Sicuramente è con la scoperta del fuoco che viene a stabilirsi una sorta di suddivisione di ruoli tra uomo e donna. Mentre l’uomo è a caccia, la donna, oltre a procurare erbe, frutti e verdure, si occupa della cura del fuoco, difficile da accendere ma soprattutto da mantenere vivo con cure costanti. Ruolo sicuramente importante ma che, insieme alla reminiscenze bibliche (Eva che aveva ceduto alla tentazione) e mitologiche (Pandora che apre il vaso), ha intrappolato per secoli la donna in una posizione di sudditanza.

Le donne dovevano essere tenute occupate e custodite. Una delle restrizioni era anche quella del divieto di consumo del vino. Pensate che in epoca romana esisteva lo ius osculi, l’usanza del bacio di mariti e parenti per verificare se le donne sapevano di vino. Questo perché l’ebbrezza poteva indurre all’adulterio; credenza che si mantenne anche in epoca medievale, quando si beveva vino allungato con acqua per alleviare la sete, a volte anche per sostenere i malati.

Non era l’unica discriminazione tra uomo e donna. Mangiare abbondantemente era un segno distintivo di potere e di forza per l’uomo, mentre per la donna era considerato segno di debolezza. Accostarsi al cibo con indifferenza o comunque con molta misura faceva parte dell’etichetta; nei banchetti si doveva mangiare poco, anche al proprio matrimonio. Ancora Casanova, e qui siamo nel ‘700, afferma che la donna che mangia con gusto è disposta anche a “farsi mangiare” con gusto.Chiara qui l’allusione alla relazione tra cibo e sesso. Poter godere apertamente di un cibo è tutto sommato una conquista recente.

La disparità di ruoli e comportamenti era rafforzata dai pregiudizi: i predicatori sostenevano che l’ozio induceva la donna a fare cattivi pensieri aprendo le porte al peccato e quindi bisognava tenerla occupata. Si trattava di lavori faticosi e mal retribuiti. Anche le donne di ceto elevato dovevano essere impegnate a fare qualcosa per gli stessi motivi (qui si parla di ricami, pizzi etc.).  Le donne istruite erano una rarità.

Se l’iconografia, in particolare medievale, riporta raramente immagini di donne intente a consultare o scrivere libri, molte sono le rappresentazioni della donna impegnata nelle incombenze domestiche, nella preparazione di pane e focacce o di minestre, oppure nei lavori dell’orto e del giardino.

Esistevano ovviamente anche le cuoche, ma i ruoli principali della cucina almeno fino all’800 sono stati sempre appannaggio degli uomini. Per secoli hanno avuto solo un ruolo di sguattere. Queste massere erano figure di basso profilo, non operavano nelle Corti e oltre a cucinare spazzavano, facevano il bucato, governavano le galline e, come riporta un testo di fine ‘500, dovevano “nutrire i servi e all’occorrenza preparare qualche pranzo per i padroni, ma solo se non ci sono ospiti“. Lo stesso Messisbugo, nel suo Libro novo del 1557, le definisce “femminucce” in più occasioni; in altri testi vengono anche evidenziate la sporcizia e la perfidia di molte di esse.

In ambito domestico il lavoro delle donne era incentrato principalmente sulla preparazione del cibo: l’iconografia classica le ritrae sedute su bassi sgabelli impegnate a rimestare il contenuto di pentole appese sopra al focolare (generalmente una zuppa). Sarà solo nel ‘700 che le pentole verranno posate su treppiedi consentendo alle donne di cucinare in posizione eretta.

