Per quelli come me, nati agli inizi degli Anni ’60, cioè a nemmeno venti anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, sentir parlare di Olocauso, persecuzione razziale, Antisemitismo era normale; ancora troppo vivi e vicini i racconti di nonni, zii e parenti, che in modo o nell’altro avevano vissuto la Guerra. Alla periferia di Foggia, capoluogo della provincia pugliese da cui giungo (come sicuramente in altre città italiane), vi erano ancora quartieri bombardati dagli ordigni Alleati e Nazisti, e vederli li a testimonianza di così tanto dolore, per noi bambini era un modo di sentire vicini quegli accadimenti. Oggi di anni dai bombardamenti e dai milioni di morti ne sono passati più di settanta, e il loro ricordo si stempera come i sopravvissuti, che per ovvi motivi biologici, stanno piano piano abbandonando la vita, ed è proprio questo lungo tempo trascorso che fa stridere la lettura di notizie come quella delle scritte antisemite sulla porta di una vittima. Nella notte tra il 23 e il 24 gennaio, sull’uscio di casa di Lidia Rolfi Beccaria, una deportata politica, che oltre ad avere la colpa di volere un mondo giusto e libero per tutti, era di quelli che cercarono di salvare gli ebrei e fu rinchiusa in un lager nazista (dal quale miracolosamente uscì viva e che testimoniò con i libri che scrisse nella sua vita), una mano ignorante e spinta da un odio cieco e manipolato, ha scritto: “Juden hier“, “qui ci sono ebrei“ , proprio come si faceva in tutta l’Europa nazista e fascista delle Leggi Razziali. In quella casa Lidia visse fino alla sua morte e da li testimoniò con i propri scritti una realtà atroce, che un negazionismo inaccettabile e privo di alcun sostegno storico e morale, vuole eliminare. Altrettanto inaccettabile l’atto di vandalismo, che fortunatamente ha trovato voci di condanna anche sui Social; a tale proposito riporto un post pubblicato stamane da una amica del Centro Pannunzio, la Scrittrice e Giornalista Bruna Bertolo, che a tal proposito scrive: “Un oltraggio vergognoso alla memoria e alla figura di Lidia Rolfi Beccaria, una delle partigiane arrestate e partite per il campo di concentramento di Ravensbruck con il primo tragico trasporto da Torino nel giugno 1944. “Un inferno dantesco”, lo definì Lidia al suo ingresso a Ravensbruck. Ci tornò per la prima volta il 17 settembre 1959, con altre deportate. In questa foto, data dal figlio Aldo, è lei che consola altre compagne di sventura: cerca di consolare, di fare coraggio a chi, come lei, aveva respirato “aria grigia”. Una combattente, per quei valori di giustizia e di libertà che dovrebbero costituire la base della Società. Mondovì, in cui fu anche vicesindaco, le ha dedicato una via. E il figlio Aldo continua le battaglie di Lidia. Di lei, delle sue lotte, del suo coraggio, ho parlato spesso nei miei libri. Come non ricordare le parole del suo grande amico Primo Levi..”Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte e oscurate: anche le nostre”. L’oltraggio sulla porta della casa di Lidia ci deve davvero fare riflettere!”
Ecco, sia quelli che quel periodo storico lo hanno vissuto davvero, sia quelli, come me, che lo hanno vissuto nella sua coda temporale, sia tutti quelli che hanno a cuore la Libertà dell’individuo, devono stimolare chiunque davvero a riflettere, perché le porte sono luoghi fisici e dell’anima e certe scritte devono assolutamente relegate al passato….