
Inoltre individui affetti da depressione grave o disregolazione emozionale hanno spesso, in comorbidità, una Food Addiction, che può essere ancora più intensa nella bulimia nervosa, nel Disturbo da Alimentazione Incontrollata e molto meno nella Anoressia Nervosa.
Da un punto di vista neurofisiologico sono implicate strutture come l’ipotalamo, il centro regolatore di molti processi metabolici, che controlla l’introito di cibo e il consumo energetico; la corteccia prefrontale mediana, localizzata nella parte anteriore del cervello, responsabile dell’elaborazione cognitiva dei processi affettivi ed emotivi legati alla nutrizione; il sistema limbico, che comprende un insieme di connessioni, tra cui l’ippocampo e l’amigdala, deputate al controllo neurovegetativo ed istintivo del comportamento alimentare.
L’ipotalamo, a sua volta, esercita la sua azione attraverso alcuni neuropeptidi come la leptina, la colecistochinina (CCK), la grelina, l’orexina, l’insulina e il neuropeptide Y (NPY) e attraverso l’azione sensibilizzatrice (sensing) di nutrienti quali il glucosio, gli amminoacidi e gli acidi grassi.
Sarebbero coinvolti negli effetti gratificanti del cibo, anche alcune regioni corticali cerebrali, la corteccia orbito frontale, il giro cingolato e l’ insula.

Non mi soffermo in questa sede sulle complicanze derivanti da un consumo eccessivo di cibi ricchi di grassi e zuccheri, in modo più o meno compulsivo, ma è importante ricordare che
l’eccesso di adiposità centrale e l’obesità sono uno dei maggiori fattori di rischio di morbilità e mortalità cardiovascolare, insulino-resistenza, ipertensione arteriosa e dislipidemia.
Anche senza riportare statistiche i danni causati sono sotto gli occhi di tutti.

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