“Scrittrici a Parigi” di Anna Maria Vergnaè la cronaca di un viaggio nel tempo e nei luoghi abitati dalle più grandi scrittrici di Francia degli ultimi trecento anni. Un viaggio nel quale Anna Verna ti pilota negli hotel di Madame de Staël e Marguerite de Valois, si intrufola nel salon di Madame du Deffand. Maestre nell’esprit de la conversation, furono costoro a contribuire al successo dell’opera di Pascal e di La Rochefoucauld, Corneille e Bossuet, e alla diffusione de “L’Esprit des lois” di Montesquieu. Madeleine de Scudéry e Madame de Sévigné, viceversa, non si limitarono all’arte della conversazione: erano attente osservatrici della realtà, e grazie alle loro lettere, ci permettono di scoprire nei minimi dettagli cerimonie politiche e religiose, processi ed esecuzioni. Nasce così il romanzo epistolare, dal quale scaturirà, per mano di Madame de La Fayette, il primo romanzo moderno della narrativa francese. La testimonianza della vita alla corte di Luigi XIV e della società aristocratica del tempo la troviamo invece nelle “Memorie” della duchessa di Montpensier. Con l’inizio della Rivoluzione, i salon diventano politici. E’ di questo periodo “La déclaration des Droits de la Femme et de la Citoyanne”, con la quale si rivendicano libertà individuali e libertà politiche, assimilando il sessismo al razzismo. Testimone dei momenti cruciali della Rivoluzione e del Terrore, Madame de Staël. Anna Verna non dissimula il sentimento dell’empatia per alcune di queste protagoniste della storia: ad esempio, nei confronti di Amantine Aurore Lucile Dupin, in arte George Sand. Non solo testimone delle vicende cui assiste, ma partecipe della realtà nella quale vive e dotata di una lucida visione della situazione politica, collabora a giornali – alcuni dei quali fonda e dirige; scrive romanzi, ammirati da Balzac, Flaubert e Sainte-Beuve; invoca con forza la riforma del diritto di famiglia che emancipi la donna dalla tutela del marito. Con Colette, Verna ci fa approdare all’inizio del Novecento, il tempo del music-hall e delle carrozze al Bois de Boulogne dove si incontrano cortigiane, attrici, demi-mondaines. Più che empatia, è commossa partecipazione emotiva quella che rivelano le pagine dedicate a Simone de Beauvoir-
Verna incontrò Beauvoir nella seconda metà degli anni Sessanta, quando è una giovane studentessa. “Le scrissi e lei mi rispose, dandomi indirizzo e numero di telefono e invitandomi a andare a trovarla a Parigi”, dice Anna, ricordando quel loro primo incontro. “Abitava in una via dietro il cimitero di Montparnasse, al pianterreno, in un meraviglioso studio da pittore. Un ambiente fantastico, la casa di una giovane. Questo senso di giovinezza non ha mai abbandonato Beauvoir.” Poco alla volta, Anna dischiude la porta sui ricordi. “La prima volta che l’ho incontrata, mi fece delle domande alle quali rispondevo un po’…esitante. Ma lei mi sollecitava: osez, osez, mi diceva. Al momento di accomiatarmi, mi invitò a scriverle ancora, a ritornare a trovarla.” E’ l’inizio di un rapporto destinato a diventare un legame fortissimo. “Con lei si poteva parlare di tutto. Se non condivideva il tuo punto di vista, diventava polemica ma sempre conservando razionalità e lucidità.” Il mondo di Beauvoir non si limitava al femminismo. Amava il cinema, leggeva moltissimo: libri, manoscritti di chi chiedeva il suo parere. Aveva aperto “Les Temps Modernes” alle tematiche femministe, che seguiva puntualmente. E aveva un fortissimo interesse per la politica, la questione mediorientale che a quel tempo era di bruciante attualità. C’è qualcuno che possiamo considerare suo erede? “Beauvoir è stata una personalità unica, irripetibile. Con lei, non c’era posto per le mezze misure: o la detestavi o l’amavi appassionatamente. Aveva uno charme straordinario e una capacità involontaria di creare simboli, cioè aveva un tipo di personalità e di fisicità che inducevano a mitizzarla. Per questa sua caratteristica mitopoietica, si può dire che in tanti hanno raccolto il suo messaggio, non che abbia passato il testimone a qualcuno.” Era una donna che lasciava trapelare il lato emotivo della sua personalità, o a quello era vietato l’accesso? “Era una donna segreta. In lei, c’era l’aspetto pubblico, che riguardava la politica, il femminismo, le prese di posizione teoriche, e quello segretissimo, che riguardava la sfera dei sentimenti. Non è che non ne parlasse…poteva condividere le cose sue, ma fino a un certo limite. E questo anche nei suoi scritti. L’ha ribadito più volte nelle interviste. Poi col femminismo è stata più disponibile, ma di fatto un confine invalicabile ha sempre racchiuso la sua sfera privata, sessuale.”
