“L’ora decisiva”: con questo titolo apriva l’edizione del 2 giugno 1946 La Stampa di Torino, che ancora si chiamava La Nuova Stampa. “Il popolo italiano accoglierà con tranquillità i risultati delle votazione” nel sommario stonava, tuttavia, con le ultime ventiquattr’ore segnate da uno scontro acceso che aveva visto attori protagonisti re Umberto II, papa Pio XII, e Palmiro Togliatti con Pietro Nenni. Nelle urne referendarie per il nuovo regime costituzionale 12.718.641 italiani (pari al 54,27%) si espressero a favore della Repubblica, 10.718.502 (pari al 45,73%) a favore della Monarchia. E’ storicamente interessante il mai risolto dubbio se una manina intervenne per sbilanciare il verdetto a favore della Repubblica, ma ritengo assai più significativa, anche la fine di un sempre attuale studio del carattere nazionale del popolo italiano, la manciata di differenza sulla quale la storiografia ufficiale ha sempre preferito glissare: perché si sarebbe dovuto ammettere, e spiegare soprattutto, come fosse possibile dopo vent’anni di dittatura fascista consegnata all’Italia dalla Casa Reale, dopo l’adesione della monarchia alle infami leggi razziali, dopo la tragedia di una guerra alla quale la monarchia aveva aderito, dopo tutta la sofferenza umiliante patita dall’Italia, come fosse possibile che la metà degli italiani avessero ancora fiducia nel regime monarchico. Un gruppo nutrito di italiani di diverso credo politico ed estrazione sociale realizzò il miracolo di una Carta Costituzionale repubblicana che superò di forza il deficit costitutivo di spirito democratico degli italiani: fondando le basi di uno Stato laico, libero, e avanzato nei suoi contenuti di politica sociale.

“L’Italia e` una Repubblica democratica, fondata sul lavoro… riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto… E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione alla vita del Paese… Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge… I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione… I giudici sono soggetti soltanto alla legge… La giurisdizione si attua mediante il giusto processo…”.

Il 2 giugno io festeggio la Repubblica nata nel 1946 vivificata il 1 gennaio 1948, ed in suo nome tutti gli uomini e le donne di ogni credo che resero possibile liberare l’Italia dal fascismo e dall’occupante tedesco, festeggio quel nutrito gruppo di uomini e donne che all’Assemblea Costituente fecero il miracolo pensando solo al futuro dell’Italia andando oltre ciò che quella manciata di voti referendari significava, coloro che nelle impervie stagioni dello scontro politico del dopoguerra e del bipolarismo novecentesco, figli di quella Costituente, seppero condurre un popolo mancato all’appuntamento storico con la propria identità nazionale, verso la prosperità, la libertà e il progresso sociale.

Almeno fino a quel fatidico 9 maggio 1978, la lotta politica e sociale sulla piena attuazione della Repubblica era aperto; con l’assassinio di Aldo Moro, anche quella quella speranza è stata uccisa. Rimane solo il tradimento italiano della Repubblica nata il 2 giugno 1946.