Nel XV e XVI secolo con l’affermarsi del ceto mercantile nelle classi agiate diventa necessario gestire nel migliore dei modi i beni di famiglia; in pratica la cura della casa assume un’importanza notevole e viene affidata alla padrona. Ancora una volta però il ruolo della donna si esplica tra le mura domestiche: a lei il compito di dirigere i lavori domestici, stare attenta allo spreco, provvedere ai bisogni della famiglia, fermo restando che non avrà comunque autonomia e libero accesso a tutti i locali della casa. Compito delle madri è insegnare alle figlie le arti domestiche per divenire future ottime padrone di casa. Nel corso del ‘700 si diffondono numerosi trattati ed opuscoli volti ad insegnare le buone maniere a tavola, ricchi di suggerimenti e regole per noi scontati, ma non per l’epoca, come ad esempio, non togliere il cibo dalla bocca, non prendere la carne con le mani, usare il tovagliolo e non la tovaglia per pulirsi.

Sul finire del ‘700 il caffè diventa di gran moda e gli uomini, intellettuali e borghesi, si ritrovavano nei Caffè a sorbire la bevanda assurta a simbolo del libero pensiero e della cultura razionalista del tempo; ma le donne non erano ammesse in questi locali pubblici. Esse cominciarono a consumare caffè quando questo divenne di utilizzo quotidiano, al mattino a colazione o al pomeriggio nei salotti. Non diverso il destino della cioccolata, apprezzata per le sue caratteristiche corroboranti e nutritive, ma guardata con sospetto per le presunte proprietà afrodisiache. Sarà solo a partire dall’800 che la donna potrà concedersi la libertà di consumare un caffè o una cioccolata con le amiche in un locale pubblico.

Sempre durante il ‘700 comincia a delinearsi una presenza femminile di un certo rango in cucina al di fuori delle mura domestiche. Ad imitazione del modello parigino dovuto all’affermarsi della cucina borghese, emerge anche in Italia la figura della cuciniera a cui si deve soprattutto la capacità di saper offrire un modello di cucina adatta alla nuova borghesia, che altro non è che la sintesi tra cucina popolare e aristocratica.

In realtà in Italia il cambiamento è più lento. La crisi agraria degli ultimi anni dell’800 si fa sentire anche nelle case borghesi dove per supplire alla riduzione del personale di servizio, la cuoca assume in sostanza un ruolo di tuttofare. Il grande salto per la donna avverrà con Artusi ed il suo libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” che sarà il mentore di una nuova cucina nazionale, rivolta soprattutto alle massaie, frutto di un intenso carteggio con le sue lettrici e ad esse destinato e che sarà negli anni tramandato secondo tradizione, di madre in figlia.

Nel delineare il ruolo della donna nei secoli non si può dimenticare una importante funzione che essa ha esercitato nei tempi passati. Le sue conoscenze le hanno infatti consentito di maneggiare erbe e spezie anche in ambiti più vasti: curare, guarire, rinfocolare il desiderio, oppure stroncarlo e purtroppo anche avvelenare. Forse non tutti sanno, che Walt Disney per il personaggio di Grimilde, la regina avvelenatrice della fiaba di Biancaneve, si ispirò ad una statua raffigurante Ute di Ballensedt, figura nobile vissuta nell’anno Mille, che fu processata per stregoneria (e poi assolta).

E proprio a quell’epoca risalgono i primi testi scritti da donne sull’uso diciamo medico dei cibi e delle erbe. Hildegrada di Bingen, colta monaca del 1100,  cosi come Trotula de Ruggero, ci forniscono trattati ricchi di indicazioni su come trattare e somministrare medicamenti, sulla bontà degli alimenti e su come consumarli.

 Era un epoca in cui alle donne era ancora riconosciuto il ruolo di guaritrici, ruolo che venne poi gradualmente intaccato con la nascita delle prime Università che istituzionalizzarono discipline come medicina e diritto, rendendole accessibili ai soli uomini. La pratica medica divenne severamente proibita alle donne e pose di fatto fuori legge l’attività delle “guaritrici” che vennero confinate in un campo magico/superstizioso con odore in molti casi di stregoneria. Andando a ben guardare, in realtà negli armadi degli ospedali dell’epoca si trovano pressoché le stesse sostanze che erano in casa delle guaritrici.