Che cosa ha rappresentato per lei la scomparsa di Sartre? “E stato un fatto devastante, perché ha significato non solo la fine di Sartre, ma la fine di una vita, di un modo di essere, di un rapporto, per quanto col tempo si fosse sfilacciato o fosse diventato un’altra cosa. Quando Sartre si ammalò, passava spesso la notte accanto a lui. La mattina, mi trovava ad aspettarla all’angolo del Dôme o in Rue Delambre: era distrutta dalla stanchezza, dall’angoscia.” Poi si riprese. “Fino a un certo punto. Con l’età, cambiò. Diventò sentimentale, la sua voce da rocailleuse si fece normale, la velocità del linguaggio rallentò. Cominciò ad avere acciacchi di vario genere, a bere, a rifiutare il cibo. E cominciarono i ricoveri in ospedale. Ricordo una volta, all’ospedale in Boulevard Jourdan. Riuscii a farle inghiottire qualche boccone, mi avvicinai e le sfiorai le labbra, che si screpolarono …E’morta come avrebbe voluto: nel sonno, senza accorgersene.”
Che cosa le ha dato questo rapporto? “La caratteristica di Beauvoir era la giovinezza. Era una donna piena di curiosità, piena di attenzione alla vita. Con lei non avevi la sensazione che fosse tanto più vecchia di te: era come essere con una compagna, con un’amica che voleva sapere tutti gli affari tuoi, li condivideva, e sulla quale potevi contare. Con lei non esistevano censure, avevo la possibilità di parlare di qualsiasi cosa, e credo di non essere mai stata tanto ascoltata con tanta partecipazione. Di rado ho incontrato una persona che abbia voluto la mia felicità così fortemente. Aveva la rarissima capacità non solo di ascoltarti, ma di capire che cosa volevi fare, dove avevi intenzione di andare. E ti aiutava. Posso dire che a me ha dato moltissimo dal punto di vista del rapporto in sé, perché è stata importante per la mia crescita personale.”
“Scrittrici a Parigi” ( Luciana Tufani Editrice, Pag. 300, € 14, 2019) è l’ultima opera di Anna Verna: un libro raro e imperdibile, che si presta a molte chiavi di lettura. E’ una sorta di Baedeker, grazie al quale si individuano le abitazioni nelle quali costoro vissero e lavorarono. E’ un libro di storia della Francia e di Parigi, un saggio biografico che non si limita al racconto della vita e all’analisi dell’opera delle scrittrici a Parigi, ma ci dà ritratti che conservano la vivacità, il fascino, la fragilità che hanno segnato queste personalità fuor del comune. Saggi di questo genere sono spesso tomi ponderosi: l’autrice – già docente di Storia della donna all’Università di Torino- è invece riuscita nell’intento di scrivere un libro nel quale alita il tocco leggero della cultura. Operazione che solo le scrittrici di vaglia sono in grado di compiere.
Giulietta Rovera